La morale cattolica, nel distinguere tra tendenza e atti omosessuali, riconosce la libertà morale delle persone omosessuali e ritiene possibile, anzi doveroso, il loro cammino verso la santità. La comunità cristiana e la società civile dal canto loro sono corresponsabili della riuscita di questo cammino.
di Bartolo Salone
Tra le diverse questioni di etica sessuale che il Magistero ecclesiale si è trovato ad affrontare, quella dell’omosessualità è senza dubbio una delle più delicate, giacché investe la vita e la sensibilità di numerose persone e fratelli nella fede. Due sono i principali documenti di riferimento del più recente magistero in argomento, entrambi della Congregazione per la dottrina della fede: la dichiarazione “Persona humana” del 29 dicembre 1975 e la “Lettera ai vescovi della Chiesa cattolica sulla cura pastorale delle persone omosessuali” (d’ora innanzi semplicemente “Lettera”) del 1° ottobre 1986. Le conclusioni cui pervengono i due menzionati documenti sono stati infine sintetizzate nei nn. 2357-2359 del Catechismo della Chiesa cattolica, approvato e promulgato da Giovanni Paolo II nel 1997. Mi limiterò in questa sede ad esporre in modo sommario i principi dell’insegnamento morale cattolico sulla complessa problematica dell’omosessualità. A scanso di equivoci, va aggiunto in premessa che i termini utilizzati dai documenti della Chiesa sono tratti dalla Tradizione e dal linguaggio della teologia morale, che non sempre coincide con quello comune. Troppo spesso, infatti, accade che i mass media, nel presentare il magistero cattolico sull’omosessualità, ne diano più o meno volutamente una lettura alterata, giocando abbastanza disinvoltamente con il significato delle parole. Fatta questa premessa, vediamo più da vicino l’insegnamento della Chiesa.
Fondamentale nel magistero cattolico è la distinzione tra “tendenza” o “condizione omosessuale” e “atti omosessuali” o, se si preferisce, tra omosessualità in senso soggettivo (tale è precisamente la tendenza o condizione omosessuale presente in alcuni individui) e omosessualità in senso oggettivo (vale a dire il complesso degli atti e delle relazioni sessuali che si instaurano tra persone dello stesso sesso). La genesi psichica dell’omosessualità, ammette il Catechismo (n. 2357), rimane in gran parte inspiegabile. Il che vuol dire, in altre parole, che la Chiesa non intende entrare nel dibattito scientifico circa le cause dell’omosessualità, rilevando soltanto che tale dibattito è allo stato attuale ancora aperto. Questo non impedisce però di compiere una valutazione circa la moralità degli atti omosessuali, che secondo la costante tradizione cristiana rimangono “intrinsecamente disordinati” e pertanto non posso ricevere alcuna approvazione. Le ragioni per cui gli atti, e a maggior ragione le relazioni omosessuali, sono da ritenere intrinsecamente disordinati vengono significativamente illustrate dal Catechismo: gli atti omosessuali precludono all’atto sessuale il dono della vita e per di più non sono frutto di una vera complementarità affettiva e sessuale. In altri termini, gli atti omosessuali impediscono all’esercizio della sessualità il perseguimento delle finalità sue proprie, tanto della finalità procreativa quanto di quella unitiva, stante la mancanza di complementarità affettivo-sessuale tra le persone dello stesso sesso. Gli atti omosessuali contraddicono così il “significato sponsale” del corpo, di cui si è detto più diffusamente in un precedente pezzo, essendo caratterizzati dall’autocompiacimento. D’altro canto però, precisa la “Lettera” del 1986, la tendenza omosessuale in sé “non costituisce un peccato”, anche se sarebbe un errore credere che “l’attuazione di tale tendenza nelle relazioni omosessuali sia un’opzione moralmente accettabile”. Per questo motivo, la condizione omosessuale stessa deve essere considerata come “oggettivamente” disordinata, ma non nel senso che si tratti di una malattia (come talora viene maliziosamente dato a credere), bensì nel senso che essa inclina a compiere atti “intrinsecamente” immorali.
