Nell’approssimarsi della festa di s. Chiara e del momento commemorativo del suo transito, proseguiamo il ciclo di articoli sulla sororità con la testimonianza delle Sorelle clarisse di Bergamo, che raccolgono l’eredità della Madre Chiara vivendo l’essere sorelle tutti i giorni della loro vita, nella fedeltà al carisma scelto.
“E amandovi a vicenda nella carità di Cristo…” (TestsC 59). L’invito che la madre santa Chiara rivolge a noi sue figlie e sorelle mi risuona con particolare intensità in questa novena di preparazione alla celebrazione della sua solennità. Desiderosa di cogliere ancor più il segreto della sua esistenza e comprenderne la preziosa eredità affidataci, immagino di pormi, silenziosamente, quasi in punta di piedi, accanto al suo giaciglio per accogliere, commossa, l’ultimo respiro. Nello sguardo della madre, ormai morente, intravvedo ampi orizzonti. Le sorelle della prima ora le sono accanto; le osservo: la preziosità del tesoro incomparabile della santa unità e della scambievole carità, che Chiara, anche ora, prima di intraprendere il suo ultimo viaggio, ci consegna è davvero inestimabile. Il dono ricevuto in eredità ha una grandezza e un pregio veramente grandi, ne colgo tutta l’attualità, riconoscendovi una sfida per i nostri giorni. Immediatamente ripenso alla mia esistenza e agli anni trascorsi, fino ad oggi, con le mie sorelle in fraternità, alla gioia e alla fatica di costruire, giorno per giorno, relazioni fraterne sempre più autentiche e sincere. Il dono della fraternità discende dall’alto, ma è, contemporaneamente, affidato all’inadeguatezza dei nostri poveri vasi di creta, alla ricchezza e alla povertà della nostra umanità, sempre bisognosa di purificazione e di conversione.
Sì, siamo sorelle, sorelle povere! Nome più evocativo di questo non poteva esprimere l’intuizione carismatica di Chiara; in questa denominazione, infatti, ella traccia e indica l’itinerario della nostra sequela evangelica chiamata ad assumere e ad attraversare, proprio per amore del Cristo povero e crocifisso, la nostra vicendevole fragilità, quale peculiare via di santità.
I pensieri si rincorrono nella mia mente. Guardo alla madre, morente sul suo giaciglio, giunta ormai al vertice della sua kenosis e mi chiedo ancora una volta, desiderosa di carpirne il segreto: “Perché un’ostinazione così forte nel difendere, a “spada tratta”, il suo ideale di altissima povertà?”. Considero, allora, i primi passi percorsi con le poche sorelle che il Signore le aveva donato, alle fatiche e alle umiliazioni portate per amore del crocifisso povero: la loro vita a san Damiano non era esente da fatiche relazionali, piccoli o grandi egoismi, rivalità, invidie, mormorazioni, divisioni ecc. proprio come quella di oggi.
Significative in proposito sono le parole che Chiara ci rivolge nella sua Forma di Vita: “Ammonisco poi ed esorto nel Signore Gesù Cristo, che si guardino le sorelle da ogni superbia, vanagloria, invidia, avarizia, cura e sollecitudine di questo mondo, dalla detrazione e mormorazione, dalla discordia e dalla divisione. Siano invece sempre sollecite nel conservare sempre reciprocamente l’unità dall’amore vicendevole che è il vincolo della perfezione” (RsC X,6-7).
L’altissima povertà è ingrediente necessario alla costruzione paziente e tenace delle nostre fraternità e si esprime anche in un cammino radicale di espropriazione e di distacco da sé. Quante volte, infatti, ho toccato con mano che i desideri della carne chiudono il mio cuore alle sorelle, rendendomi egoista, perché ripiegata su me stessa. Quante volte ho sperimentato, nella concretezza delle situazioni, che l’attaccamento ostinato al mio io e ai miei schemi mentali, viziati spesso da distorsioni affettive ed emotive, nonché alla mia angusta idea di santità e di sequela, mi impedisce di entrare in relazione con le sorelle escludendomi dallo sperimentare il dono e la grazia della fraternità; quante volte ho constatato che la non disponibilità a giocarmi e a perdermi, fino in fondo, per il bene di tutte le sorelle, diventa un grave ostacolo che mina anzitutto me stessa, e nel contempo priva l’intera fraternità della ricchezza che il Creatore e Padre mi ha affidato, quale mio peculiare dono.
