Nel dossier le analisi medico-legali dicono che il gas è stato usato su vasta scala "in grande quantità e sufficiente a uccidere". Ma nessuna menzione su chi sia il responsabile.
Il report redatto dalla Commissione Onu ha confermato quanto si temeva: nella località di Ghouta a Damasco sono stati usati aggressivi chimici. Non è stato però possibile stabilire il numero di vittime che questi hanno provocato. Il documento è stato consegnato a Ban-Ki Moon e il Consiglio di Sicurezza appronterà presto una risoluzione che indichi tempi e modi di distruzione delle armi chimiche (che non si preannuncia però facile). Il dossier è stato elaborato sulla scorta delle indagini di laboratorio eseguite a Hague in Svezia, nella sede del FOI “Swedish Defence Research Agency". Il direttore di questo centro è il prof. Åke Sellström, capo della squadra degli ispettori che ha effettuato materialmente le indagini a Damasco. E’ da rilevare che il gruppo d’ispettori non comprendeva esperti in balistica ma solo esperti in agenti chimici e medici.
Il risultato dell’indagine non evidenzia niente di più di quanto da tempo si sapesse, tant’è che già il 4 settembre un’analoga indagine dei russi dava per certo l’uso di armi chimiche (con delle conclusioni però anche sulla paternità degli attacchi).
Anche se lo scopo dell’indagine non era di individuare il colpevole, il documento presentato a Ban- Ki Moon contiene elementi che potrebbero indicare l’esercito siriano come l’autore dell’attacco. Tra questi, il dato più rilevante è che per disperdere il gas sarin sono stati usati razzi da 140 e da 330 millimetri in dotazione solo all’esercito siriano. Ciononostante non è escluso che le prove potrebbero essere delle ‘false flag’. Infatti nel report appena reso pubblico, nel paragrafo ‘limitation’ (a pag. 18), si precisa: “Il tempo messo a disposizione per svolgere le indagini è stato molto limitato” e “frammenti e altre possibili prove possono essere state messe prima dell’arrivo degli ispettori”. Inoltre, si sono rilevati “numerosi individui aggirarsi nei luoghi prima e durante l’indagine”.
Oggi il contenuto del report, in considerazione dell’accordo di disarmo intercorso tra USA e Siria, non ha più il peso politico che avrebbe avuto una settimana fa. Proprio per questo stupisce che in presenza di una difficilissima mediazione in corso d’opera (tesa ad allontanare una guerra che infiammerebbe ulteriormente l’area), il massimo responsabile per il mantenimento della pace nel mondo entri continuamente ‘a gamba tesa’, allontanando ancor di più le posizioni già divergenti e riaccendendo le micce appena spente. Già venerdì scorso Ban-Ki Moon aveva accusato Assad di aver compiuto "molti crimini contro l'umanità" e si era detto sicuro che gli esperti avrebbero fornito “un atto di accusa costituito da un corpo solido di prove e tutte convergenti verso la colpa del governo siriano". Naturalmente il tenore delle sue ultime dichiarazioni non si allontanano assolutamente quanto già anticipato.
E’ evidente che ci sono due posizioni: la prima (quella di Usa, Francia e Gran Bretagna), partendo dal dato che sono state usate le armi chimiche, ne fa conseguire che la colpa è del regime ‘perché è esso che le detiene’; la seconda (quella di Siria e Russia) sostiene che è impossibile attribuire la paternità degli attacchi e che questi sono stati messi su ‘ad arte’ dai ribelli per provocare il ‘casus belli’. Stupisce come dopo più di 100.000 morti ed un paese in rovina si focalizzi tutta l’attenzione solo sulle armi chimiche, tralasciando tutto il resto: davanti ai califfati islamici nati intorno ad Aleppo (tutt’ora assediata) e al moltiplicarsi dei crimini contro la popolazione (in special modo quella cristiana) non è più possibile far finta di niente e sottacere la caratterizzazione della rivolta, ormai preponderatamene settaria e religiosa.
