Saranno 21 le sedi diplomatiche statunitensi chiuse domani per un “allarme terrorismo”. In un comunicato del Dipartimento di Stato americano si parla di minacce “gravi e credibili”. Obiettivi di Al Qaeda sarebbero ambasciate e turisti americani in Africa e Medio Oriente.
Radio Vaticana - Su questo allarme, Michele Raviart ha intervistato Andrea Margelletti, presidente del Centro Studi Internazionali:
R. – E’ un allarme che viene da più fonti, fonti principalmente di tipo elettronico, ed anche da alcuni informatori sul terreno, nelle zone dove sono presenti Al Qaeda e le realtà ad essa vicina. Si teme un possibile attacco verso i cosiddetti “bersagli morbidi”, sullo stile di quanto avvenuto in Spagna alcuni anni fa. E’ per questo che nei confronti dei cittadini americani e delle delegazioni diplomatiche, il dipartimento di Stato ha provveduto alla chiusura precauzionale delle ambasciate.
D. – Questo allarme riguarda anche i cittadini. Cosa rischia la gente comune?
R. – La gente comune rischia di trovarsi, come spesso avviene, coinvolta nei terribili atti terroristici, in mezzo a quello che ormai è il mondo di oggi, cioè una realtà che non è più sicura come vorremmo che fosse, anche se naturalmente le forze dell’ordine e i servizi di Intelligence lavorano esattamente per far sì che ciascuno di noi possa vivere con serenità la propria quotidianità.
D. – Che cosa vuole nel 2013 Al Qaeda?
R. – Al Qaeda vuole innanzitutto riprendere il suo punto di centralità nel mondo dei movimenti jihadisti. Realtà che ha un po’ perso, negli ultimi anni, a seguito delle efficaci attività di antiterrorismo che sono state svolte dalla comunità internazionale. Al Qaeda adesso è una realtà meno centralizzata del passato, ma non di meno presente con una serie di realtà religiose che vanno dal Corno d’Africa, allo Yemen, all’Africa subsahariana, che sono particolarmente strutturate e presenti su quelle aree.
D. – Abbiamo parlato dello Yemen, che tra l’altro è l’unico Paese nel quale sono state chiuse anche alcune ambasciate europee. Perché in quel Paese è particolarmente sensibile l’allarme terrorismo?
R. – Perché è un Paese dove da molto tempo si vive una realtà di difficoltà, di autorevolezza da parte del potere centrale, che si scontra con dinamiche tribali e religiose endemiche all’interno della nazione. Questo rende lo Yemen un Paese particolarmente importante e da supportare nelle politiche di prevenzione.
D. – Sembra esserci un allarme minore in Europa. Si è detto che i Marines sono pronti ad intervenire. Qual è la situazione della sicurezza europea e, a questo punto, italiana in particolare, riguardo alla minaccia del terrorismo?
R. – Le operazioni che negli ultimi anni hanno caratterizzato le attività di prevenzione, di antiterrorismo nel nostro Paese dimostrano come le forze dell’ordine e i servizi abbiano lavorato in maniera eccellente. Da noi non è avvenuto quello che è avvenuto purtroppo in altri Paesi. Questo non vuol dire che la linea della tensione si sia abbassata, anzi, semmai, continua a mantenersi estremamente elevato il livello di guardia. Nondimeno in Europa, grazie ad una tradizione di qualità proprio delle Forze dell’ordine e dei servizi di Intelligence, molte delle realtà, delle cellule terroristiche sono sotto controllo. Questo, però, naturalmente non esclude i cosiddetti lupi solitari o altre realtà, che oggettivamente sono così piccole da rischiare spesso di andare sotto i radar della sorveglianza.
D. – Si può fare un bilancio della lotta al terrorismo? A che punto siamo?
R. – E’ una battaglia che riguarda soprattutto la politica e lo stato sociale all’interno dei diversi Paesi. Guardare la lotta ad Al Qaeda, al terrorismo a matrici religiose, esclusivamente dal prisma dei risultati di tipo “militare” non è sufficiente. Ci vorranno molti anni e soprattutto occorreranno forti politiche di collaborazione e di supporto all’instaurazione nei nostri Paesi di realtà democratiche, considerate dai propri cittadini autorevoli e non solo autoritarie.
