domenica, settembre 29, 2013
Non è più tempo per i pezzi di ricambio, occorre un motore nuovo

di Silvana Arbia

Da quando sono rientrata in Italia è diventata per me cruciale la ricerca di risposte alle domande pressanti su cosa fare per dare voce ai tantissimi cittadini che si rendono conto che il sistema non funziona, che se accettano tutto come è una resa senza condizioni. L’Italia è un paese che si siede al tavolo dei grandi, cofondatore della Comunità europea ai tempi della formazione delle prime organizzazioni comunitarie dirette ad armonizzare il mercato in uno spazio comune e attualmente membro a pieno titolo con un notevole numero di rappresentanti nel Parlamento europeo, proprio quel parlamento che fra pochi mesi deve rinnovarsi, all’interno dell’Unione Europea, un unione politica. L’Italia contribuisce con una percentuale importante al bilancio dell’Unione Europea e a quello di organizzazioni internazionali come le Nazioni Unite; e, quel che più interessa, è e rimane un paese desiderato e desiderabile, e attualmente, penso, anche terra di facili conquiste, poiché pare si stia svendendo tutto a poco prezzo e si possa investire senza costi alti. Insomma un paese dove tutto è permesso, con una permeabilità da far gola ai traffici illeciti e alle imprese criminali.

La popolazione è disomogenea e non compatta, perciò non conta. I giovani, appena sono in grado di camminare da soli, se ne vanno, a volte costretti ad andarsene anche solo per poter studiare. I test di ingresso all’università, per come funzionano in Italia, servono solo a far prosperare le università di altri paesi e contribuire all’emorragia della componente giovane della popolazione. Anche gli imprenditori che non resistono di fronte alla corruzione, alla pressione fiscale e ai vincoli burocratici che stringono sempre di più la corda al collo degli italiani creativi cercano di andare via dall’Italia. I vecchi pare siano felici, almeno quelli che hanno la fortuna di avere le badanti, che interessate a non perdere il loro lavoro si adoperano come possono per tenere in vita le persone assistite. Gli altri, quelli che sono considerati autosufficienti, sono abbandonati a sé stessi e costretti a vivere con pochissimi mezzi. Gli adulti che lavorano, nell’ambito di quello che si diceva essere il “ceto medio”, vivono nelle ristrettezze, con lo stipendio fisso che sempre più spesso non basta e la pensione che è sempre più lontana. I lavoratori di quella che si diceva classe operaia devono contare sui sussidi e vivono alla giornata nell’impossibilità di pianificare la loro vita personale e familiare.

I non italiani presenti sul nostro territorio, per lavoro, o per disperazione, o per cercare rifugio, o perché “reclutati “ dalla criminalità organizzata o per altre ragioni, godono di uno status indefinito. Da noi dopo tanti anni e dopo tanti cambiamenti chi arriva qui è sempre etichettato come marocchino, o extracomunitario, anche se viene dalla Romania che oggi fa parte dell’Unione europea e quindi extracomunitario non é.

La popolazione non conta anche perché non ha voce, ovvero non è rappresentata. Il sistema elettorale in vigore non permette al cittadino di scegliere liberamente chi lo deve rappresentare, e soprattutto non permette al cittadino di punire, politicamente parlando, gli eletti che non hanno fatto bene, che hanno pensato più ai loro interessi che al bene comune. I partiti proliferano da ogni parte e i movimenti sono talmente tanti che ci si aspetterebbe un terremoto lungo tutto la penisola, e invece a causa della frammentazione e della disgregazione tutto rimane come prima, anzi trova più spazio l’arroganza della burocrazia e del clientelismo, che pur consumando le risorse del paese, allontanano sempre di più l’interesse dei cittadini per la politica.

La maggioranza degli italiani poi è lasciata nell’ignoranza delle nuove realtà. Con qualche parola in inglese gettata qua e là in discorsi politici e in decreti legislativi non si modernizza la società, anzi la si fa regredire. Non si può usare l’Europa o l’inglese per addormentare le menti e sedare le emozioni.

In questi giorni poi pare sia di moda in Italia la parola “cambiamento”, con tentativi di lanciare in arena facce nuove. Questo non è cambiamento, è la pratica dei pezzi di ricambio che non serve più quando il motore non va. Occorre un nuovo motore oggi in Italia, il che significa un vero, sincero e devoto senso di servizio per il bene comune. Ciò costa ed è difficile, ma è la sola scelta utile in questo momento per tirare l’Italia dalle secche e lanciarla al largo, per far rifiorire il suo orgoglio, la sua genialità, la sua missione di paese mediterraneo e il suo carattere umano e accogliente. Tanti uomini e donne potrebbero rimettersi all’opera per spingere al largo la nave, a condizione che chi fa il primo gesto sia credibile e rispettabile. E’ ora di pensare ad azioni finalizzate “to shape up Italy”, come mi sentivo dire quando ero all’estero…


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