La via dell’altissima povertà apre la via alla relazione e di conseguenza alla vita, alla pienezza, all’armonia, all’unità e alla comunione dei cuori, all’eccedenza e all’abbondanza, secondo quanto canta il salmo 132: “Ecco come è bello e come è dolce che i fratelli vivano insieme. Là il Signore dona la benedizione e la vita per sempre”.
Guardo attentamente la madre e le sorelle della prima ora che si avvicendano, sollecite e premurose, al suo capezzale. Le osservo con attenzione: il loro servizio umile e vicendevole trasuda carità, tenerezza, comprensione. Quell’Amore guardato, meditato e contemplato quotidianamente nel Bambino povero di Betlemme e nel Cristo nudo sulla croce, brilla nei loro gesti, nei loro sorrisi.
Considero, silenziosa, la loro testimonianza. Essa racconta all’uomo di ogni epoca che è possibile vivere relazioni interpersonali vere, durature, libere perché fondate sul Vangelo. L’ideale è alto! Entusiasma e affascina, spinge in avanti e aiuta a sostenere la fatica di relazioni difficili e sofferte, senza abdicare la nudità del quotidiano!
Profezia di una nuova umanità? Sfida per l’uomo e la donna del nostro tempo? Ne sono certa! Chiara ci ricorda che, per vocazione siamo chiamate ad essere specchio ed esempio per gli altri che vivono nel mondo (cfr. TestsC 21). La nostra vita evangelica, infatti, come una lucerna posta sopra il candelabro, può illuminare coloro che vivono nell’ambiguità di un’esistenza caratterizzata da relazioni liquide e provvisorie, ed essere per tutti, un richiamo ai valori evangelici dell’interiorità, della tenerezza, del dono di sé gratuito e disinteressato, nonché della disponibilità a portare vicendevolmente i pesi gli uni degli altri.
Guardo, commossa, la madre ormai giunta alla soglia dell’eternità: nelle sue mani vuote e scarne sono deposti rigogliosi frutti. Il giorno volge al declino e i colori del tramonto colorano questa sera che pare essere preludio del giorno senza tramonto. Nel silenzio di queste sacre mura un inno di benedizione e di lode s’innalza sommessamente: “Sii benedetto o Signore perché mi hai creata!”.
“E amandovi a vicenda nella carità di Cristo…” (TestsC 59). L’invito che la madre santa Chiara rivolge a noi sue figlie e sorelle mi risuona con particolare intensità in questa novena di preparazione alla celebrazione della sua solennità. Desiderosa di cogliere ancor più il segreto della sua esistenza e comprenderne la preziosa eredità affidataci, immagino di pormi, silenziosamente, quasi in punta di piedi, accanto al suo giaciglio per accogliere, commossa, l’ultimo respiro. Nello sguardo della madre, ormai morente, intravvedo ampi orizzonti. Le sorelle della prima ora le sono accanto; le osservo: la preziosità del tesoro incomparabile della santa unità e della scambievole carità, che Chiara, anche ora, prima di intraprendere il suo ultimo viaggio, ci consegna è davvero inestimabile. Il dono ricevuto in eredità ha una grandezza e un pregio veramente grandi, ne colgo tutta l’attualità, riconoscendovi una sfida per i nostri giorni. Immediatamente ripenso alla mia esistenza e agli anni trascorsi, fino ad oggi, con le mie sorelle in fraternità, alla gioia e alla fatica di costruire, giorno per giorno, relazioni fraterne sempre più autentiche e sincere. Il dono della fraternità discende dall’alto, ma è, contemporaneamente, affidato all’inadeguatezza dei nostri poveri vasi di creta, alla ricchezza e alla povertà della nostra umanità, sempre bisognosa di purificazione e di conversione.
Sì, siamo sorelle, sorelle povere! Nome più evocativo di questo non poteva esprimere l’intuizione carismatica di Chiara; in questa denominazione, infatti, ella traccia e indica l’itinerario della nostra sequela evangelica chiamata ad assumere e ad attraversare, proprio per amore del Cristo povero e crocifisso, la nostra vicendevole fragilità, quale peculiare via di santità.
