domenica, agosto 11, 2013
Nelle “Considerazioni circa i progetti di riconoscimento giuridico alle unioni omosessuali” la Congregazione per la dottrina della fede esplicita la posizione del Magistero su una questione di notevole impatto politico e sociale. Il documento, dopo una ricognizione delle principali argomentazioni razionali che si oppongono al riconoscimento giuridico delle unioni omosessuali, indica il “contegno” che i cattolici, e in particolare i parlamentari cattolici, dovrebbero tenere in argomento nel dibattito pubblico e nel valutare le pertinenti iniziative legislative.

di Bartolo Salone

A fronte della tendenza di alcuni Stati a conferire riconoscimento giuridico alle unioni omosessuali, in taluni casi perfino nella forma del matrimonio con diritto all’adozione dei minori, la Congregazione per la dottrina della fede ha promulgato il 3 giugno 2003 un documento in cui viene delineata la posizione ufficiale della Chiesa cattolica in argomento: si tratta delle “Considerazioni circa i progetti di riconoscimento legale delle unioni tra persone omosessuali” a firma del cardinal prefetto Joseph Ratzinger e con approvazione del Santo Padre Giovanni Paolo II. Richiamandosi a propri precedenti interventi (come già spiegato in questo articolo), la Congregazione ribadisce che il principio cardine da cui prendere le mosse nel valutare le proposte di legge favorevoli al riconoscimento giuridico di unioni tra persone dello stesso sesso rimane quello del rispetto della verità morale integrale, “alla quale si oppongono sia l’approvazione delle relazioni omosessuali sia l’ingiusta discriminazione nei confronti delle persone omosessuali”. Il magistero cattolico, inoltre, a questo proposito distingue la tolleranza in fatto di questo tipo di unione da parte degli ordinamenti statuali (opzione in sé non difforme dall’insegnamento della Chiesa) dal loro riconoscimento giuridico, al quale la Chiesa rimane invece fermamente contraria. Come ci rammenta la Congregazione nelle sue “Considerazioni”, “la tolleranza del male è qualcosa di molto diverso dall’approvazione o dalla legalizzazione del male”, alla quale il diritto statuale non può assolutamente indulgere. A tale esito ostano infatti tutta una serie di ragioni di ordine biologico, antropologico, giuridico e sociale, che il documento ha cura di indicare e che sarà bene adesso richiamare sinteticamente.

Sotto il primo profilo si osserva come nelle unioni omosessuali manchino quegli elementi biologici e antropologici del matrimonio e della famiglia che potrebbero fondarne ragionevolmente il riconoscimento. Tali unioni “non sono in condizione di assicurare adeguatamente la procreazione e la sopravvivenza della specie umana” e per di più difettano del tutto della “dimensione coniugale”, che rappresenta la forma umana e ordinata delle relazioni sessuali. Queste ultime, infatti, sono veramente umane quando “esprimono e promuovono il mutuo aiuto dei sessi nel matrimonio e rimangono aperte alla trasmissione della vita”. Dalle evidenziate differenze di ordine biologico e antropologico non possono non derivare delle conseguenze sotto il profilo giuridico. A questo proposito, occorre ricordare che il riconoscimento giuridico dell’unione stabile tra un uomo e una donna (nella forma del matrimonio) riposa non su ragioni “sentimentali”, bensì su valutazioni di interesse pubblico che tengono conto del peculiare contributo che le relazioni matrimoniali tra un uomo e una donna rivestono per il bene comune, in particolare con riferimento al loro specifico compito procreativo ed educativo. Le unioni omosessuali, invece, “non esigono una specifica attenzione da parte dell’ordinamento giuridico, perché non rivestono il suddetto ruolo per il bene comune”. Anzi, il riconoscimento giuridico delle unioni omosessuali, specialmente nella forma del matrimonio, sarebbe in contrasto con il bene comune, visto l’impatto negativo che siffatto riconoscimento avrebbe sul piano sociale e su quello educativo. Qualora tale riconoscimento comportasse la piena equiparazione al matrimonio anche sotto il profilo della possibilità di adozione, ne sarebbe pregiudicato altresì e gravemente il bene dei bambini. “Inserire dei bambini nelle unioni omosessuali per mezzo dell’adozione – afferma la Congregazione – significa di fatto fare violenza a questi bambini nel senso che ci si approfitta del loro stato di debolezza per introdurli in ambienti che non favoriscono il loro pieno sviluppo umano”. Negativo sarebbe infine l’impatto che sul piano educativo avrebbe l’approvazione di leggi che conferiscono riconoscimento giuridico alle unioni omosessuali. Infatti, posto che le forme di vita e i comportamenti espressi dalle leggi non solo configurano esternamente la vita sociale, bensì tendono a modificare nelle nuove generazioni la comprensione e la valutazione dei comportamenti, “la legalizzazione delle unioni omosessuali sarebbe destinata a causare l’oscuramento della percezione di alcuni valori morali fondamentali e la svalutazione dell’istituzione matrimoniale”.

