martedì, settembre 03, 2013
Nella crisi siriana, mentre dalla notte si registrano bombardamenti a Damasco, si è parlato in mattinata di missili nel Mediterraneo orientale intercettati da Mosca. Solo dopo qualche ora Israele ha annunciato di avere effettuato un test missilistico congiunto con gli Usa. Intanto intensi bombardamenti di artiglieria e di aviazione dell’esercito di Assad hanno colpito dalla notte all'alba sobborghi di Damasco controllati dai ribelli, in alcune zone colpite il 21 agosto scorso dal presunto attacco chimico.  

Radio Vaticana - In primo piano sui media resta l’appello alla pace e al dialogo lanciato domenica da Papa Francesco. Fabio Colagrande ne ha parlato con padre Samir Khalil Samir, docente di Storia della cultura araba e islamologia all'Università Saint Joseph di Beirut:
R. – La lotta in Siria ormai non è la lotta della democrazia contro l’autocrazia; era così all’inizio, contro la dittatura per ottenere democrazia e libertà. Oggigiorno, è diventata una lotta del campo sunnita – rappresentato dai Paesi arabi della penisola arabica, con l’aiuto di altri Paesi e l’aiuto, se possiamo considerarlo tale, di tutti quei movimenti fondamentalisti terroristi - contro il regime; regime grossomodo sciita, perché gli alawiti sono solo una parte. Riemergono così circa 14 secoli di odio. Il problema non è religioso; per niente!

D. – Quanto è importante questo appello di pace del Papa e quali risultati potrà avere?
R. – In realtà, il Papa riassume ciò che ogni persona ragionevole pensa: la guerra porta guerra, la violenza suscita violenza e non finirà mai. Meglio il dialogo anche se faticoso, anche se ognuno deve fare dei passi verso l’altro e deve rinunciare ad una parte di ciò che vede come giusto. Meglio questo che una guerra; già ci sono più di 100 mila morti, non si può ancora pianificare più guerra nella speranza che porti pace. È impossibile, perché in Siria adesso le due parti si trovano ad un punto tale di odio reciproco che ognuno teme di poter cedere e così di sparire, essere ucciso insieme alla comunità e i suoi seguaci. Non c’è altra soluzione che la preghiera ed il digiuno, come dice il Vangelo e come ha detto il Santo Padre, nella dimensione dell’umanità che ha un po’ di spiritualità. E dall’altra parte, c’è il dialogo: è stato pianificato per la settimana prossima un dibattito con delle possibili concessioni mutue.

D. – E’ davvero perseguibile la via del negoziato? Alcuni dicono che il negoziato ormai non ha più sbocchi…
R. – Il negoziato è l’unica via. Che sia difficile è cosa certa. L’altra via sarebbe sterminare tutti gli oppositori. L’unica via quindi è il negoziato, ovvero la presenza di un “arbitro”: la Comunità internazionale – rappresentata dall’Onu e da alcuni Paesi non tutti dello stesso “campo” – che propone cose ragionevoli, soluzioni che non vanno totalmente da una parte o dall’altra. Ogni parte sceglie i suoi rappresentanti più “ragionevoli”, più aperti all’altro ed una commissione internazionale fa da guida. Io non conosco altra soluzione.

D. – Come sono coinvolti oggi i cristiani della Siria in questa crisi e quale può essere il loro contributo alla pace?
R. – Prima di tutto cominciare a fare in Siria questo atto spirituale del digiuno e della preghiera. Più ci saranno adesioni, più sarà un’atmosfera verso la pace. La Siria ha una tradizione di rispetto perché lì c’era un regime sia baasista laico. Penso che i cristiani siano visti da tutti quanti come i più “pacificanti”.


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