Cosa sono i miracoli? Fenomeni reali o soltanto frodi e allucinazioni? In che modo la Chiesa procede al loro riconoscimento e alla loro verifica? Il ruolo della scienza medica nella procedura canonica di accertamento dei miracoli.
Solo a sentir parlare di miracoli alcuni uomini di cultura provano un senso di profondo fastidio, una sorta di allergia che talora si traduce in commiserazione, se non vero e proprio disprezzo, verso quei sempliciotti dei credenti, disposti in fede a credere anche all’impossibile. La possibilità stessa dei miracoli, infatti, in epoca contemporanea viene aprioristicamente esclusa dalle correnti ateistiche e razionaliste, secondo cui i presunti miracoli sarebbero da ricondurre sempre e comunque a inganni, coincidenze o fenomeni di autosuggestione. Non si meravigli il credente di questo atteggiamento intellettuale, perché in effetti di miracolo ha senso parlare solo in relazione a Dio. Come efficacemente ci ricorda San Tommaso d’Aquino nella “Summa Theologiae”, “Miraculum proprie dicitur, cum aliquid fit praeter ordinem naturae. Hoc autem non potest facere nisi Deus” (Si parla propriamente di miracolo quando qualcosa si verifica al di là dell’ordine naturale. E questo non può essere fatto se non da Dio solo). Se dunque si nega a priori l’esistenza di Dio, coerenza vuole che si neghino anche i miracoli!
D’altro canto, però, il credente si guardi bene dal confondere i miracoli con qualsiasi evento straordinario che non trova spiegazione nelle leggi della natura. In realtà, nel miracolo sono individuabili due elementi fondamentali: non solo un elemento empirico-oggettivo, ma pure un elemento spirituale-teologico. Sotto il profilo oggettivo, il miracolo è indubbiamente un accadimento della vita, empiricamente verificabile, che si pone in contrasto con le leggi della natura; ma sotto il profilo teologico, il miracolo è “segno” esteriore, visibile, di una realtà “altra”, ossia dell’intervento divino, e pertanto deve collocarsi all’interno di un contesto di significazione più ampio, dal carattere squisitamente spirituale. In mancanza di uno dei due elementi, non può parlarsi di miracolo nel senso della fede cristiana, ed è per questo che la procedura canonica – come vedremo più sotto – impone la verifica, in due separati momenti, di entrambi gli elementi ai fini dell’accertamento del miracolo.
Va ricordato ancora in premessa che una delle più diffuse obiezioni che gli esponenti del razionalismo moderno rivolgono alla dottrina cattolica sui miracoli attiene al fatto che i miracoli sarebbero attestati, in realtà, in tutte le tradizioni religiose, e non solo in quella cristiana. Questa obiezione, tuttavia, non pare cogliere nel segno, almeno per due ragioni: la prima è che di miracolo in senso proprio, nella sua duplice accezione empirica e spirituale, può parlarsi solo con riferimento alla tradizione ebraico-cristiana, mentre per altre tradizioni religiose può parlarsi soltanto, più genericamente, di “prodigi” o “eventi straordinari”; in secondo luogo, la dottrina cattolica, pur riconoscendo che i miracoli “sono segni certissimi della divina Rivelazione e adatti all’intelligenza di tutti” (Concilio Vaticano I, Costituzione dogmatica “Dei Filius”), non esclude a priori che la potenza e la verità di Dio possano manifestarsi, anche se in forme imperfette e incomplete, nelle altre tradizioni religiose. La Chiesa non rivendica quindi affatto il monopolio dei miracoli, come invece spesso si sostiene, né a maggior ragione dei semplici “prodigi”. E’ d’altra parte innegabile, però, che solo nella Chiesa cattolica il fenomeno è disciplinato con norme rigorose e sottoposto a procedure serie, dirette ad escludere frodi o allucinazioni. Un rigore che, a dire il vero, non si riscontra in nessun’altra confessione religiosa e ciò fa sì che solo i miracoli “cattolici”, tra tutti quelli attestati dalle diverse tradizioni religiose, siano realmente verificabili e quindi in ipotesi anche “falsificabili” alla stregua di un metodo scientifico.