Nell’ambito della condizione omosessuale, il magistero, rifacendosi a considerazioni di ordine psicologico, distingue inoltre tra una “omosessualità transitoria” e una “omosessualità strutturata”: la prima è la condizione di quegli “omosessuali la cui tendenza deriva da falsa educazione, da mancanza di evoluzione sessuale normale, da abitudine contratta, da cattivi esempi o da altre cause analoghe”; la seconda è la condizione degli “omosessuali che sono definitivamente tali per una specie di istinto innato o di costituzione patologica, giudicata incurabile” (così la Dichiarazione “Persona humana”, che risente ovviamente di quel che si sapeva negli anni ’70; nel documento del 1986 invece scomparirà ogni accenno alla condizione omosessuale in termini di disturbo psichico, benché sia da ritenere tuttora valida la distinzione, avvalorata dall’esperienza, tra omosessualità transitoria e omosessualità strutturata). Dalla distinzione tra le due specie di omosessualità, invero, non dipende il giudizio sulla gravità “oggettiva” degli atti omosessuali, che in sé sono sempre moralmente disordinati. Possono tuttavia derivare delle conseguenze notevoli in punto di valutazione della colpevolezza “soggettiva” della persona che compie tali atti. La colpevolezza di un atto in sé oggettivamente immorale può, in generale, essere diminuita o addirittura esclusa dalle circostanze concrete, per cui, in relazione al compimento di atti omosessuali , non può essere privo di significato il fatto che il singolo presenti una omosessualità strutturata o puramente transitoria. Ad ogni modo, continua il documento del 1986, “dev’essere evitata la presunzione infondata e umiliante che il comportamento omosessuale delle persone omosessuali sia sempre e totalmente soggetto a coazione e pertanto senza colpa. In realtà anche nelle persone con tendenza omosessuale deve essere riconosciuta quella libertà fondamentale che caratterizza la persona umana e le conferisce la sua particolare dignità”. Il riconoscimento, in principio, della libertà delle persone omosessuali conduce il magistero a proporre anche a queste ultime un percorso di conversione che, come per tutti i cristiani, passa attraverso la via della castità. Come ci ricorda il Catechismo (nn. 2358-2359), “tali persone sono chiamate a realizzare la volontà di Dio nella loro vita e, se sono cristiane, a unire al sacrificio della croce del Signore le difficoltà che possono incontrare in conseguenza della loro condizione … Attraverso le virtù della padronanza di sé, educatrici della libertà interiore, mediante il sostegno, talvolta, di un’amicizia disinteressata, possono e devono, gradatamente e risolutamente, avvicinarsi alla perfezione cristiana”.
La proposta della castità come via di santificazione degli uomini incontra oggi, in genere, forti resistenze: in una società sempre più “erotizzata” come la nostra, infatti, si tende a non distinguere più tra “relazioni sessuate” e “relazioni sessuali”, come se queste ultime esaurissero l’intera gamma delle prime. In realtà tra le prime trovano posto le relazioni di dialogo e di amicizia che riguardano ogni persona, mentre le relazioni sessuali genitali, nel rispetto della legge morale naturale, hanno senso solo all’interno del matrimonio tra un uomo e una donna. Agli omosessuali rimane aperta allora la possibilità di vivere appaganti relazioni interpersonali, caratterizzate da sincera amicizia e intimo dialogo: relazioni a tutti gli effetti “sessuate”, benché non sessuali. In questo non può vedersi alcuna forma di rinnegamento di sé: l’uomo si realizza infatti nella misura in cui impara ad amare in pienezza. Lo sforzo pastorale da compiere consisterà allora nel far comprendere alle persone omosessuali che non esiste una sola forma di amore, quello erotico, tipico ed esclusivo del rapporto coniugale tra uomo e donna, ma piuttosto diversi tipi di amore, non meno validi e importanti, che garantiscono un pieno e appagante sviluppo della persona umana, pur non passando attraverso l’esercizio della genitalità. La maturazione di questa consapevolezza dipenderà molto, come è evidente, dall’atteggiamento della comunità cristiana, chiamata ad accogliere le persone omosessuali “con rispetto, compassione, delicatezza”. Analogo atteggiamento dovrà essere tenuto poi dalla società civile, che dovrà essere capace di difendere le persone omosessuali da “espressioni malevole” e da “azioni violente”. Tali comportamenti, ammonisce la “Lettera” del 1986, “meritano la condanna dei pastori della Chiesa ovunque si verifichino”, in quanto lesivi dei più elementari principi su cui si basa una convivenza civile oltre che della dignità della persona, la quale “dev’essere sempre rispettata nelle parole, nelle azioni e nelle legislazioni”. Ma al di sopra di tutto bisogna tenere presente che “la persona umana, creata a immagine e somiglianza di Dio, non può essere definita in modo adeguato con un riduttivo riferimento al suo solo orientamento sessuale. La Chiesa ritiene di fare il bene della stessa persona omosessuale “proprio quando rifiuta di considerare la persona come un ‘eterosessuale’ o un ‘omosessuale’ e sottolinea che ognuno ha la stessa identità fondamentale: essere creatura e, per grazia, figlio di Dio, erede della vita eterna”.
