Uomini “radicati della Chiesa”, che si lasciano “conquistare da Cristo” offrendo a Lui tutto se stessi, e capaci del “nobile sentimento” della vergogna, che li pone in “sintonia col cuore di Cristo”.
Radio Vaticana - Con queste tre espressioni, nel giorno della festa liturgica di Sant’Ignazio di Loyola, Papa Francesco ha delineato i tratti che distinguono i Gesuiti. Il Papa ha presieduto la Messa, iniziata alle 8.15, davanti a circa oltre 200 suoi confratelli. Con lui sull’altare, il preposito generale della Compagnia di Gesù, padre Adolfo Nicolás, i membri del suo Consiglio e mons. Luis Ladaria, segretario della Congregazione per la Dottrina della Fede. Il servizio di Alessandro De Carolis: ascolta
Lo spirito di Sant’Ignazio secondo lo spirito del primo Papa gesuita della storia. È stato certamente un 31 luglio fuori da comune quello che ha visto riempirsi stamattina presto la Chiesa del Gesù a Roma. Un paio d’ore, dalle 8 alle 10 – prima con la concelebrazione eucaristica, poi con un breve incontro fraterno con il preposito generale e alcuni confratelli – per condividere la familiarità che nasce da un carisma che arricchisce la Chiesa da 500 anni. Un carisma che Papa Francesco ha riconsiderato nella sua totalità, tracciando l’identikit del gesuita oggi. Primo, ha detto, il gesuita è un uomo che ha Cristo “al centro” e a questa centralità corrisponde quella della Chiesa. “Sono due fuochi che non si possono separare”, ha affermato. “Non posso seguire Cristo se non nella e con la Chiesa”:
“Essere uomini radicati e fondati nella Chiesa: così ci vuole Gesù. Non ci possono essere cammini paralleli o isolati. Sì, cammini di ricerca, cammini creativi, sì, questo è importante: andare verso le periferie, le tante periferie. Per questo ci vuole creatività, ma sempre in comunità, nella Chiesa, con questa appartenenza che ci dà coraggio per andare avanti. Servire Cristo è amare questa Chiesa concreta, e servirla con generosità e spirito di obbedienza”.
Seconda caratteristica: un gesuita cerca Gesù sapendo che Lui lo ha “cercato prima” e lo ha “conquistato”. Questo, ha detto, “è il cuore della nostra esperienza”:
“Essere conquistato da Cristo per offrire a questo Re tutta la nostra persona e tutta la nostra fatica; dire al Signore di voler fare tutto per il suo maggior servizio e lode, imitarlo nel sopportare anche ingiurie, disprezzo, povertà. Ma penso al nostro fratello in Siria in questo momento. Lasciarsi conquistare da Cristo significa essere sempre protesi verso ciò che mi sta di fronte, verso la meta di Cristo e chiedesi con verità e sincerità: Che cosa ho fatto per Cristo? Che cosa faccio per Cristo? Che cosa devo fare per Cristo?”.
Il terzo punto è quello che Papa Francesco ha chiamato “la vergogna del gesuita”. “Noi – ha osservato – sentiamo quel sentimento tanto umano e tanto nobile che è la vergogna di non essere all’altezza; guardiamo alla sapienza di Cristo e alla nostra ignoranza, alla sua onnipotenza e alla nostra debolezza, alla sua giustizia e alla nostra iniquità, alla sua bontà e alla nostra cattiveria”:
“Chiedere la grazia della vergogna; vergogna che viene dal continuo colloquio di misericordia con Lui; vergogna che ci fa arrossire davanti a Gesù Cristo; vergogna che ci pone in sintonia col cuore di Cristo che si è fatto peccato per me; vergogna che mette in armonia il nostro cuore nelle lacrime e ci accompagna nella sequela quotidiana del 'mio Signore'. E questo ci porta sempre, come singoli e come Compagnia, all’umiltà, a vivere questa grande virtù. Umiltà che ci rende consapevoli ogni giorno che non siamo noi a costruire il Regno di Dio, ma è sempre la grazia del Signore che agisce in noi; umiltà che ci spinge a mettere tutto noi stessi non a servizio nostro o delle nostre idee, ma a servizio di Cristo e della Chiesa, come vasi d’argilla, fragili, inadeguati, insufficienti, ma nei quali c’è un tesoro immenso che portiamo e che comunichiamo”.
E dai tratti distintivi di un gesuita a due figure di gesuiti, una antica e una contemporanea, accomunate – ha ricordato Papa Francesco – da una simile icona, quella del “tramonto”. Il tramonto con cui l’arte ha tante volte rappresentato San Francesco Saverio, guardando la Cina. E l’altra icona del tramonto…
“…quella di padre Arrupe nell’ultimo colloquio nel campo dei rifugiati, quando ci aveva detto – cosa che lui stesso diceva – 'questo lo dico come se fosse il mio canto del cigno: pregate'. La preghiera, l’unione con Gesù. E, dopo aver detto questo, ha preso l’aereo, è arrivato a Roma con l’ictus, che ha dato inizio a quel tramonto tanto lungo e tanto esemplare. Due tramonti, due icone che a tutti noi farà bene guardare, e tornare a queste due. E chiedere la grazia che il nostro tramonto sia come il loro".
Al termine della Messa, il Papa si è recato a rendere omaggio e a sostare in preghiera davanti agli altari di Sant’Ignazio e di San Francesco Saverio, alla Cappella della Madonna della Strada e alla tomba del padre Pedro Arrupe.
