Ritorsione contro la cattura di capo di al Qaeda Abu Anas al-Liby da parte degli americani. Dopo l’intervento armato occidentale mai davvero iniziata la transizione verso la democrazia.
GreenReport - Che l’intervento armato straniero in Libia ed il sanguinoso rovesciamento della dittatura di Muammar Gheddafi fossero l’ennesimo fallimento della diplomazia armata e muscolare occidentale era sotto gli occhi di tutti. Nemmeno le tanto propagandate elezioni democratiche hanno segnato la svolta per un Paese che oggi è frantumato in sultanati tribali e in territori governati da bande armate, un non-Stato che riesporta il petrolio ma anche la guerriglia tuareg in Mali e Niger, bande di miliziani islamisti in Siria ed armi per i Fratelli Musulmani in Egitto.
Il bubbone dell’ennesimo Paese arabo conquistato con i cacciabombardieri e poi lasciato ad imputridire nelle sue stesse ferite e nelle macerie di una dittatura, dalla quale è nata una democrazia così debole da essere praticamente invisibile, è scoppiato oggi in tutta la sua forza in un hotel di Tripoli, dove un gruppo di uomini armati ha sequestrato senza troppi problemi il primo ministro libico Ali Zeidan, lo ha portato dove ha voluto e poi lo ha rilasciato, tutto in diretta su Facebook e in collegamento con stampa e televisioni. Come ammette lo stesso governo: «Il capo del governo di transizione, Ali Zeidan, è stato portato in una destinazione sconosciuta per motivi sconosciuti da parte di un gruppo. Secondo Al Jazeera, «Un ex gruppo ribelle libico ha annunciato giovedi di aver catturato Zeidan dopo che il governo ha permesso agli Stati Uniti di catturare il sospettato capo di al Qaeda Abu Anas al-Liby a Tripoli lo scorso fine settimana».
Dal che si capisce chi erano gli alleati di Francia, Usa, Gran Bretagna ed Italia in Libia, si capisce quello che avevamo sempre pervicacemente negato, cioè che la ribellione libica era stata pesantemente infiltrata dalle bande integraliste islamiche vicine ad al Qaeda, come invece sapevano bene qatarioti e sauditi, che le finanziavano come oggi finanziano le fazione più feroce dell’opposizione siriana e le brigate internazionali islamo/fasciste che si sono precipitate sul campo di battaglia siriano.
Di cosa si tratti lo ha chiarito il portavoce della Libyan Revolutionary Operations Chamber, che ha rivendicato il sequestro di Zeidan: «Il suo arresto arriva dopo la dichiarazione di John Kerry sulla cattura di Abu Anas al-Liby, dopo che ha detto che il governo libico era a conoscenza dell’operazione».
Il governo ha confermato in una dichiarazione che la Libyan Revolutionary Operations Chamber è coinvolta nel rapimento, ma ha accusato anche un altro gruppo che faceva parte dei “liberatori” della Libia, la Brigade for the Fight against.
Dopo qualche ora Zeidan è stato liberato ed è venuto fuori che gli ex ribelli dicono di lavorare per il ministero dell’Interno. e sulla loro pagina Facebook dicono che il premier «E’ stato arrestato ai sensi del codice penale libico (…) su indicazione del pubblico ministero». Ma l’ufficio del procuratore generale della Libia, sentito dal network televisivopanarabo Al Arabiya, ha negato sia di avere rapporti con la milizia che di aver emesso un ordine di arresto per Zeidan.
La confusione è grande è svela impietosamente la debolezza estrema e del Congresso generale nazionale, l’autorità politica superiore della Libia, che pure dicono di avere la situazione sotto controllo ed invitano i cittadini a mantenere la calma in un Paese dove ormai la calma è assicurata dalle milizie tribali ed i soldati regolari si ammutinano perché non vengono pagati.
Che la dinamica del rapimento di Zeidan fosse molto strana lo si era capito da subito: il blitz degli islamisti che hanno catturato Zeidan è avvenuto nell’Hoterl Corinthia della capitale libica, dove il premier dell’eterna transizione libica risiedeva e dove la sicurezza non sembra aver opposto alcuna resistenza, mentre le guardie dell’albergo hanno descritto il blitz proprio come un “arresto”. Al Arabiya ha anche mostrato un video nel quale si vede un accigliato Zeidan in maniche di camicia e circondato da alcuni uomini in abiti civili.
Amel Jerary, direttore delle comunicazioni del primo ministro rapito, aveva detto ad Al Jazeera che «Il raid è avvenuto nel cuore della notte. Ho paura che, a questo punto, niente sia davvero chiaro. Come si fa, io davvero non ho alcuna informazione su questo. Sono sicuro che le persone che lo hanno fatto erano molto ben preparate». Jerary aveva però smentito che fosse stato rapito anche il ministro delle finanze della Libia, come sembrava in un primo momento.