In età contemporanea, la Chiesa delega la Congregazione delle cause dei santi a indagare sull’autenticità di un presunto miracolo, in particolare in occasione di un processo di canonizzazione (per la proclamazione di un beato occorre infatti l’accertamento di almeno un miracolo ottenuto per sua intercessione). Una parte preponderante dei miracoli, oggi come ai tempi di Gesù, è costituita non a caso dai “miracoli di guarigione”. Questi, nel corso del processo canonico, vengono sottoposti ad un primo esame di carattere medico-scientifico affidato, nella fase diocesana, ad un perito medico e, nella fase “romana” presso la Congregazione, ad una Consulta medica istituita allo scopo di esprimere un giudizio finale di spiegabilità scientifica o meno circa la guarigione proposta. Solo dopo la pronuncia del giudizio di inspiegabilità scientifica, si procede all’esame del significato teologico dell’accadimento ad opera di una distinta Consulta teologica per la eventuale definizione di miracolo. “La metodologia attuata in sede di Consulta medica - ci ricorda il prof. Patrizio Polisca, presidente della Consulta medica della Congregazione delle cause di santi - è la stessa che presiede alla ricerca scientifica, la quale, prendendo le mosse dall’osservazione, passa alla formulazione dell’ipotesi interpretativa (diagnosi) con le conseguenti deduzioni e infine la verifica”. Si deve inoltre al cardinal Prospero Lambertini, poi papa Benedetto XIV, la definizione dei criteri per l’accertamento del miracolo sotto il profilo medico-scientifico. Secondo il cardinal Lambertini, una guarigione per essere considerata “inspiegabile” deve rispondere ai seguenti rigorosi criteri, enumerati nella famosa opera “De servorum beatificatione et beatorum canonizatione” del 1734: 1) bisogna innanzitutto che la malattia sia grave, incurabile o difficoltosa a trattarsi; 2) bisogna in secondo luogo che la malattia vinta non sia all’ultimo stadio o al punto da poter guarire spontaneamente; 3) occorre che nessun farmaco sia stato impiegato o, se impiegato, che ne sia stata accertata la mancanza di effetti; 4) bisogna che la guarigione avvenga all’improvviso e istantaneamente; 5) è necessario che la guarigione sia completa, e non difettosa o parziale; 6) bisogna che ogni escrezione o crisi degne di nota siano avvenute a tempo debito, ragionevolmente in dipendenza di una causa accertata, precedentemente alla guarigione, poiché in tal caso la guarigione non sarebbe da considerare prodigiosa, ma totalmente o parzialmente naturale; 7) bisogna infine che la malattia debellata non si riproponga. I criteri stabiliti da Benedetto XIV (che conservano ancor oggi la loro validità) sottendono, in sintesi, una forte sproporzione tra la guarigione e la gravità della malattia iniziale, che appare inguaribile o difficilmente curabile; il mancato rapporto causale con la terapia praticata; la completezza, la rapidità e la stabilità nel tempo della guarigione. Solo a queste condizioni la guarigione sarà riconosciuta come non-spiegabile, in quanto non compatibile con le leggi scientifiche conosciute. E solo a quel punto si passerà all’esame del significato “spirituale” del fatto ai fini della attribuzione della qualificazione teologica di miracolo. A dispetto di quanti pongono pregiudizialmente scienza e fede in irriducibile contrasto, la procedura canonica di accertamento dei miracoli offre, a ben intendere, un luminoso esempio di simbiosi tra le due discipline, in quanto la scienza medica viene posta al servizio della fede nella verifica di quei “segni” eccezionali che testimoniano dell’ incessante e provvidente intervento di Dio in favore dell’umanità.
di Bartolo Salone
Solo a sentir parlare di miracoli alcuni uomini di cultura provano un senso di profondo fastidio, una sorta di allergia che talora si traduce in commiserazione, se non vero e proprio disprezzo, verso quei sempliciotti dei credenti, disposti in fede a credere anche all’impossibile. La possibilità stessa dei miracoli, infatti, in epoca contemporanea viene aprioristicamente esclusa dalle correnti ateistiche e razionaliste, secondo cui i presunti miracoli sarebbero da ricondurre sempre e comunque a inganni, coincidenze o fenomeni di autosuggestione. Non si meravigli il credente di questo atteggiamento intellettuale, perché in effetti di miracolo ha senso parlare solo in relazione a Dio. Come efficacemente ci ricorda San Tommaso d’Aquino nella “Summa Theologiae”, “Miraculum proprie dicitur, cum aliquid fit praeter ordinem naturae. Hoc autem non potest facere nisi Deus” (Si parla propriamente di miracolo quando qualcosa si verifica al di là dell’ordine naturale. E questo non può essere fatto se non da Dio solo). Se dunque si nega a priori l’esistenza di Dio, coerenza vuole che si neghino anche i miracoli!
D’altro canto, però, il credente si guardi bene dal confondere i miracoli con qualsiasi evento straordinario che non trova spiegazione nelle leggi della natura. In realtà, nel miracolo sono individuabili due elementi fondamentali: non solo un elemento empirico-oggettivo, ma pure un elemento spirituale-teologico. Sotto il profilo oggettivo, il miracolo è indubbiamente un accadimento della vita, empiricamente verificabile, che si pone in contrasto con le leggi della natura; ma sotto il profilo teologico, il miracolo è “segno” esteriore, visibile, di una realtà “altra”, ossia dell’intervento divino, e pertanto deve collocarsi all’interno di un contesto di significazione più ampio, dal carattere squisitamente spirituale. In mancanza di uno dei due elementi, non può parlarsi di miracolo nel senso della fede cristiana, ed è per questo che la procedura canonica – come vedremo più sotto – impone la verifica, in due separati momenti, di entrambi gli elementi ai fini dell’accertamento del miracolo.
