sabato, agosto 10, 2013
Concludiamo il ciclo di articoli per la Novena di santa Chiara con il contributo delle Sorelle clarisse di Cortona, che propongono una riflessione per scoprire l’attualità della Santa attraverso una sororità vissuta nel quotidiano con semplicità, quale dono, carisma e vocazione

Santa Chiara è viva e attuale, presente qui tra noi dopo 800 anni, non tanto per le parole – poche in realtà – che ci ha lasciato, ma per il suo essere, per quella santità di vita che gli occhi delle sorelle hanno visto nel quotidiano, nella semplicità di una vita trascorsa insieme. L’essere sorelle fa sì che possiamo diventare capaci di narrarci, perché ci guardiamo l’un l’altra in quella stretta condivisione giorno dopo giorno nello spazio limitato della clausura. Il ritmo della giornata invita a far passare lo sguardo da Cristo alle sorelle per riportarlo nuovamente a Cristo. E’ il movimento del ‘comandamento nuovo’ che siamo chiamate a imprimere al nostro andare; vi siamo chiamate e ‘provocate’ dal duplice appello della forma vitæ evangelica e della storia quotidiana.

«Colloca il tuo cuore nello specchio dell’eternità», scrive Chiara ad Agnese, e quindi a ciascuna di noi. Poni tutta te stessa in Gesù il Cristo, per noi fattosi fragile bambino, uomo che vive l’esperienza del limite, accogliendolo nelle vicende personali e sociali del suo tempo, che compie l’esistenza nel dono di sé, fedele all’amore. In Gesù, impara ad amare e a restituire quell’amore che hai nel cuore con le opere, così che le sorelle siano stimolate a crescere nella mutua carità: questo invito Chiara rivolge a tutte nel suo Testamento. La sorella mi aiuta a vivere la vocazione ricevuta.

Chiara, innamorata del Signore crocifisso, sa ‘chiudere gli occhi’ di fronte alle fragilità delle sorelle con cui vive, non ne fa motivo di giudizio; se una discriminante c’è, è quella di una più intensa preghiera in cui accogliere chi è in difficoltà.

Questo appare evidente nel caso di una sorella che abbia peccato pubblicamente. Nel capitolo IX della Regola scrive: «Se accadesse - non sia mai! - che tra sorella e sorella per una parola o un segno talvolta nascesse occasione di turbamento o di scandalo, quella che avrà dato causa al turbamento, subito, prima di offrire davanti al Signore il dono della sua orazione, non solo si prosterni umilmente ai piedi dell'altra domandando perdono, ma anche la preghi con semplicità di intercedere per lei presso il Signore che le sia indulgente. L'altra poi, memore di quella parola del Signore: Se non perdonerete di cuore, nemmeno il Padre vostro celeste perdonerà a voi, perdoni generosamente alla sua sorella ogni offesa fattale» (vv. 9-11).

Questo è un passaggio molto forte nella vita della comunità, che rivela la qualità personale e comunitaria della relazione con Dio e tra le sorelle. La strada della santità passa attraverso la caduta e il perdono, quest’ultimo espressione, forse la più alta, dell’amore. La sorella che mi perdona mi ridona la possibilità di vivere la vocazione ricevuta.

«Ammonisco poi, ed esorto nel Signore Gesù Cristo, che si guardino le sorelle da ogni superbia, vanagloria, invidia, avarizia, cura e sollecitudine di questo mondo, dalla detrazione e mormorazione, dalla discordia e divisione. Siano invece sempre sollecite nel conservare reciprocamente l'unità della scambievole carità, che è il vincolo della perfezione». Così Chiara scrive nel cap. 10 della sua Regola.

Chiara è un’esperta di vita fraterna. Non impara ad essere sorella dai libri, probabilmente non le interessa conoscere le teorie sulla vita fraterna. Le sta a cuore la vita, una vita che ella confronta sempre col Vangelo, con la Parola di Dio. In questo confronto costante la sua capacità di essere sorella si affina di giorno in giorno.