di Bartolo Salone
Tra le diverse questioni di etica sessuale che il Magistero ecclesiale si è trovato ad affrontare, quella dell’omosessualità è senza dubbio una delle più delicate, giacché investe la vita e la sensibilità di numerose persone e fratelli nella fede. Due sono i principali documenti di riferimento del più recente magistero in argomento, entrambi della Congregazione per la dottrina della fede: la dichiarazione “Persona humana” del 29 dicembre 1975 e la “Lettera ai vescovi della Chiesa cattolica sulla cura pastorale delle persone omosessuali” (d’ora innanzi semplicemente “Lettera”) del 1° ottobre 1986. Le conclusioni cui pervengono i due menzionati documenti sono stati infine sintetizzate nei nn. 2357-2359 del Catechismo della Chiesa cattolica, approvato e promulgato da Giovanni Paolo II nel 1997. Mi limiterò in questa sede ad esporre in modo sommario i principi dell’insegnamento morale cattolico sulla complessa problematica dell’omosessualità. A scanso di equivoci, va aggiunto in premessa che i termini utilizzati dai documenti della Chiesa sono tratti dalla Tradizione e dal linguaggio della teologia morale, che non sempre coincide con quello comune. Troppo spesso, infatti, accade che i mass media, nel presentare il magistero cattolico sull’omosessualità, ne diano più o meno volutamente una lettura alterata, giocando abbastanza disinvoltamente con il significato delle parole. Fatta questa premessa, vediamo più da vicino l’insegnamento della Chiesa.
Fondamentale nel magistero cattolico è la distinzione tra “tendenza” o “condizione omosessuale” e “atti omosessuali” o, se si preferisce, tra omosessualità in senso soggettivo (tale è precisamente la tendenza o condizione omosessuale presente in alcuni individui) e omosessualità in senso oggettivo (vale a dire il complesso degli atti e delle relazioni sessuali che si instaurano tra persone dello stesso sesso). La genesi psichica dell’omosessualità, ammette il Catechismo (n. 2357), rimane in gran parte inspiegabile. Il che vuol dire, in altre parole, che la Chiesa non intende entrare nel dibattito scientifico circa le cause dell’omosessualità, rilevando soltanto che tale dibattito è allo stato attuale ancora aperto. Questo non impedisce però di compiere una valutazione circa la moralità degli atti omosessuali, che secondo la costante tradizione cristiana rimangono “intrinsecamente disordinati” e pertanto non posso ricevere alcuna approvazione. Le ragioni per cui gli atti, e a maggior ragione le relazioni omosessuali, sono da ritenere intrinsecamente disordinati vengono significativamente illustrate dal Catechismo: gli atti omosessuali precludono all’atto sessuale il dono della vita e per di più non sono frutto di una vera complementarità affettiva e sessuale. In altri termini, gli atti omosessuali impediscono all’esercizio della sessualità il perseguimento delle finalità sue proprie, tanto della finalità procreativa quanto di quella unitiva, stante la mancanza di complementarità affettivo-sessuale tra le persone dello stesso sesso. Gli atti omosessuali contraddicono così il “significato sponsale” del corpo, di cui si è detto più diffusamente in un precedente pezzo, essendo caratterizzati dall’autocompiacimento. D’altro canto però, precisa la “Lettera” del 1986, la tendenza omosessuale in sé “non costituisce un peccato”, anche se sarebbe un errore credere che “l’attuazione di tale tendenza nelle relazioni omosessuali sia un’opzione moralmente accettabile”. Per questo motivo, la condizione omosessuale stessa deve essere considerata come “oggettivamente” disordinata, ma non nel senso che si tratti di una malattia (come talora viene maliziosamente dato a credere), bensì nel senso che essa inclina a compiere atti “intrinsecamente” immorali.
