mercoledì, luglio 10, 2013
Da metà giugno il Brasile è agitato non solo dall’aumento delle tariffe dei servizi pubblici e dalle conseguenti imponenti manifestazioni di strada che hanno posto una sfida politica senza precedenti al governo Dilma. È infatti scoppiato anche lo scandalo sulla gigantesca evasione fiscale e sul debito di una delle più grandi aziende del paese, la Petrobras, ad oggi ancora sotto il controllo statale.

Greenreport - Secondo i magistrati brasiliani, la Petrobras avrebbe evaso alcuni miliardi di real di tasse nel periodo 1999-2002, quando acquistò diverse piattaforme offshore per lo sfruttamento del petrolio del pre-sal nella costa atlantica fino a 6-7 chilometri di profondità. Una tale evasione fiscale contestata sin dal 2003 ha generato un aumento del debito della società nei confronti dello stesso governo centrale al punto che il suo ripagamento metterebbe a rischio la liquiditàdella società ed addirittura la sua stessa quotazione in borsa. Nel 2003 i magistrati avevano ingiunto alla Petrobras un livello massimo di debito pari a 4,5 miliardi di real. La Petrobras, quindi, ha dovuto considerare nuove strategie di finanziamento delle nuove opere infrastrutturali di sfruttamento petrolifero ricorrendo a finanziamenti sui mercati internazionali. Dopo alterne vicende giudiziarie a metà giugno scorso la corte regionale di seconda istanza ha proibito alla società la vendita e l’acquisto di prodotto petroliferi per una settimana ritenendo che il debito della Petrobras, salito da 6 miliardi di Reais a 7,3 in un solo anno metta a rischio la tenuta finanziaria dello stesso Stato. Ad oggi la controversia giudiziaria continua in altri tribunali, con il governo che difende la società ed il suo management dall’attacco giudiziario.

Dalla scoperta di giacimenti petroliferi a largo della costa atlantica nello strato geologico del pre-sal – il cui sfruttamento richiede tecnologie adeguate e comporta rischi ambientali non da poco – il governo brasiliano si è infatuato del modello di sviluppo petrolifero e la Petrobras ha contribuito non poco a sostenere l’espansione dell’economia con i suoi extra-dividendi e le ingenti risorse energetiche messe a disposizione. Da destra a sinistra la scoperta del petrolio ha generato una fiducia enorme nel paese riguardo all’ascesa della potenza brasiliana a livello internazionale, già suggellata dagli ingenti flussi di export di beni primari e dalla costruzione di mega-opere infrastrutturali in tutte le regione del paese e nel resto del continente. Quello che qualcuno ha definito un imperialismo su scala regionale che crea non poche tensioni in America Latina.

C’è chi teme che la controversia sorta tra istituzioni dello Stato sia propedeutica ad aprire il campo politico per la privatizzazione di Petrobras, operazione ghiotta per numerosi investitori nazionali ed internazionali. In tutto ciò però rimane paradigmatico dell’errato modello di sviluppo perseguito che una società di Stato si sia resa responsabile di una tale evasione fiscale e oggi non sia in grado di gestire il suo debito in maniera più oculata al punto da compromettere i propri investimenti e le casse del governo stesso. A conferma che il sogno del modello petrolifero ed estrattivista del Brasile di Lula e Dilma si è scontrato con l’incapacità di gestire la nuova economia del petrolio nel Paese. Un problema che hanno conosciuto tanti paesi in via di sviluppo – ed anche industrializzati, a parte poche eccezioni quali la Norvegia – e che oggi rischia di bloccare il gigante brasiliano, sempre più dipendente dall’export di materie prime verso l’Occidente in crisi e la Cina in rallentamento economico, e sempre meno capace di pianificare un proprio sviluppo industriale più equo e sostenibile, con meno debito e devastazione ambientale.

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