Zeidan, che era stato nominato primo ministro di un anno fa, l’8 ottobre aveva condannato il raid Usa ed aveva detto che tutti i libici devono essere giudicati in patria. Il Congresso generale nazionale ha chiesto che Washington restituisca “immediatamente” al Liby, sostenendo la sua cattura è una flagrante violazione della sovranità del Paese, ma non è bastato a rabbonire le milizie islamiche che tengono sotto scacco un potere politico debolissimo e che non controlla più gran parte della Libia.
Al Liby, il cui vero nome è Nazih Abdul Hamed al-Raghie, era sulla lista dei ricercati dell’Fbi ed aveva sulla testa una taglia da 5 milioni di dollari perché gli americani sono convinti sia l’organizzatore dei due attentati che nel 1998 rasero al suolo le ambasciate americane in Africa orientale, facendo più di 200 vittime. Attualmente sarebbe prigioniero a bordo di una nave della Marina degli Stati Uniti nel Mediterraneo e l’8 ottobre il presidente Usa, Barack Obama, ha sottolineato che al Liby è coinvolto in trame che hanno ucciso centinaia di persone e che sarebbe stato portato davanti alla giustizia.
Ma questo feroce organizzatore di stragi, un esperto di computer specializzato in ricerca nucleare, è anche l’esempio di come gli occidentali abbiano giocato con il fuoco in Medio Oriente e di come continuino a scottarsi senza mai capire la lezione: da giovane, andò a combattere i sovietici in Afghanistan con le milizie arabe integraliste finanziate dai sauditi ed armate dagli americani, poi insieme alla sua famiglia, che viveva in Inghilterra, si è rifugiato in Iran, ma gli ayatollah sciiti di Teheran non hanno in grande simpatia gli integralisti sunniti e hanno messo tutti sottochiave per 7 anni. Nel 2010 l’Iran ha permesso alla famiglia di tornare a casa, ma senza al Liby, che li ha seguiti dopo, giusto in tempo per partecipare alla rivolta libica, dove è rimasto ucciso il suo fratello, e dove ha combattuto contro le forze di Gheddafi nelle montagne di Nafusa ed era tra chi ha dato l’ultimo assalto a Bab al-Aziza, il compound di Gheddafi a Tripoli.
Molti libici danno la colpa alle rivalità politiche per i problemi che affliggono un Paese in mano a gruppi armati e zeppo di armi eredità della “rivoluzione” del 2011 che ha rovesciato Muammar Gheddafi. La rabbia dei libici contro il governo ed i “liberatori” occidentali è in crescita di fronte ad una violenza diffusa, agli assassinii politici ed al continuo scontro tra bande islamiste e amministrazioni locali e tribali nella Cirenaica, da dove cominciò la rivolta contro Gheddafi.
GreenReport - Che l’intervento armato straniero in Libia ed il sanguinoso rovesciamento della dittatura di Muammar Gheddafi fossero l’ennesimo fallimento della diplomazia armata e muscolare occidentale era sotto gli occhi di tutti. Nemmeno le tanto propagandate elezioni democratiche hanno segnato la svolta per un Paese che oggi è frantumato in sultanati tribali e in territori governati da bande armate, un non-Stato che riesporta il petrolio ma anche la guerriglia tuareg in Mali e Niger, bande di miliziani islamisti in Siria ed armi per i Fratelli Musulmani in Egitto.
Il bubbone dell’ennesimo Paese arabo conquistato con i cacciabombardieri e poi lasciato ad imputridire nelle sue stesse ferite e nelle macerie di una dittatura, dalla quale è nata una democrazia così debole da essere praticamente invisibile, è scoppiato oggi in tutta la sua forza in un hotel di Tripoli, dove un gruppo di uomini armati ha sequestrato senza troppi problemi il primo ministro libico Ali Zeidan, lo ha portato dove ha voluto e poi lo ha rilasciato, tutto in diretta su Facebook e in collegamento con stampa e televisioni. Come ammette lo stesso governo: «Il capo del governo di transizione, Ali Zeidan, è stato portato in una destinazione sconosciuta per motivi sconosciuti da parte di un gruppo. Secondo Al Jazeera, «Un ex gruppo ribelle libico ha annunciato giovedi di aver catturato Zeidan dopo che il governo ha permesso agli Stati Uniti di catturare il sospettato capo di al Qaeda Abu Anas al-Liby a Tripoli lo scorso fine settimana».
Dal che si capisce chi erano gli alleati di Francia, Usa, Gran Bretagna ed Italia in Libia, si capisce quello che avevamo sempre pervicacemente negato, cioè che la ribellione libica era stata pesantemente infiltrata dalle bande integraliste islamiche vicine ad al Qaeda, come invece sapevano bene qatarioti e sauditi, che le finanziavano come oggi finanziano le fazione più feroce dell’opposizione siriana e le brigate internazionali islamo/fasciste che si sono precipitate sul campo di battaglia siriano.
Di cosa si tratti lo ha chiarito il portavoce della Libyan Revolutionary Operations Chamber, che ha rivendicato il sequestro di Zeidan: «Il suo arresto arriva dopo la dichiarazione di John Kerry sulla cattura di Abu Anas al-Liby, dopo che ha detto che il governo libico era a conoscenza dell’operazione».