Nell’ambito della condizione omosessuale, il magistero, rifacendosi a considerazioni di ordine psicologico, distingue inoltre tra una “omosessualità transitoria” e una “omosessualità strutturata”: la prima è la condizione di quegli “omosessuali la cui tendenza deriva da falsa educazione, da mancanza di evoluzione sessuale normale, da abitudine contratta, da cattivi esempi o da altre cause analoghe”; la seconda è la condizione degli “omosessuali che sono definitivamente tali per una specie di istinto innato o di costituzione patologica, giudicata incurabile” (così la Dichiarazione “Persona humana”, che risente ovviamente di quel che si sapeva negli anni ’70; nel documento del 1986 invece scomparirà ogni accenno alla condizione omosessuale in termini di disturbo psichico, benché sia da ritenere tuttora valida la distinzione, avvalorata dall’esperienza, tra omosessualità transitoria e omosessualità strutturata). Dalla distinzione tra le due specie di omosessualità, invero, non dipende il giudizio sulla gravità “oggettiva” degli atti omosessuali, che in sé sono sempre moralmente disordinati. Possono tuttavia derivare delle conseguenze notevoli in punto di valutazione della colpevolezza “soggettiva” della persona che compie tali atti. La colpevolezza di un atto in sé oggettivamente immorale può, in generale, essere diminuita o addirittura esclusa dalle circostanze concrete, per cui, in relazione al compimento di atti omosessuali , non può essere privo di significato il fatto che il singolo presenti una omosessualità strutturata o puramente transitoria. Ad ogni modo, continua il documento del 1986, “dev’essere evitata la presunzione infondata e umiliante che il comportamento omosessuale delle persone omosessuali sia sempre e totalmente soggetto a coazione e pertanto senza colpa. In realtà anche nelle persone con tendenza omosessuale deve essere riconosciuta quella libertà fondamentale che caratterizza la persona umana e le conferisce la sua particolare dignità”. Il riconoscimento, in principio, della libertà delle persone omosessuali conduce il magistero a proporre anche a queste ultime un percorso di conversione che, come per tutti i cristiani, passa attraverso la via della castità. Come ci ricorda il Catechismo (nn. 2358-2359), “tali persone sono chiamate a realizzare la volontà di Dio nella loro vita e, se sono cristiane, a unire al sacrificio della croce del Signore le difficoltà che possono incontrare in conseguenza della loro condizione … Attraverso le virtù della padronanza di sé, educatrici della libertà interiore, mediante il sostegno, talvolta, di un’amicizia disinteressata, possono e devono, gradatamente e risolutamente, avvicinarsi alla perfezione cristiana”.
