martedì, luglio 09, 2013
La sessualità umana è un fatto puramente biologico o spirituale? Sesso solo per procreare o qualcosa di più? Tra incomprensioni e accuse di “biologismo” e di “sessuofobia”, la Chiesa consegna all’uomo di oggi una visione luminosa della sessualità umana che ne valorizza la pluralità di significati e dimensioni, al di là delle strettoie dell’imperante cultura edonistica

di Bartolo Salone

La visione cattolica della sessualità, nonostante l’attenzione crescente da parte del Magistero soprattutto nell’ultimo secolo, è tuttora oggetto di deformazione, soprattutto mediatica, e di travisamento non solo al di fuori del contesto ecclesiale, ma perfino presso gli stessi fedeli. Raramente, infatti, alla contestazione polemica si accompagna una reale conoscenza e una serena analisi dell’insegnamento morale della Chiesa. Diffuso è piuttosto lo stereotipo di una Chiesa sessuofoba e puritana, del tutto disattenta ai valori della corporeità, o al contrario di una Chiesa che avrebbe del sesso una visione “biologicista”, che lo intenda cioè quale puro mezzo per procreare, privo di ogni altra connotazione umana e spirituale. Eppure una lettura serena dei documenti è tale da fugare ogni sospetto di presunta sessuofobia nell’insegnamento ecclesiale, rivelando al contrario una visione decisamente positiva della sessualità umana. Basti rammentare qui la superba definizione che Giovanni Paolo II dà della sessualità umana nella Esortazione apostolica “Familiaris consortio” (1981): “La sessualità è ricchezza di tutta la persona – corpo, sentimento e anima – e manifesta il suo intimo significato nel portare la persona al dono di sé nell’amore”. Ma considerazioni analoghe sono contenute in numerosi altri documenti magisteriali, i quali in assonanza con la tradizione biblica manifestano apprezzamento per la dimensione sessuale del vivere, mettendo in guardia, caso mai, da una visione impoverita della sessualità che la colleghi unicamente al corpo e al piacere egoistico.

D’altro canto, la riflessione della Chiesa sulla sessualità prende le mosse proprio dalla considerazione dei valori del corpo e del significato della corporeità. Il corpo, nella visione cristiana, costituisce infatti il primo messaggio di Dio all’uomo stesso, contribuendo a rivelare il senso della vita e della sua vocazione. E’ dalla considerazione del corpo e della corporeità, quali dati di “natura”, che pertanto occorre partire per maturare una corretta comprensione della sessualità sotto il profilo non solo descrittivo, ma anche morale. Quali messaggi, allora, ricavare dal nostro corpo? In primo luogo, sotto l’aspetto più propriamente teologico, il corpo è un eloquente testimone dell’amore creatore di Dio, in quanto manifesta luminosamente la creaturalità dell’uomo stesso. Ma sotto il profilo umano, il corpo, in quanto sessuato, rappresenta la vocazione dell’uomo alla reciprocità, cioè all’amore e al mutuo dono di sé. Il corpo, ancora, richiama l’uomo e la donna alla loro costitutiva vocazione alla fecondità come a uno dei significati fondamentali del loro essere sessuati. La realizzazione di questa specifica vocazione all’amore reciproco e fecondo, con il quale l’uomo e la donna collaborano in modo speciale all’azione creatrice di Dio, presuppone, come è evidente, il riconoscimento della complementarità naturale dei sessi: una complementarità che dal piano primariamente biologico si riflette poi anche su quello psicologico e spirituale. In tal senso si parla, in termini insieme teologici e antropologici, di “significato sponsale del corpo”, in quanto il corpo, nel suo essere sessuato, esprime chiaramente la vocazione dell’uomo e della donna all’unione coniugale e, più in generale, all’amore.

La sessualità, pertanto, nella concezione cattolica, non guarda alla procreazione come al suo scopo principale o esclusivo. Al contrario si riconosce che la sessualità, orientata verso il dialogo interpersonale, contribuisce alla maturazione integrale dell’uomo aprendolo al dono di sé nell’amore. Ma essendo altresì legata, nell’ordine della creazione, alla fecondità e alla trasmissione della vita, è chiamata ad essere fedele anche a questa sua interna finalità. Non a caso il magistero (vedi in particolare la lettera enciclica “Humanae vitae” di papa Paolo VI) ravvisa nella sessualità umana un duplice significato, unitivo e procreativo. Amore e fecondità, in altre parole, sono due significati o “valori” della sessualità umana che si includono e si richiamano a vicenda, per cui sarebbe un grave errore considerarli come opposti o antitetici, come tende invece a fare, con evidente forzatura, la cultura laica contemporanea. Tra due predetti “valori”, in ogni caso, l’amore viene pur sempre prima, quale presupposto e al contempo fine cui la sessualità umana deve immancabilmente tendere. Proprio in quest’ottica si spiega, fra l’altro, il valore che la Tradizione cristiana da sempre riconosce alla scelta della verginità per il Regno dei cieli. Anche la verginità consacrata, al pari e forse ancor più del matrimonio, è vocazione all’amore: libero dai doveri coniugali, infatti, il cuore vergine può sentirsi più disponibile all’amore gratuito dei fratelli. Se è vero che la verginità implica la rinuncia alla forma di amore tipica del matrimonio, è però altrettanto vero che tale rinuncia è compiuta allo scopo di assumere più in profondità il dinamismo, insito nella sessualità, di apertura oblativa agli altri. Da questo punto di vista, verginità consacrata e matrimonio sono consimili. Siamo ben lungi, insomma, da una visione puramente “biologicista” della sessualità! Come pure siamo decisamente lontani da una concezione edonistica del sesso quale mezzo di ricerca egoistica di un piacere fine a sé stesso. Ma nel respingere il paradigma edonistico, si può costatare agevolmente come la Chiesa difenda, in realtà, una visione positiva della sessualità umana che, al servizio dello sviluppo integrale della persona umana, ne colga e valorizzi i molteplici suoi aspetti. Forse per questo viene continuamente accusata di “sessuofobia” da una cultura che riduce l’esperienza sessuale dell’essere umano ad una sola dimensione, quella appunto del piacere, relativizzando o a questa subordinando tutte le altre.


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