Va ricordato ancora in premessa che una delle più diffuse obiezioni che gli esponenti del razionalismo moderno rivolgono alla dottrina cattolica sui miracoli attiene al fatto che i miracoli sarebbero attestati, in realtà, in tutte le tradizioni religiose, e non solo in quella cristiana. Questa obiezione, tuttavia, non pare cogliere nel segno, almeno per due ragioni: la prima è che di miracolo in senso proprio, nella sua duplice accezione empirica e spirituale, può parlarsi solo con riferimento alla tradizione ebraico-cristiana, mentre per altre tradizioni religiose può parlarsi soltanto, più genericamente, di “prodigi” o “eventi straordinari”; in secondo luogo, la dottrina cattolica, pur riconoscendo che i miracoli “sono segni certissimi della divina Rivelazione e adatti all’intelligenza di tutti” (Concilio Vaticano I, Costituzione dogmatica “Dei Filius”), non esclude a priori che la potenza e la verità di Dio possano manifestarsi, anche se in forme imperfette e incomplete, nelle altre tradizioni religiose. La Chiesa non rivendica quindi affatto il monopolio dei miracoli, come invece spesso si sostiene, né a maggior ragione dei semplici “prodigi”. E’ d’altra parte innegabile, però, che solo nella Chiesa cattolica il fenomeno è disciplinato con norme rigorose e sottoposto a procedure serie, dirette ad escludere frodi o allucinazioni. Un rigore che, a dire il vero, non si riscontra in nessun’altra confessione religiosa e ciò fa sì che solo i miracoli “cattolici”, tra tutti quelli attestati dalle diverse tradizioni religiose, siano realmente verificabili e quindi in ipotesi anche “falsificabili” alla stregua di un metodo scientifico.
In età contemporanea, la Chiesa delega la Congregazione delle cause dei santi a indagare sull’autenticità di un presunto miracolo, in particolare in occasione di un processo di canonizzazione (per la proclamazione di un beato occorre infatti l’accertamento di almeno un miracolo ottenuto per sua intercessione). Una parte preponderante dei miracoli, oggi come ai tempi di Gesù, è costituita non a caso dai “miracoli di guarigione”. Questi, nel corso del processo canonico, vengono sottoposti ad un primo esame di carattere medico-scientifico affidato, nella fase diocesana, ad un perito medico e, nella fase “romana” presso la Congregazione, ad una Consulta medica istituita allo scopo di esprimere un giudizio finale di spiegabilità scientifica o meno circa la guarigione proposta. Solo dopo la pronuncia del giudizio di inspiegabilità scientifica, si procede all’esame del significato teologico dell’accadimento ad opera di una distinta Consulta teologica per la eventuale definizione di miracolo. “La metodologia attuata in sede di Consulta medica - ci ricorda il prof. Patrizio Polisca, presidente della Consulta medica della Congregazione delle cause di santi - è la stessa che presiede alla ricerca scientifica, la quale, prendendo le mosse dall’osservazione, passa alla formulazione dell’ipotesi interpretativa (diagnosi) con le conseguenti deduzioni e infine la verifica”. Si deve inoltre al cardinal Prospero Lambertini, poi papa Benedetto XIV, la definizione dei criteri per l’accertamento del miracolo sotto il profilo medico-scientifico. Secondo il cardinal Lambertini, una guarigione per essere considerata “inspiegabile” deve rispondere ai seguenti rigorosi criteri, enumerati nella famosa opera “De servorum beatificatione et beatorum canonizatione” del 1734: 1) bisogna innanzitutto che la malattia sia grave, incurabile o difficoltosa a trattarsi; 2) bisogna in secondo luogo che la malattia vinta non sia all’ultimo stadio o al punto da poter guarire spontaneamente; 3) occorre che nessun farmaco sia stato impiegato o, se impiegato, che ne sia stata accertata la mancanza di effetti; 4) bisogna che la guarigione avvenga all’improvviso e istantaneamente; 5) è necessario che la guarigione sia completa, e non difettosa o parziale; 6) bisogna che ogni escrezione o crisi degne di nota siano avvenute a tempo debito, ragionevolmente in dipendenza di una causa accertata, precedentemente alla guarigione, poiché in tal caso la guarigione non sarebbe da considerare prodigiosa, ma totalmente o parzialmente naturale; 7) bisogna infine che la malattia debellata non si riproponga. I criteri stabiliti da Benedetto XIV (che conservano ancor oggi la loro validità) sottendono, in sintesi, una forte sproporzione tra la guarigione e la gravità della malattia iniziale, che appare inguaribile o difficilmente curabile; il mancato rapporto causale con la terapia praticata; la completezza, la rapidità e la stabilità nel tempo della guarigione. Solo a queste condizioni la guarigione sarà riconosciuta come non-spiegabile, in quanto non compatibile con le leggi scientifiche conosciute. E solo a quel punto si passerà all’esame del significato “spirituale” del fatto ai fini della attribuzione della qualificazione teologica di miracolo. A dispetto di quanti pongono pregiudizialmente scienza e fede in irriducibile contrasto, la procedura canonica di accertamento dei miracoli offre, a ben intendere, un luminoso esempio di simbiosi tra le due discipline, in quanto la scienza medica viene posta al servizio della fede nella verifica di quei “segni” eccezionali che testimoniano dell’ incessante e provvidente intervento di Dio in favore dell’umanità.
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