La proposta della castità come via di santificazione degli uomini incontra oggi, in genere, forti resistenze: in una società sempre più “erotizzata” come la nostra, infatti, si tende a non distinguere più tra “relazioni sessuate” e “relazioni sessuali”, come se queste ultime esaurissero l’intera gamma delle prime. In realtà tra le prime trovano posto le relazioni di dialogo e di amicizia che riguardano ogni persona, mentre le relazioni sessuali genitali, nel rispetto della legge morale naturale, hanno senso solo all’interno del matrimonio tra un uomo e una donna. Agli omosessuali rimane aperta allora la possibilità di vivere appaganti relazioni interpersonali, caratterizzate da sincera amicizia e intimo dialogo: relazioni a tutti gli effetti “sessuate”, benché non sessuali. In questo non può vedersi alcuna forma di rinnegamento di sé: l’uomo si realizza infatti nella misura in cui impara ad amare in pienezza. Lo sforzo pastorale da compiere consisterà allora nel far comprendere alle persone omosessuali che non esiste una sola forma di amore, quello erotico, tipico ed esclusivo del rapporto coniugale tra uomo e donna, ma piuttosto diversi tipi di amore, non meno validi e importanti, che garantiscono un pieno e appagante sviluppo della persona umana, pur non passando attraverso l’esercizio della genitalità. La maturazione di questa consapevolezza dipenderà molto, come è evidente, dall’atteggiamento della comunità cristiana, chiamata ad accogliere le persone omosessuali “con rispetto, compassione, delicatezza”. Analogo atteggiamento dovrà essere tenuto poi dalla società civile, che dovrà essere capace di difendere le persone omosessuali da “espressioni malevole” e da “azioni violente”. Tali comportamenti, ammonisce la “Lettera” del 1986, “meritano la condanna dei pastori della Chiesa ovunque si verifichino”, in quanto lesivi dei più elementari principi su cui si basa una convivenza civile oltre che della dignità della persona, la quale “dev’essere sempre rispettata nelle parole, nelle azioni e nelle legislazioni”. Ma al di sopra di tutto bisogna tenere presente che “la persona umana, creata a immagine e somiglianza di Dio, non può essere definita in modo adeguato con un riduttivo riferimento al suo solo orientamento sessuale. La Chiesa ritiene di fare il bene della stessa persona omosessuale “proprio quando rifiuta di considerare la persona come un ‘eterosessuale’ o un ‘omosessuale’ e sottolinea che ognuno ha la stessa identità fondamentale: essere creatura e, per grazia, figlio di Dio, erede della vita eterna”.
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Sono presenti 11 commenti
ad essere coerenti allora dovete proibire anche il matrimonio tra le persone anziane perché si sposano se non possono fare figli allora si sposano solo per sesso o benessere economico
non c'e' coerenza
l'0mosessualita' e il matrimonio omosessuale
entro pochi anni non sara' piu' una novita' dovete prenderne atto il mondo va avanti
il sig. Anonimo mi pare abbia letto poco dell'articolo: io mi ritengo "aperto" nei confronti delle persone omosessuali, ma il tuo commento non fa altro che evidenziare la volontà esclusiva di polemizzare.. Nell'articolo si spiega che la chiesa non giudica (e tantomeno "vieta" qualcosa) le persone omosessuali ma RITIENE immorali gli atti tra persone dello stesso sesso (così come ritiene immorali gli atti prematrimoniali tra eterosessuali o l'uso di contraccettivi...)
Si può non essere d'accordo, ma perlomeno lo si faccia con cognizione di causa.
la cosa più triste è che c'è gente che ci crede.
L'omosessualità è un dono di Dio, come ogni forma di amore.
Dio li fece uomo e donna! Oppure nn é più vero?
Verissimo! Dio fece della donna un vero capolavoro. Guardare le immagini di Marika Fruscio: molto meglio di Cluney!
Avanti così e la specie umana si estinguerà!
Billy
Avanti tutta! Pardon: indietro! Ma vaaaaaaaaaaa!