Radio Vaticana - Su questo allarme, Michele Raviart ha intervistato Andrea Margelletti, presidente del Centro Studi Internazionali:
R. – E’ un allarme che viene da più fonti, fonti principalmente di tipo elettronico, ed anche da alcuni informatori sul terreno, nelle zone dove sono presenti Al Qaeda e le realtà ad essa vicina. Si teme un possibile attacco verso i cosiddetti “bersagli morbidi”, sullo stile di quanto avvenuto in Spagna alcuni anni fa. E’ per questo che nei confronti dei cittadini americani e delle delegazioni diplomatiche, il dipartimento di Stato ha provveduto alla chiusura precauzionale delle ambasciate.
D. – Questo allarme riguarda anche i cittadini. Cosa rischia la gente comune?
R. – La gente comune rischia di trovarsi, come spesso avviene, coinvolta nei terribili atti terroristici, in mezzo a quello che ormai è il mondo di oggi, cioè una realtà che non è più sicura come vorremmo che fosse, anche se naturalmente le forze dell’ordine e i servizi di Intelligence lavorano esattamente per far sì che ciascuno di noi possa vivere con serenità la propria quotidianità.
D. – Che cosa vuole nel 2013 Al Qaeda?
R. – Al Qaeda vuole innanzitutto riprendere il suo punto di centralità nel mondo dei movimenti jihadisti. Realtà che ha un po’ perso, negli ultimi anni, a seguito delle efficaci attività di antiterrorismo che sono state svolte dalla comunità internazionale. Al Qaeda adesso è una realtà meno centralizzata del passato, ma non di meno presente con una serie di realtà religiose che vanno dal Corno d’Africa, allo Yemen, all’Africa subsahariana, che sono particolarmente strutturate e presenti su quelle aree.
D. – Abbiamo parlato dello Yemen, che tra l’altro è l’unico Paese nel quale sono state chiuse anche alcune ambasciate europee. Perché in quel Paese è particolarmente sensibile l’allarme terrorismo?
R. – Perché è un Paese dove da molto tempo si vive una realtà di difficoltà, di autorevolezza da parte del potere centrale, che si scontra con dinamiche tribali e religiose endemiche all’interno della nazione. Questo rende lo Yemen un Paese particolarmente importante e da supportare nelle politiche di prevenzione.
D. – Sembra esserci un allarme minore in Europa. Si è detto che i Marines sono pronti ad intervenire. Qual è la situazione della sicurezza europea e, a questo punto, italiana in particolare, riguardo alla minaccia del terrorismo?
R. – Le operazioni che negli ultimi anni hanno caratterizzato le attività di prevenzione, di antiterrorismo nel nostro Paese dimostrano come le forze dell’ordine e i servizi abbiano lavorato in maniera eccellente. Da noi non è avvenuto quello che è avvenuto purtroppo in altri Paesi. Questo non vuol dire che la linea della tensione si sia abbassata, anzi, semmai, continua a mantenersi estremamente elevato il livello di guardia. Nondimeno in Europa, grazie ad una tradizione di qualità proprio delle Forze dell’ordine e dei servizi di Intelligence, molte delle realtà, delle cellule terroristiche sono sotto controllo. Questo, però, naturalmente non esclude i cosiddetti lupi solitari o altre realtà, che oggettivamente sono così piccole da rischiare spesso di andare sotto i radar della sorveglianza.
D. – Si può fare un bilancio della lotta al terrorismo? A che punto siamo?
R. – E’ una battaglia che riguarda soprattutto la politica e lo stato sociale all’interno dei diversi Paesi. Guardare la lotta ad Al Qaeda, al terrorismo a matrici religiose, esclusivamente dal prisma dei risultati di tipo “militare” non è sufficiente. Ci vorranno molti anni e soprattutto occorreranno forti politiche di collaborazione e di supporto all’instaurazione nei nostri Paesi di realtà democratiche, considerate dai propri cittadini autorevoli e non solo autoritarie.
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