mercoledì, agosto 28, 2013
Una serie di attacchi limitati contro la Siria in rappresaglia per l'uso di armi chimiche potrebbero essere lanciati "a partire da giovedì".  

Radio Vaticana - Lo ha detto alla Nbc una fonte dell'amministrazione Usa. Gran Bretagna e Francia ritengono che l’attacco chimico su Damasco non possa rimanere impunito. L’Italia darà le basi solo con un mandato dell’Onu. La Casa Bianca comunque assicura che l’obiettivo non è un cambio di regime a Damasco e in settimana l’intelligence Usa fornirà un rapporto sull’uso dei gas. Il servizio di Debora Donnini: ascolta

Si fanno più insistenti le voci su un possibile intervento militare in Siria. Di una serie di attacchi limitati in rappresaglia per l'uso di armi chimiche che potrebbero essere lanciati "a partire da giovedì", parla alla Nbc una fonte dell'amministrazione Usa. Si tratterebbe di "tre giorni di raid" , limitati nell'obiettivo e mirati a mandare un messaggio al regime di Damasco. Le indicazioni sono arrivate dopo un nuovo giro di diplomazia telefonica del presidente Barack Obama con il primo ministro australiano Kevin Rudd e il presidente francese Francois Hollande. L’amministrazione americana sottolinea però che Obama non ha ancora preso alcuna decisione. Gli Usa continuano infatti le consultazioni con gli alleati e avrebbero abbandonato le speranze di ottenere un'autorizzazione da parte del Consiglio di sicurezza dell'Onu, dato il certo veto della Russia. Mosca oggi ha fatto sapere che i tentativi di aggirare il Consiglio di Sicurezza creano per l’ennesima volta pretesti artificiali infondati per un intervento militare nella regione, gravidi di nuove sofferenze in Siria e conseguenze catastrofiche per Medio Oriente e Nord Africa. Per la Gran Bretagna la comunità internazionale deve rispondere al presunto attacco chimico in Siria, anche se il premier Cameron chiarisce che l’intervento avrebbe obiettivi specifici, spiegando che la Gran Bretagna non vuole essere coinvolta in una guerra in Medio Oriente. Anche per la Francia l’attacco chimico su Damasco non può restare senza risposta. Da parte sua l’Italia esclude soluzioni militari o l’utilizzo di basi poste sul suo territorio al di fuori di un mandato del Consiglio di sicurezza dell’ONU. Oggi, poi, il premier italiano Letta e il britannico Cameron in un colloquio telefonico hanno convenuto che con l’uso di armi chimiche in Siria si è passato il punto di non ritorno e Letta ha ribadito la ferma condanna dell’Italia per l’attacco del 21 agosto, parlando di crimine inaccettabile. Sul terreno la Coalizione siriana, la principale piattaforma dell’opposizione al presidente, fa sapere in un comunicato che ''aerei delle forze di Bashar al Assad hanno attaccato zone popolate, vicino ad Aleppo, con bombe al fosforo e napalm'' e ''lanciato raid aerei e razzi contro i civili vicino a Idlib, con centinaia di morti e feriti''. L’attacco, riferisce l’opposizione, è avvenuto ad Aroum al Kubra, nell'area di Aleppo, e ha ucciso almeno 10 civili e ferito decine, mentre ad Ariha, vicino a Idlib, "gli aerei di Assad hanno lanciato razzi uccidendo e ferendo centinaia di civili. Il numero delle vittime sepolte sotto le macerie è ancora sconosciuto".

L’Amministrazione americana è, dunque, sotto pressione, ma quali le conseguenze di un possibile attacco sugli equilibri diplomatici internazionali? Salvatore Sabatino lo ha chiesto a Ennio Di Nolfo, docente emerito di Relazioni Internazionali presso l’Università di Firenze: ascolta

R. - Penso che ci sarebbero conseguenze terrificanti e da evitare! Mi auguro che queste voci che circolano insistentemente, dopo la dichiarazione del segretario di Stato Kerry, siano voci che tendano ad amplificare l’intenzione dell’Amministrazione americana e mi auguro che l’Amministrazione americana consideri approfonditamente le fatali conseguenze che avrebbe un’iniziativa militare nell’area.

D. - La più interventista è sicuramente la Gran Bretagna che spinge per un attacco, anche senza avallo del Consiglio di Sicurezza dell’Onu. Perché questa posizione così netta di Londra?

R. - Sia la Gran Bretagna, sia la Francia sono spinte - secondo me - dalla nostalgia di essere state potenze imperiali fino a qualche decennio fa, ma sono spinte poi anche dal fallimento clamoroso che hanno visto in Libia... e sembra vogliano ripetere forse questo fallimento nel caso della Siria, in una situazione assai peggiore per i due Paesi che lo promuovono e per il contesto nel quale l’azione si svolgerebbe.

D. - Su una cosa non ci sono dubbi: l’Europa, anche in questo caso, si mostra divisa al suo interno?

R. - Certo. L’Europa, in questo momento, è priva di una politica estera comune e questa è una vera tragedia, perché le poche ipotesi avanzate dalla Ashton durante la crisi egiziana, nel momento più critico della crisi egiziana, non sono state poi confermate da un’azione coerente di tutta l’Unione Europea, che è profondamente divisa. Il fatto che - per fortuna! - la Merkel sia costretta dalla campagna elettorale a non volere un’azione militare è una "benedizione involontaria" per l’Unione Europea, che è così costretta a non intervenire, quando invece la Francia e la Gran Bretagna - come si diceva - vorrebbero farlo.

D. - Un altro attore importantissimo nella questione siriana è sicuramente la Russia, che esprime rammarico e avverte: “I tentativi di aggirare il Consiglio di sicurezza Onu, creano pretesti artificiali infondati per un intervento militare nella regione”: insomma una posizione, quella di Putin, molto netta...

R. - Molto netta e - a mio parere - anche molto efficace spero, perché se è vero quello che Obama ha detto qualche giorno fa, che l’azione americana si svolgerà solo all’interno di una approvazione delle Nazioni Unite, il veto della Russia è garantito. Se invece affiorano le ipotesi "stile Kosovo", mi pare che allora la Russia - in questo caso - avrebbe messo a tacere con conseguenze drammatiche nei rapporti continentali Europa-Russia e nei rapporti internazionali più vasti Russia-Stati Uniti.

D. - Per quanto riguarda l’Iran, ha ribadito che un attacco alla Siria avrebbe gravi conseguenze in tutta la regione mediorientale. Un dato reale questo?

R. - Questo è il dato più pesante fra tutti! Io credo che la posizione dell’Iran sia una posizione quanto mai importante non solo per motivazioni religiose, ma anche per motivazioni geopolitiche. L’Iran è, con la Turchia e con l’Egitto, uno dei tre i grandi Paesi che dominano la situazione mediorientale: mentre la Turchia e l’Egitto sono all’interno in preda ad un crisi, l’Iran in questo momento affronta una nuova politica estera, con un nuovo presidente, che non nasconde la sua volontà di collaborare o riprendere i negoziati con gli Stati Uniti e il mondo sulla questione nucleare, ma che non potrebbe mai accettare un intervento militare in Siria. Sicché un’azione militare in Siria, farebbe saltare tutto l’assetto mediorientale!


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