Fabry
Il problema è che le persone omosessuali sono sole: sole perché le relazioni sessuate di pura amicizia non bastano...la fisicità è essenziale e dunque il problema è: se è vero che la genitalità dovrebbe appartenere alla sola sfera del matrimonio, i gay come possono sfogare il loro immenso desiderio di amare, sia intellettualmente, che fisicamente...c'è una maniera per sublimare l'amore fisico...per sentirsi bene...o si deve rimanere soli la sera in un letto di solitudine, che prima accetti eppoi invece ti fa dubitare di Dio...devi rimanere a disposizione dei tuoi, devi piegarti alle loro richieste, devi autocastrarti ogni giorno? Io sono gay casto, ma ci sto rimettendo la salute mentale, poco a poco: non mi danno 1 giorno di ferie perché devo contribuire al loro benessere familiare, non posso uscire, se non mezza giornata alla settimana, vivo o solo o attaccato ad amici solo via internet e questa mi viene propalata come vita normale da mia madre che mi vuole tenere inchiavistellato per via della morale cattolica...eppoi devo essere buono e capire sempre le esigenze altrui...la Chiesa ha costruito un sistema che opprime fortemente la persona gay, che rende illecito prima di tutto il desiderio stesso, che naturalmente non è peccato, ma che è stato oggetto sufficiente di persecuzione per secoli...io ho solo una forte certezza eucaristica: dio mi ama ed è pronto ad entrare fisicamente in me con la Comunione...ma persino questa certezza viene appannata dalla solitudine lacerante cui un gay cattolico è costretto...giacché neppure una coppia di due persone che si impegnino alla castità è permessa...giacché i miei palpiti d'amore ( non ho avuto rapporti) non sono amore anche se interrogando amici eteri ho scoperto che hanno le stesse sensazioni, le stesse emozioni...siamo crocifissi nella carne, ma quanto duro è dire sì alla propria croce giorno dopo giorno...quando io sento un prete pontificare gli mando un cordiale vaffa...voglio la castità solo perché penso che Dio voglia il mio corpo santo tutto per lui...ma poi si cade nella masturbazuìione e ci si rialza in un ciclo perenne che ti lascia corroso nelle tue forze fisiche e mentali...no la Chiesa deve aggiustare molto, anche perché l'amore che molti omosessuali hanno per la chiesa è grande...facile fare articoletti ribadendo le posizioni della chiesa, copiando il catechismo...ma se lo leggeste nelle due edizioni 1992 e 1997 vedreste importanti differenza: condizione innata nel 1992 e disordine profondamente radicato nel 1997...anche schoenborn e ratzinger non avevano le idee chiare (innata o no?)...se poi sento l'ultima intervista del guru cattolico sull'omosessualità tony anatrella s.j. peggio mi sento: ribadisce che Freud aveva capito tutto sulla genesi della nevrosi omosessuale, solo che anatrella conclude che è un peccato e un disordine grave, mentre Freud concludeva che era una variante minoritaria ma normale della sessualità umana e che perseguire una persona omosessuale era atto di crudeltà...le idee sono molto confuse attorno a san pietro, giacché la legge morale non può esaurire una ricerca delle cause, ed una discussione sulla libertà di scelta della persona gay...
faccio da pendant al mio commento di prima: quale evento proprio per le persone gay cristiane è stato programmato alla GMG di Rio? Vi parteciperà il cardinale Arcivescovo o il Sommo Pontefice...
Caro Alberto, ti ringrazio in primo luogo per aver voluto condividere qui con noi questa tua esperienza di vita. Posso capire le difficoltà che incontri quotidianamente nel rimanere fedele alla proposta della Chiesa sulla castità. Difficoltà non dissimili le incontriamo tutti, anche se in misura diversa, senza distinzione tra etero o gay, come tu stesso hai potuto constatare.
Le prove che la vita ci riserva e le croci che il Signore ci chiede di affrontare possono essere davvero tante. Tuttavia, come una volta mi disse un sacerdote in confessione - non lo potrò più dimenticare - ci sono due modi di portare la croce: la si può portare a stento, per forza, trovando sempre di che lamentarsi; oppure la si può portare con amore, abbracciandola a piene spalle. Il salto di qualità che adesso il Signore ti chiede di fare forse è proprio questo: continuare a portare questa tua croce che sperimenti a motivo della tua peculiare condizione non semplicemente per adempiere a un precetto morale, ma per amore di Dio.
Il compito è reso piuttosto arduo dal contesto culturale in cui viviamo, che suole identificare la castità puramenete e semplicemente con l'astinenza sessuale e di conseguenza la vede come una forma di autocastrazione. Ma la castità, in un'ootica cristiana, è un'esigenza che coinvolge in profondità la persona, in quanto esprime la vocazione dell'uomo all'amore nella diversità degli stati di vita. Anche con riferimento al matrimonio l'esigenza della castità non viene meno, pur se vissuta nel rispetto delle caratteristiche e delle finalità proprie dell'unione matrimoniale.