Radio Vaticana - Con queste tre espressioni, nel giorno della festa liturgica di Sant’Ignazio di Loyola, Papa Francesco ha delineato i tratti che distinguono i Gesuiti. Il Papa ha presieduto la Messa, iniziata alle 8.15, davanti a circa oltre 200 suoi confratelli. Con lui sull’altare, il preposito generale della Compagnia di Gesù, padre Adolfo Nicolás, i membri del suo Consiglio e mons. Luis Ladaria, segretario della Congregazione per la Dottrina della Fede. Il servizio di Alessandro De Carolis: ascolta
Lo spirito di Sant’Ignazio secondo lo spirito del primo Papa gesuita della storia. È stato certamente un 31 luglio fuori da comune quello che ha visto riempirsi stamattina presto la Chiesa del Gesù a Roma. Un paio d’ore, dalle 8 alle 10 – prima con la concelebrazione eucaristica, poi con un breve incontro fraterno con il preposito generale e alcuni confratelli – per condividere la familiarità che nasce da un carisma che arricchisce la Chiesa da 500 anni. Un carisma che Papa Francesco ha riconsiderato nella sua totalità, tracciando l’identikit del gesuita oggi. Primo, ha detto, il gesuita è un uomo che ha Cristo “al centro” e a questa centralità corrisponde quella della Chiesa. “Sono due fuochi che non si possono separare”, ha affermato. “Non posso seguire Cristo se non nella e con la Chiesa”:
“Essere uomini radicati e fondati nella Chiesa: così ci vuole Gesù. Non ci possono essere cammini paralleli o isolati. Sì, cammini di ricerca, cammini creativi, sì, questo è importante: andare verso le periferie, le tante periferie. Per questo ci vuole creatività, ma sempre in comunità, nella Chiesa, con questa appartenenza che ci dà coraggio per andare avanti. Servire Cristo è amare questa Chiesa concreta, e servirla con generosità e spirito di obbedienza”.
Seconda caratteristica: un gesuita cerca Gesù sapendo che Lui lo ha “cercato prima” e lo ha “conquistato”. Questo, ha detto, “è il cuore della nostra esperienza”:
“Essere conquistato da Cristo per offrire a questo Re tutta la nostra persona e tutta la nostra fatica; dire al Signore di voler fare tutto per il suo maggior servizio e lode, imitarlo nel sopportare anche ingiurie, disprezzo, povertà. Ma penso al nostro fratello in Siria in questo momento. Lasciarsi conquistare da Cristo significa essere sempre protesi verso ciò che mi sta di fronte, verso la meta di Cristo e chiedesi con verità e sincerità: Che cosa ho fatto per Cristo? Che cosa faccio per Cristo? Che cosa devo fare per Cristo?”.
Il terzo punto è quello che Papa Francesco ha chiamato “la vergogna del gesuita”. “Noi – ha osservato – sentiamo quel sentimento tanto umano e tanto nobile che è la vergogna di non essere all’altezza; guardiamo alla sapienza di Cristo e alla nostra ignoranza, alla sua onnipotenza e alla nostra debolezza, alla sua giustizia e alla nostra iniquità, alla sua bontà e alla nostra cattiveria”:
“Chiedere la grazia della vergogna; vergogna che viene dal continuo colloquio di misericordia con Lui; vergogna che ci fa arrossire davanti a Gesù Cristo; vergogna che ci pone in sintonia col cuore di Cristo che si è fatto peccato per me; vergogna che mette in armonia il nostro cuore nelle lacrime e ci accompagna nella sequela quotidiana del 'mio Signore'. E questo ci porta sempre, come singoli e come Compagnia, all’umiltà, a vivere questa grande virtù. Umiltà che ci rende consapevoli ogni giorno che non siamo noi a costruire il Regno di Dio, ma è sempre la grazia del Signore che agisce in noi; umiltà che ci spinge a mettere tutto noi stessi non a servizio nostro o delle nostre idee, ma a servizio di Cristo e della Chiesa, come vasi d’argilla, fragili, inadeguati, insufficienti, ma nei quali c’è un tesoro immenso che portiamo e che comunichiamo”.
E dai tratti distintivi di un gesuita a due figure di gesuiti, una antica e una contemporanea, accomunate – ha ricordato Papa Francesco – da una simile icona, quella del “tramonto”. Il tramonto con cui l’arte ha tante volte rappresentato San Francesco Saverio, guardando la Cina. E l’altra icona del tramonto…
“…quella di padre Arrupe nell’ultimo colloquio nel campo dei rifugiati, quando ci aveva detto – cosa che lui stesso diceva – 'questo lo dico come se fosse il mio canto del cigno: pregate'. La preghiera, l’unione con Gesù. E, dopo aver detto questo, ha preso l’aereo, è arrivato a Roma con l’ictus, che ha dato inizio a quel tramonto tanto lungo e tanto esemplare. Due tramonti, due icone che a tutti noi farà bene guardare, e tornare a queste due. E chiedere la grazia che il nostro tramonto sia come il loro".
Al termine della Messa, il Papa si è recato a rendere omaggio e a sostare in preghiera davanti agli altari di Sant’Ignazio e di San Francesco Saverio, alla Cappella della Madonna della Strada e alla tomba del padre Pedro Arrupe.
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