martedì, agosto 06, 2013
L’Artico è la nuova frontiera. Sotto quel mare sempre meno ghiacciato sono conservate, si calcola, il 30% delle riserve di gas e il 13% delle riserve non ancora scoperte di petrolio. Se la domanda di combustibili fossili continuerà a essere sostenuta, nel corso di dieci anni, calcolano i Lloyd’s di Londra, nell’Artico saranno investiti oltre 100 miliardi di dollari

GreenReport - Molti sostengono che le regioni altre il circolo polare artico andranno incontro a due tipi di cambiamento. Uno di tipo antropico: nuovi centri di estrazione, nuovi porti, nuove città. L’altro di tipo naturale: senza politiche di “mitigazioni” dei cambiamenti climatici (e, dunque, senza una drastica diminuzione dell’utilizzo dei combustibili fossili), il permafrost della Siberia e di tutte le altre aree ghiacciate dell’estremo nord del pianeta si scioglierà, liberando enormi quantità di metano.
 Il solo permafrost siberiano ha imprigionato in sé, sotto forma di idrato di metano, 50 miliardi di tonnellate del gas serra. Gran parte di questa enorme quantità di metano volerà libera in atmosfera entro il 2050, determinando un ulteriore incremento dell’effetto serra e, dunque, accelerando ulteriormente il cambiamento del clima globale. Altri effetti della liberazione del metano, già parzialmente in atto, si avranno sugli oceani in generale e sullo stesso Oceano Artico in particolare.

Con quale impatto economico, oltre che ecologico sul pianeta? Di recente Gail Whiteman, dell’università Erasmus di Rotterdam, in Olanda, insieme a Chris Hope e Peter Wadhams dell’università di Cambridge, in Gran Bretagna, hanno, per così dire, presentato il conto. In mancanza di politiche di “mitigazione”, scrivono in un articolo su Nature, il disgelo artico con la conseguente liberazione di metano costerà al pianeta, di qui a fine secolo, qualcosa come 60mila miliardi di dollari (poco meno del Prodotto interno loro globale, che nel 2012 è stato di 70mila miliardi di dollari), che si andranno ad aggiungere ai 400mila miliardi di dollari che, si calcola, costerà il più generale cambiamento del clima. Un extra, dunque, del 15%.

Ma la liberazione del metano sarà solo uno degli effetti del cambiamento nelle regioni artiche. Per cui il conto totale sarà ancora più salato. In realtà, gli scenari fisici ed economici ricostruiti al computer dai tre studiosi sono diversi e più complessi. Ci sono diverse opzioni (eh, sì; perché molte scelte dipendono da noi).

Il meno favorevole è quello che prevede il rilascio delle 50 gigatonnellate di metano tra il 2015 e il 2025, in regime di «business as usual». Il gas in atmosfera accelererà i cambiamenti climatici, cosicché la soglia di 2 °C di aumento della temperatura media terrestre rispetto all’epoca pre-industriale sarà superata già intorno al 2035. Tra vent’anni. Con un costo globale aggiuntivo, appunto, di 60mila miliardi di dollari. E, soprattutto, con cambiamenti ecologici e sociali molto pesanti. La gran parte di questi costi sarà pagata dalle popolazioni più povere del pianeta. Senza politiche di mitigazione la temperatura aumenterà di circa 4 °C entro il 2100.

Ci sono, tuttavia, scenari meno drastici. Che prevedono, appunto, politiche di mitigazione dei cambiamenti climatici incisive. Tali da contenere l’aumento della temperatura entro i 2 °C a fine secolo. Ebbene, anche in questo scenario il metano artico avrà un ruolo di acceleratore. La soglia dei 2 °C di aumento della temperatura sarà raggiunta entro il 2040, per poi stabilizzarsi. I costi stimati di questo cambiamento climatico contenuto entro la soglia dei 2 °C saranno comunque di 87mila miliardi di dollari. Ma la liberazione del metano artico, calcolano i tre studiosi, sarà di 37mila miliardi di dollari. Un extra del 45%.

In sintesi, il metano artico accelererà il cambiamento del clima e aggiungerà nuovi costi, finora non calcolati. Molti sostengono che scenari come questi, soprattutto quelli di natura economica e sociale, valgono quel che valgono. Che non vengono messi in conto i vantaggi, economici, sociali e anche ecologici offerti dal disgelo delle immense regioni siberiane. Tuttavia questi scenari sono davvero utili, perché ci danno una dimensione, per quanto imperfetta, della posta in gioco. Cosicché vale la pena ascoltare il consiglio di Whiteman, Hope e Wadhams: sull’Artico e sui suoi cambiamenti conviene saperne di più.


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