La Congregazione, inoltre, ha cura di vagliare in senso critico alcune delle principali argomentazioni addotte a sostegno del riconoscimento legale delle unioni omosessuali. Così si evidenzia che a sostegno della legalizzazione delle unioni omosessuali non può essere invocato il principio del rispetto e della non discriminazione della persona. Tale principio, infatti, non impedisce ogni distinzione tra le persone e le situazioni, bensì solo quelle che siano contrarie alla giustizia; e “non attribuire lo statuto sociale e giuridico di matrimonio a forme di vita che non sono né possono essere matrimoniali non si oppone alla giustizia, ma al contrario è da essa richiesta”. Né può essere invocato ragionevolmente il principio della giusta autonomia personale, perché “una cosa è che i singoli cittadini possano svolgere liberamente attività per le quali nutrono interesse e che tali attività rientrino genericamente nei comuni diritti civili di libertà, e un’altra e ben diversa è che attività che non rappresentano un significativo e positivo contributo per lo sviluppo della persona e della società possano ricevere dallo Stato un riconoscimento legale specifico e qualificato”. Non è vera infine l’argomentazione secondo la quale il riconoscimento legale delle unioni omosessuali sarebbe necessario per evitare che i conviventi omosessuali perdano, per il semplice fatto della loro convivenza, il riconoscimento dei diritti comuni che spettano loro in quanto persone e cittadini. In realtà, essi, come tutti i cittadini, possono sempre ricorrere, a partire dalla loro autonomia privata, al diritto comune per tutelare situazioni giuridiche di reciproco interesse. Costituirebbe invece “una grave ingiustizia sacrificare il bene comune e il retto diritto di famiglia allo scopo di ottenere dei beni che possono e debbono essere garantiti per vie non nocive per la generalità del corpo sociale”.

Quanto al contegno che i cattolici devono tenere di fronte a leggi favorevoli al riconoscimento giuridico delle unioni omosessuali, trattandosi di provvedimenti così radicalmente contrari al bene comune e alla retta ragione, il principio da seguire rimane quello dell’obiezione di coscienza. Pertanto, “in presenza del riconoscimento legale delle unioni omosessuali oppure dell’equiparazione legale delle medesime al matrimonio con accesso ai diritti che sono propri di quest’ultimo, è doveroso opporsi in forma chiara ed incisiva. Ci si deve astenere da qualsiasi tipo di cooperazione formale alla promulgazione o all’applicazione di leggi così gravemente ingiuste nonché, per quanto è possibile, dalla cooperazione materiale sul piano applicativo. In questa materia ognuno può rivendicare il diritto all’obiezione di coscienza”. Ancor più delicato il compito dei parlamentari cattolici, i quali, di fronte a proposte di legge di riconoscimento delle unioni omosessuali dovranno conformare il loro comportamento alle seguenti indicazioni etiche: se un progetto di legge favorevole al riconoscimento legale delle unioni omosessuali viene proposto per la prima volta in Parlamento, il parlamentare cattolico ha il dovere morale di esprimere chiaramente e pubblicamente il suo disaccordo e votare contro il progetto di legge. Invece, se una legge di questo tipo fosse già in vigore e non risultasse possibile ottenerne l’abrogazione totale ed immediata, il parlamentare cattolico – secondo un principio generale già affermato da Giovanni Paolo II nell’enciclica “Evangelium vitae” – “potrebbe lecitamente offrire il proprio sostegno a proposte mirate a limitare i danni di una tale legge e a diminuirne gli effetti negativi sul piano della cultura e della moralità pubblica”, purché sia a tutti nota la sua personale assoluta opposizione a leggi siffatte e sia evitato il pericolo di scandalo. Neanche i politici si possono sottrarre infatti al dovere di rendere testimonianza alla verità, che grava su tutti i cristiani qual che sia la vocazione o lo specifico stato di vita!


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