I pensieri si rincorrono nella mia mente. Guardo alla madre, morente sul suo giaciglio, giunta ormai al vertice della sua kenosis e mi chiedo ancora una volta, desiderosa di carpirne il segreto: “Perché un’ostinazione così forte nel difendere, a “spada tratta”, il suo ideale di altissima povertà?”. Considero, allora, i primi passi percorsi con le poche sorelle che il Signore le aveva donato, alle fatiche e alle umiliazioni portate per amore del crocifisso povero: la loro vita a san Damiano non era esente da fatiche relazionali, piccoli o grandi egoismi, rivalità, invidie, mormorazioni, divisioni ecc. proprio come quella di oggi.
Significative in proposito sono le parole che Chiara ci rivolge nella sua Forma di Vita: “Ammonisco poi ed esorto nel Signore Gesù Cristo, che si guardino le sorelle da ogni superbia, vanagloria, invidia, avarizia, cura e sollecitudine di questo mondo, dalla detrazione e mormorazione, dalla discordia e dalla divisione. Siano invece sempre sollecite nel conservare sempre reciprocamente l’unità dall’amore vicendevole che è il vincolo della perfezione” (RsC X,6-7).
L’altissima povertà è ingrediente necessario alla costruzione paziente e tenace delle nostre fraternità e si esprime anche in un cammino radicale di espropriazione e di distacco da sé. Quante volte, infatti, ho toccato con mano che i desideri della carne chiudono il mio cuore alle sorelle, rendendomi egoista, perché ripiegata su me stessa. Quante volte ho sperimentato, nella concretezza delle situazioni, che l’attaccamento ostinato al mio io e ai miei schemi mentali, viziati spesso da distorsioni affettive ed emotive, nonché alla mia angusta idea di santità e di sequela, mi impedisce di entrare in relazione con le sorelle escludendomi dallo sperimentare il dono e la grazia della fraternità; quante volte ho constatato che la non disponibilità a giocarmi e a perdermi, fino in fondo, per il bene di tutte le sorelle, diventa un grave ostacolo che mina anzitutto me stessa, e nel contempo priva l’intera fraternità della ricchezza che il Creatore e Padre mi ha affidato, quale mio peculiare dono.
La via dell’altissima povertà apre la via alla relazione e di conseguenza alla vita, alla pienezza, all’armonia, all’unità e alla comunione dei cuori, all’eccedenza e all’abbondanza, secondo quanto canta il salmo 132: “Ecco come è bello e come è dolce che i fratelli vivano insieme. Là il Signore dona la benedizione e la vita per sempre”.
Guardo attentamente la madre e le sorelle della prima ora che si avvicendano, sollecite e premurose, al suo capezzale. Le osservo con attenzione: il loro servizio umile e vicendevole trasuda carità, tenerezza, comprensione. Quell’Amore guardato, meditato e contemplato quotidianamente nel Bambino povero di Betlemme e nel Cristo nudo sulla croce, brilla nei loro gesti, nei loro sorrisi.
Considero, silenziosa, la loro testimonianza. Essa racconta all’uomo di ogni epoca che è possibile vivere relazioni interpersonali vere, durature, libere perché fondate sul Vangelo. L’ideale è alto! Entusiasma e affascina, spinge in avanti e aiuta a sostenere la fatica di relazioni difficili e sofferte, senza abdicare la nudità del quotidiano!
Profezia di una nuova umanità? Sfida per l’uomo e la donna del nostro tempo? Ne sono certa! Chiara ci ricorda che, per vocazione siamo chiamate ad essere specchio ed esempio per gli altri che vivono nel mondo (cfr. TestsC 21). La nostra vita evangelica, infatti, come una lucerna posta sopra il candelabro, può illuminare coloro che vivono nell’ambiguità di un’esistenza caratterizzata da relazioni liquide e provvisorie, ed essere per tutti, un richiamo ai valori evangelici dell’interiorità, della tenerezza, del dono di sé gratuito e disinteressato, nonché della disponibilità a portare vicendevolmente i pesi gli uni degli altri.
Guardo, commossa, la madre ormai giunta alla soglia dell’eternità: nelle sue mani vuote e scarne sono deposti rigogliosi frutti. Il giorno volge al declino e i colori del tramonto colorano questa sera che pare essere preludio del giorno senza tramonto. Nel silenzio di queste sacre mura un inno di benedizione e di lode s’innalza sommessamente: “Sii benedetto o Signore perché mi hai creata!”.
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