giovedì, settembre 19, 2013
Il conflitto in Siria mette in fuga quotidianamente migliaia di civili, che si riversano nei Paesi confinanti. 

 Radio Vaticana - Secondo gli ultimi dati Onu sono almeno 7 milioni le persone che hanno urgentemente bisogno di aiuti. Uno dei Paesi più coinvolti dall’ondata di profughi è la Giordania, dove è stata superata la cifra di un milione di rifugiati provenienti dalle zone di guerra. Sulla situazione nel Paese, Salvatore Sabatino ha intervistato mons. Maroun Lahham, vicario patriarcale per la Giordania del Patriarcato latino di Gerusalemme: ascolta.

R. - La situazione è complicata: abbiamo quasi un milione di rifugiati siriani ripartiti nei vari campi profughi; poi c’è una buona parte che è andata a vivere nelle città, un gruppo di siriani benestanti che hanno scelto di vivere ad Amman o nelle altre città. Il problema è di tipo sociale, economico, morale e anche qualche volta politico. Il fatto è che i profughi siriani che arrivano da noi provengono dal Sud della Siria, cioè da Daraa, la parte povera della Siria. Quindi si tratta di persone molto povere, che sono venute senza niente. C’è un altro fattore importante: la Giordania ha sì, aperto le braccia, perché siamo vicini, siamo fratelli, però la Giordania essendo un piccolo Paese, piuttosto povero non ha le strutture e le infrastrutture necessarie per ricevere un milione di profughi. Non dimentichiamo che la Giordania è il quarto Paese più povero di acqua al mondo. 

D. - Però, nonostante le problematiche legate proprio alla povertà della Giordania, c’è stato un grandissimo senso di solidarietà nei confronti dei siriani ... 

R. - Sì, questo è dovuto a due elementi. L’arabo riceve sempre, apre la sua casa, anche se non ha niente. Poi c’è anche un sentimento religioso, perché il popolo giordano è per il 97 percento musulmano e i siriani sono quasi tutti musulmani. Ci saranno forse 200-300 cristiani su un milione. Dunque, c’è anche un senso di solidarietà islamica; si divide quello che si ha, però fino ad un certo punto, perché poi a lungo andare la vita, la convivenza diventano pesanti. La Giordania ha ricevuto i profughi palestinesi nel ’48 e si trovano ancora lì. Nessuno vuole che questa situazione si ripeta anche per i siriani. Speriamo di no. 

D. - Si parla molto spesso di rischio di regionalizzazione della guerra siriana. Si respira comunque questo pericolo in Giordania? C’è una preoccupazione reale tra la gente? 

R. -
C’era una preoccupazione quando la minaccia militare era vicina. Penso che la giornata di preghiera e di digiuno di Papa Francesco, seguita in tutto il mondo, abbia fatto un vero miracolo. Fino al giorno prima parlavano di un attacco imminente e mirato; il giorno dopo cercavano una soluzione politica. Adesso si respira meglio, alla luce delle riunioni tra i due ministri degli Esteri - russo e americano - sulle armi chimiche. Questo ci dà almeno sei o sette mesi di pace relativa, o almeno di minaccia rimandata. Speriamo che arrivino ad una soluzione politica, perché alla fine sono due anni e mezzo che combattono e non si sa chi dice la verità e chi dice la menzogna. Non si conosce la realtà! Homs è da due anni luogo di battaglia; ad Aleppo accade la stessa cosa.

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