Quella di procedere alla distruzione delle armi chimiche o alla loro messa in sicurezza è una necessità certa, perché la tentazione di usarle ancora potrebbe essere troppo grande (specialmente in questa fase di estremo imbarbarimento del conflitto). Su tutto però c’è una evidenza che ci riguarda tutti: è triste vedere lo scetticismo prevalere su ogni speranza di pace prima ancora di intraprenderne la strada. E’ scioccante non che gli uomini mostrino sempre più fantasia nell’uccidersi ma che addirittura l’Onu dimentichi il suo compito primario e sposi una bandiera.
di Patrizio Ricci
Il report redatto dalla Commissione Onu ha confermato quanto si temeva: nella località di Ghouta a Damasco sono stati usati aggressivi chimici. Non è stato però possibile stabilire il numero di vittime che questi hanno provocato. Il documento è stato consegnato a Ban-Ki Moon e il Consiglio di Sicurezza appronterà presto una risoluzione che indichi tempi e modi di distruzione delle armi chimiche (che non si preannuncia però facile). Il dossier è stato elaborato sulla scorta delle indagini di laboratorio eseguite a Hague in Svezia, nella sede del FOI “Swedish Defence Research Agency". Il direttore di questo centro è il prof. Åke Sellström, capo della squadra degli ispettori che ha effettuato materialmente le indagini a Damasco. E’ da rilevare che il gruppo d’ispettori non comprendeva esperti in balistica ma solo esperti in agenti chimici e medici.
Il risultato dell’indagine non evidenzia niente di più di quanto da tempo si sapesse, tant’è che già il 4 settembre un’analoga indagine dei russi dava per certo l’uso di armi chimiche (con delle conclusioni però anche sulla paternità degli attacchi).
Anche se lo scopo dell’indagine non era di individuare il colpevole, il documento presentato a Ban- Ki Moon contiene elementi che potrebbero indicare l’esercito siriano come l’autore dell’attacco. Tra questi, il dato più rilevante è che per disperdere il gas sarin sono stati usati razzi da 140 e da 330 millimetri in dotazione solo all’esercito siriano. Ciononostante non è escluso che le prove potrebbero essere delle ‘false flag’. Infatti nel report appena reso pubblico, nel paragrafo ‘limitation’ (a pag. 18), si precisa: “Il tempo messo a disposizione per svolgere le indagini è stato molto limitato” e “frammenti e altre possibili prove possono essere state messe prima dell’arrivo degli ispettori”. Inoltre, si sono rilevati “numerosi individui aggirarsi nei luoghi prima e durante l’indagine”.
Oggi il contenuto del report, in considerazione dell’accordo di disarmo intercorso tra USA e Siria, non ha più il peso politico che avrebbe avuto una settimana fa. Proprio per questo stupisce che in presenza di una difficilissima mediazione in corso d’opera (tesa ad allontanare una guerra che infiammerebbe ulteriormente l’area), il massimo responsabile per il mantenimento della pace nel mondo entri continuamente ‘a gamba tesa’, allontanando ancor di più le posizioni già divergenti e riaccendendo le micce appena spente. Già venerdì scorso Ban-Ki Moon aveva accusato Assad di aver compiuto "molti crimini contro l'umanità" e si era detto sicuro che gli esperti avrebbero fornito “un atto di accusa costituito da un corpo solido di prove e tutte convergenti verso la colpa del governo siriano". Naturalmente il tenore delle sue ultime dichiarazioni non si allontanano assolutamente quanto già anticipato.
E’ evidente che ci sono due posizioni: la prima (quella di Usa, Francia e Gran Bretagna), partendo dal dato che sono state usate le armi chimiche, ne fa conseguire che la colpa è del regime ‘perché è esso che le detiene’; la seconda (quella di Siria e Russia) sostiene che è impossibile attribuire la paternità degli attacchi e che questi sono stati messi su ‘ad arte’ dai ribelli per provocare il ‘casus belli’. Stupisce come dopo più di 100.000 morti ed un paese in rovina si focalizzi tutta l’attenzione solo sulle armi chimiche, tralasciando tutto il resto: davanti ai califfati islamici nati intorno ad Aleppo (tutt’ora assediata) e al moltiplicarsi dei crimini contro la popolazione (in special modo quella cristiana) non è più possibile far finta di niente e sottacere la caratterizzazione della rivolta, ormai preponderatamene settaria e religiosa.
Quella di procedere alla distruzione delle armi chimiche o alla loro messa in sicurezza è una necessità certa, perché la tentazione di usarle ancora potrebbe essere troppo grande (specialmente in questa fase di estremo imbarbarimento del conflitto). Su tutto però c’è una evidenza che ci riguarda tutti: è triste vedere lo scetticismo prevalere su ogni speranza di pace prima ancora di intraprenderne la strada. E’ scioccante non che gli uomini mostrino sempre più fantasia nell’uccidersi ma che addirittura l’Onu dimentichi il suo compito primario e sposi una bandiera.
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