Nella vita quotidiana con le sue sorelle, Chiara sperimenta come il cuore dell’uomo è continuamente messo alla prova dalla superbia, che pone una distanza con l’altra; dalla vanagloria, che esaspera l’istinto al confronto; dall’invidia che mina le relazioni facendo balenare ai propri occhi come l’altra sia una temibile concorrente.

Chiara e le sue sorelle, e ciascuna di noi oggi insieme a coloro che Dio ci ha affidato e a cui siamo affidate, viviamo la lotta quotidiana per non dare spazio a questi sentimenti che non costruiscono vita fraterna. Non è ‘strano’ che ciò accada, anzi se Chiara sceglie di mettere in guardia le sorelle ‘presenti e future’, possiamo pensare che più e più volte ne abbia fatto l’esperienza. Al positivo, occorre essere sollecite, preoccuparsi, avere a cuore, desiderare di ‘conservare’ reciprocamente l’unità della scambievole carità… Conservare: l’unità non è un miraggio, è già data, è dono di Dio; ciascuna, con il proprio impegno, è chiamata a vivere, a far fruttificare il dono. La sorella mi stimola a spostare l’attenzione dalle inclinazioni del cuore al dono ricevuto da Dio che domanda una risposta personale.

Una sorella così testimonia al Processo di canonizzazione di Chiara: «Anche disse che uno mammolo de Perugia aveva nell'occhio una certa macchia che li copriva tutto l'occhio. Unde fu menato a santa Chiara, la quale toccò l'occhio del mammolo e poi li fece lo segno della croce. E poi disse: «Menatelo alla mia madre sora Ortolana (la quale era nel monasterio de Santo Damiano), e faccia sopra de lui lo segno de la croce». La quale cosa fatta, el mammolo fu liberato: onde santa Chiara diceva che la sua madre lo aveva liberato; e per lo contrario la madre diceva che madonna Chiara sua figliola lo aveva liberato. E così ciascheduna dava questa grazia all'altra.» (Proc IV,11).

Cogliamo qui un altro aspetto della ‘sororità’ materna di Chiara, che è stata sorella anche promuovendo l’altra, dandole la possibilità di esprimere i suoi doni, mette in un certo senso da parte se stessa perché l’altra emerga. Chiara e Ortolana vivono la fraternità: ognuna fa a gara nel far emergere l’altra, nello stimarsi a vicenda. E questo colpisce ancor più considerando il legame ‘naturale’ tra le due donne. In un certo senso, Chiara, che da Ortolana ha ricevuto il dono della vita biologica e la testimonianza di una fede operosa, ora genera la mamma nello Spirito. La sorella è colei che sa essere madre e figlia, nella reciprocità dei ruoli.

«Non avere paura, o figlia: Dio fedele in tutte le sue parole e santo in tutte le sue opere, effonderà su di te e sulle tue figlie la sua benedizione e sarà vostro aiuto e ottimo consolatore» (dalla lettera a Ermentrude). Per Chiara “essere sorelle” è riconoscere l’una nell’altra e insieme nella storia, la santa operazione dello Spirito del Signore, nostro aiuto e ottimo consolatore. Essere sorelle povere, dunque, significa abbandonare la via della paura aiutandoci a cercare insieme la via della fiducia in Dio, Colui che è fedele alle sue promesse d’amore e non manca di manifestare la sua benedizione nell’umiltà e semplicità della vita quotidiana.


Sono presenti 0 commenti

Inserisci un commento

Gentile lettore, i commenti contententi un linguaggio scorretto e offensivo verranno rimossi.



___________________________________________________________________________________________
Testata giornalistica iscritta al n. 5/11 del Registro della Stampa del Tribunale di Pisa
Proprietario ed Editore: Fabio Gioffrè
Sede della Direzione: via Socci 15, Pisa