Il governo ha confermato in una dichiarazione che la Libyan Revolutionary Operations Chamber è coinvolta nel rapimento, ma ha accusato anche un altro gruppo che faceva parte dei “liberatori” della Libia, la Brigade for the Fight against.
Dopo qualche ora Zeidan è stato liberato ed è venuto fuori che gli ex ribelli dicono di lavorare per il ministero dell’Interno. e sulla loro pagina Facebook dicono che il premier «E’ stato arrestato ai sensi del codice penale libico (…) su indicazione del pubblico ministero». Ma l’ufficio del procuratore generale della Libia, sentito dal network televisivopanarabo Al Arabiya, ha negato sia di avere rapporti con la milizia che di aver emesso un ordine di arresto per Zeidan.
La confusione è grande è svela impietosamente la debolezza estrema e del Congresso generale nazionale, l’autorità politica superiore della Libia, che pure dicono di avere la situazione sotto controllo ed invitano i cittadini a mantenere la calma in un Paese dove ormai la calma è assicurata dalle milizie tribali ed i soldati regolari si ammutinano perché non vengono pagati.
Che la dinamica del rapimento di Zeidan fosse molto strana lo si era capito da subito: il blitz degli islamisti che hanno catturato Zeidan è avvenuto nell’Hoterl Corinthia della capitale libica, dove il premier dell’eterna transizione libica risiedeva e dove la sicurezza non sembra aver opposto alcuna resistenza, mentre le guardie dell’albergo hanno descritto il blitz proprio come un “arresto”. Al Arabiya ha anche mostrato un video nel quale si vede un accigliato Zeidan in maniche di camicia e circondato da alcuni uomini in abiti civili.
Amel Jerary, direttore delle comunicazioni del primo ministro rapito, aveva detto ad Al Jazeera che «Il raid è avvenuto nel cuore della notte. Ho paura che, a questo punto, niente sia davvero chiaro. Come si fa, io davvero non ho alcuna informazione su questo. Sono sicuro che le persone che lo hanno fatto erano molto ben preparate». Jerary aveva però smentito che fosse stato rapito anche il ministro delle finanze della Libia, come sembrava in un primo momento.
Zeidan, che era stato nominato primo ministro di un anno fa, l’8 ottobre aveva condannato il raid Usa ed aveva detto che tutti i libici devono essere giudicati in patria. Il Congresso generale nazionale ha chiesto che Washington restituisca “immediatamente” al Liby, sostenendo la sua cattura è una flagrante violazione della sovranità del Paese, ma non è bastato a rabbonire le milizie islamiche che tengono sotto scacco un potere politico debolissimo e che non controlla più gran parte della Libia.
Al Liby, il cui vero nome è Nazih Abdul Hamed al-Raghie, era sulla lista dei ricercati dell’Fbi ed aveva sulla testa una taglia da 5 milioni di dollari perché gli americani sono convinti sia l’organizzatore dei due attentati che nel 1998 rasero al suolo le ambasciate americane in Africa orientale, facendo più di 200 vittime. Attualmente sarebbe prigioniero a bordo di una nave della Marina degli Stati Uniti nel Mediterraneo e l’8 ottobre il presidente Usa, Barack Obama, ha sottolineato che al Liby è coinvolto in trame che hanno ucciso centinaia di persone e che sarebbe stato portato davanti alla giustizia.
Ma questo feroce organizzatore di stragi, un esperto di computer specializzato in ricerca nucleare, è anche l’esempio di come gli occidentali abbiano giocato con il fuoco in Medio Oriente e di come continuino a scottarsi senza mai capire la lezione: da giovane, andò a combattere i sovietici in Afghanistan con le milizie arabe integraliste finanziate dai sauditi ed armate dagli americani, poi insieme alla sua famiglia, che viveva in Inghilterra, si è rifugiato in Iran, ma gli ayatollah sciiti di Teheran non hanno in grande simpatia gli integralisti sunniti e hanno messo tutti sottochiave per 7 anni. Nel 2010 l’Iran ha permesso alla famiglia di tornare a casa, ma senza al Liby, che li ha seguiti dopo, giusto in tempo per partecipare alla rivolta libica, dove è rimasto ucciso il suo fratello, e dove ha combattuto contro le forze di Gheddafi nelle montagne di Nafusa ed era tra chi ha dato l’ultimo assalto a Bab al-Aziza, il compound di Gheddafi a Tripoli.
Molti libici danno la colpa alle rivalità politiche per i problemi che affliggono un Paese in mano a gruppi armati e zeppo di armi eredità della “rivoluzione” del 2011 che ha rovesciato Muammar Gheddafi. La rabbia dei libici contro il governo ed i “liberatori” occidentali è in crescita di fronte ad una violenza diffusa, agli assassinii politici ed al continuo scontro tra bande islamiste e amministrazioni locali e tribali nella Cirenaica, da dove cominciò la rivolta contro Gheddafi.
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