lunedì, agosto 19, 2013
Questo tipo di eventi era praticamente assente solo qualche decennio fa. Per il 2020 si prevede che avranno già frequenza raddoppiata.  

GreenReport - Le ondate di caldo estreme, come quelle che nel 2012 hanno colpito gli Usa, nel 2010 la Russia e quest’anno l’Australia, probabilmente saranno più frequenti nel prossimo futuro: è la conclusione alla quale sono giunti Dim Coumou, del Potsdam-Instituts für Klimafolgenforschung (Pik), e Alexander Robinson del Departamento de Astrofísica y Ciencias de la Atmósfera, Facultad de Ciencias Físicas, Universidad Complutense de Madrid (Ucm), ricercatori che hanno pubblicato su Environmental Research Letters lo studio Historic and future increase in the global land area affected by monthly heat extremes.

I due ricercatori ricordano che questo tipo di eventi estremi era praticamente assente qualche decennio fa, ma oggi, a causa del global warmin
g di origine antropica, interessano già il 5% della superficie terreste e sono destinati a raddoppiare entro il 2020 ed a quadruplicare entro il 2040. I ricercatori però sottolineano che un ulteriore aumento delle ondate di caldo nella seconda metà del secolo potrebbe essere evitato se venissero ridotte sensibilmente le emissioni globali di gas serra.

Gli scienziati hanno messo insieme i risultati di una serie completa di state-of-the-art climate models, il Coupled model intercomparison project (CmiP5), riducendo così l’incertezza legata ad ogni singolo modello. Robinson ha detto: «Abbiamo dimostrato che queste simulazioni catturano molto bene l’aumento osservato negli estremi di calore nel corso degli ultimi 50 anni. Questo ci rende fiduciosi che siano in grado di indicare seriamente che cosa c’è da aspettarsi in futuro».

Coumou spiega: «In molte regioni, entro la fine del secolo i mesi estivi saranno più caldi di quanto abbiamo sperimentato fino ad oggi, questo è ciò che i nostri calcoli mostrano in uno scenario di cambiamento climatico senza sosta. Stiamo entrando in un nuovo regime climatico». I due scienziati si sono concentrati sulle ondate di caldo, che acuiscono la naturale variabilità delle temperature nei mesi estivi in una regione con un ampio margine, vale a dire i cosiddetti eventi 3-sigma, cioè periodi di diverse settimane che hanno tre deviazioni standard più calde del normale clima locale, spesso con conseguenti perdite di raccolti, incendi boschivi e morti per caldo nelle città che vengono colpite.

Se continueremo ad emettere CO2 agli stessi ritmi di oggi, entro il 2100 queste ondate di caldo estremo in estate potrebbero interessare l’85% della superficie terrestre ed eventi estremi ancora più caldi, praticamente inesistenti attualmente, interesserebbero il 60% della superficie del nostro pianeta.

La brutta notizia che arriva dallo studio è che, mentre la lotta al cambiamento climatico potrebbe evitare questo scenario estremo di fine secolo, il previsto aumento delle ondate di caldo entro la metà del secolo dovrebbe accadere indipendentemente dalla scenario delle emissioni. Coumou sottolinea: «Oggi ci sono già tanti gas serra nell’atmosfera che l’aumento a breve termine di estremi di calore sembra essere quasi inevitabile»

Si tratta comunque di informazioni importanti per mettere in campo misure di adattamento nelle aree interessate, anche perché le ondate di caldo non saranno uguali in tutte le regioni del mondo.

I due ricercatori fanno l’esempio del caldo estremo in Russia che ha visto un aumento della temperatura media mensile di 7 gradi a Mosca e le temperature giornaliere con un picco sopra i 40 gradi, mentre nelle regioni tropicali, come ad esempio l’India o il Brasile meridionale, la variabilità naturale è molto più piccola, quindi gli eventi 3-sigma non hanno scarti così grandi in termini di temperature assolute, sebbene ai tropici cambiamenti anche relativamente piccoli possano avere un forte impatto.

Robinson infatti conclude: «In generale, la società e gli ecosistemi sono adattati alle condizioni estreme vissute nel passato ma molto meno agli estremi al di fuori del range storico. Così, nei tropici, cambiamenti anche relativamente piccoli possono produrre un grande impatto ed i nostri dati indicano che questi cambiamenti, previsti da precedenti ricerche, stanno già accadendo».


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