L'amore poi è per definizione anche "fisico", poiché la persona umana ama sempre nella sua totalità, corpo e spirito. Il cristianesimo non conosce il dualismo platonico. La fisicità però non può essere ridotta a pura genitalità. Non si tratta pertanto di sublimare una forma di amore, quello fisico, in un'altra, l'amore per così dire "intellettuale", ma piuttosto di mettere la genitalità stessa a servizio dell'amore, nel rispetto del disegno di Dio creatore e della verità integrale sulla sessualità umana.
Questo richiede un continuo impegno per tutti noi, ma confida che il Signore, come ci manda le prove e a volte le tentazioni, ci dà anche la grazia per affrontarle. Confidando nella bontà di Dio e nella certezza della Sua presenza nell'Eucaristia, in te così radicata, sono sicuro che ce la farai. Dio non lascia mai da soli i suoi figli! E neppure desidera per noi la solitudine.
Un caro saluto.
Ho confidato nel Signore, l'ho profondamente amato, quello che scrivi sulla castità lo so da molti anni , ma l'ho vissuto bene solo per periodi brevi (2-3-4 mesi) dopodiché almeno la voglia di una masturbazione mi è sempre venuta e allora si apre sempre la finestra del dubbio...ma posso tradire così il mio Dio...posso però annullare me stesso fino al punto di tagliare i miei sentimenti e la mia identità...più la cancelli e più riaffiora...posso accettare di fare finta che migliaia di ragazzini che vivono la scoperta della propria sessualità diversa non sono amati e aiutati da nessuno...Vedi se dicessi che Dio non mi è mai stato vicino, direi una balla grande come 20 campi da calcio, ma la mia via non c'è e nessuno me la indica, né dal Cielo, né dalla terra...dopo avere perso la forza di studiare, di amare, persino di divertirmi, non mi resta che la partecipazione alla Messa e qualche masturbazione oltre al lavoro che non mi permette di uscire di sera e dunque praticamente mi ha fatto perdere i contatti diretti con i pochi (ma veramente buoni) amici che ho...se Dio mi bastasse io sarei felice, ma poi si è deboli,si è circondati da astio, neppure tanto malcelato...e la tua ricerca di non avere partner, di stare vicino a Dio quanto possibile, non vale nulla. Io non sono sicuro che ce la farò, il mio Dio sembra tendermi la mano, ma poi, una volta rialzato lasciarmi là, ed io cado di nuovo, come un sacco che sta in piedi quando il suo amore mi riempie eppoi si svuota e cade a terra. La moglie di mio cugino mi ha detto di cambiare vita, di cambiare aria, di fare ciò che meglio credo, ma di andare via da un ambiente oppressivo...chiederò aiuto e consiglio a dei padri che incontrerò in vacanza, tuttavia non sono più disposto a sopportare la mia morte lenta...sono peccatore, ma sono anche una persona che ha sperperato i suoi talenti cercando la sua strada e trovando solo profonda incomprensione. La castità...ed è questo un consiglio che ti do, è mantenere il cuore unito (cor uNum), per rivolgere tutte le proprie affezioni verso Dio, questa attenzione agli invisibilia elimina la sorgente della concupiscenza...epperò allora un gay dovrebbe vivere come un monaco, non lasciato in mezzo al mondo (tralaltro quanti gay hanno preso nei conventi data la scarsità delle vocazioni...anzi andavano a cercare quelli che qualche diocesi rifiutava)...dovrebbe vivere in unione sacramentale perenne con Dio e non dovere stare fuori...invece noi dobbiamo raggiungere di fatto un alto grado di santità, stando nel mondo, facendoci da soli la pastorale, poiché nessuno si degna a farcela, e non dicendo mai ad amici, conoscenti nulla della nostra scelta perché qualcuno non ti comprenderebbe in quanto gay, l'altro in quanto casto...penso che la chiesa debba interrogarsi su una forma di nuova evangelizzazione per i gay...dire e non nascondere la verità, ma non quell'atteggiamento imperdonabile di dire che siamo minacce alla pace, che siamo patate bollenti di cui sbarazzarsi...così la persona gay da sola può contare solo sulla misericordia di Dio nonostante tutte le sue cadute, e la chiesa deve tremare per avere trattato come pezze alcuni dei suoi figli...la somma grazia è cooperare con Dio a salvare le anime, secondo San Giovanni della croce.
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