È stato uno dei protagonisti di quella stagione, per molti versi irripetibile, che durante gli anni Sessanta illuminò il pop italiano. Jimmy Fontana – all'anagrafe Enrico Sbriccoli – ci ha lasciato dopo una lunga malattia. Avrebbe compiuto 79 anni a novembre
Città Nuova - Non si può certo dire che il vecchio Jimmy avesse il physique du rôle della popstar: con quegli occhiali da ragioniere, quei completini anonimi da sindaco di provincia, e soprattutto con quei suoi modi sempre così gentili da apparire dimessi. Marchigiano di Camerino, classe 1934, il giovane Enrico era cresciuto musicalmente bazzicando nei circoli jazz. Trasferitosi a Roma, aveva colto al volo l'occasione della vita: la partecipazione al Festival di Sanremo del 1961, in coppia con la già affermata Miranda Martino. Da quel momento la sua popolarità salì esponenzialmente, mentre il suo baricentro espressivo si spostò in fretta dal jazz al pop. Il colpo grosso arrivò nel 1965 con un brano, Il Mondo, che resta a tutt'oggi la canzone che più d'ogni altra lo ha identificato: una melodia morbida e raffinata, fatta su misura per quel suo timbro vocale a mezza via tra l'estroversione dei cosiddetti “urlatori” e l'intimismo sentimentale dei crooners statunitensi.
Buon contrabbassista e talvolta autore per conto terzi, Fontana (un nome d'arte preso a caso da un elenco telefonico) diventò pian piano una presenza significativa di quegli anni, quando la musica arrivava alle masse soprattutto attraverso i “duelli” televisivi di trasmissioni come Canzonissima, Un disco per l'estate, o il Cantagiro. Raramente li vinse, ma di tanto in tanto riuscì comunque a ritagliarsi un posticino al sole delle classifiche.
Nel '71 scrive per Josè Feliciano una canzone destinata a diventare un classico: Che sarà. Vorrebbe portarla personalmente a Sanremo, ma alla fine i suoi discografici preferiscono accoppiare Feliciano ai Ricchi e Poveri: un brutto colpo che lasciò una cicatrice indelebile nella sua avventura musicale, che infatti da quel momento sembrò declinare irreversibilmente.
Furono la voglia di revival e di nostalgia che si respirava nell'aria verso la fine di quel decennio a convincerlo a tornare in campo, insieme a molti colleghi messi all'angolo dal furioso succedersi delle mode, degli stili, e dei nuovi idoli. Così, nell'82 rieccolo a Sanremo con Beguine, scritta a quattro mani col figlio Luigi.
Da allora l'occhialuto Jimmy tornò ad essere una presenza abbastanza consueta nell'ambito del pop televisivo, quasi sempre riproponendo i suoi vecchi cavalli di battaglia, e non di rado ritrovandosi a ricordare i vecchi tempi coi colleghi di tante merende canzonettare, da Bobby Solo a Gianni Meccia, da Nico Fidenco a Riccardo del Turco.
La sua ultima uscita significativa fu ancora a Sanremo, nel '94, come membro del supergruppo Squadra Italia (con lui altri reduci degli anni belli come Wilma Goich, Rosanna Fratello, Nilla Pizzi, Gianni Nazzaro e Tony Santagata). Da allora lo si è rivisto quasi esclusivamente per qualche ospitata in quei tipici programmi televisivi per casalinghe e pensionati che ancora oggi costituiscono il fulcro della cosiddetta tivù “nazional-popolare”: felice di continuare ad esserci, per nulla imbarazzato dal ritrovarsi nei panni di “reperto archeologico”, e continuando a proporsi con quello stile affabile e posato che resterà per sempre nel nostro ricordo.
Città Nuova - Non si può certo dire che il vecchio Jimmy avesse il physique du rôle della popstar: con quegli occhiali da ragioniere, quei completini anonimi da sindaco di provincia, e soprattutto con quei suoi modi sempre così gentili da apparire dimessi. Marchigiano di Camerino, classe 1934, il giovane Enrico era cresciuto musicalmente bazzicando nei circoli jazz. Trasferitosi a Roma, aveva colto al volo l'occasione della vita: la partecipazione al Festival di Sanremo del 1961, in coppia con la già affermata Miranda Martino. Da quel momento la sua popolarità salì esponenzialmente, mentre il suo baricentro espressivo si spostò in fretta dal jazz al pop. Il colpo grosso arrivò nel 1965 con un brano, Il Mondo, che resta a tutt'oggi la canzone che più d'ogni altra lo ha identificato: una melodia morbida e raffinata, fatta su misura per quel suo timbro vocale a mezza via tra l'estroversione dei cosiddetti “urlatori” e l'intimismo sentimentale dei crooners statunitensi.
Buon contrabbassista e talvolta autore per conto terzi, Fontana (un nome d'arte preso a caso da un elenco telefonico) diventò pian piano una presenza significativa di quegli anni, quando la musica arrivava alle masse soprattutto attraverso i “duelli” televisivi di trasmissioni come Canzonissima, Un disco per l'estate, o il Cantagiro. Raramente li vinse, ma di tanto in tanto riuscì comunque a ritagliarsi un posticino al sole delle classifiche.
Nel '71 scrive per Josè Feliciano una canzone destinata a diventare un classico: Che sarà. Vorrebbe portarla personalmente a Sanremo, ma alla fine i suoi discografici preferiscono accoppiare Feliciano ai Ricchi e Poveri: un brutto colpo che lasciò una cicatrice indelebile nella sua avventura musicale, che infatti da quel momento sembrò declinare irreversibilmente.
Furono la voglia di revival e di nostalgia che si respirava nell'aria verso la fine di quel decennio a convincerlo a tornare in campo, insieme a molti colleghi messi all'angolo dal furioso succedersi delle mode, degli stili, e dei nuovi idoli. Così, nell'82 rieccolo a Sanremo con Beguine, scritta a quattro mani col figlio Luigi.
Da allora l'occhialuto Jimmy tornò ad essere una presenza abbastanza consueta nell'ambito del pop televisivo, quasi sempre riproponendo i suoi vecchi cavalli di battaglia, e non di rado ritrovandosi a ricordare i vecchi tempi coi colleghi di tante merende canzonettare, da Bobby Solo a Gianni Meccia, da Nico Fidenco a Riccardo del Turco.
La sua ultima uscita significativa fu ancora a Sanremo, nel '94, come membro del supergruppo Squadra Italia (con lui altri reduci degli anni belli come Wilma Goich, Rosanna Fratello, Nilla Pizzi, Gianni Nazzaro e Tony Santagata). Da allora lo si è rivisto quasi esclusivamente per qualche ospitata in quei tipici programmi televisivi per casalinghe e pensionati che ancora oggi costituiscono il fulcro della cosiddetta tivù “nazional-popolare”: felice di continuare ad esserci, per nulla imbarazzato dal ritrovarsi nei panni di “reperto archeologico”, e continuando a proporsi con quello stile affabile e posato che resterà per sempre nel nostro ricordo.
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