“Le persone sane dipendono da sistemi alimentari sani”. Questo il tema dell’odierna Giornata mondiale dell’alimentazione, promossa dalla Fao. L’obiettivo è di porre l’accento sulla necessità di sistemi alimentari sostenibili per la sicurezza alimentare e la nutrizione. Nel mondo, le persone che soffrono la fame sono 842 milioni. Il servizio di Amedeo Lomonaco: ascolta
Radio Vaticana - La produzione mondiale di cibo potrebbe sfamare molte più persone di quelle che oggi abitano il pianeta. Ma l’attuale sistema di produzione e di distribuzione alimentare presenta ancora drammatici e pradossali squilibri. Un terzo del cibo prodotto a livello mondiale finisce nella spazzatura, il 75% dei Paesi con gravi problemi legati alla denutrizione sono esportatori di cibo. Questi e altri fattori, tra cui il degrado ambientale e modelli di sviluppo non sostenibili, delineano una situazione inaccettabile: nel mondo, oltre 842 milioni di persone soffrono la fame. Le situazioni più critiche si registrano nell’Asia del Sud (304 milioni) e nell’Africa sub-sahariana (234 milioni), ma questa piaga è presente anche nei Paesi industrializzati (15,7 milioni). Il numero totale delle persone che patiscono la fame è comunque in calo. Nel 2010, erano 870 milioni, nel 2012 si è registrata una riduzione di circa 30 milioni. Ma per centrare il primo Obiettivo del Millennio, dimezzare la percentuale delle persone che soffrono la fame entro il 2015, servono maggiore conoscenza e più consapevolezza. Marco De Ponte, segretario generale di ActionAid Italia:
R. – Questi dati sono ancora enormi, se consideriamo che mancano due anni all’obiettivo del 2015 che puntava a un dimezzamento delle persone che soffrono di malnutrizione, ed è un mondo di paradossi. Ricordiamo che il 75% di queste persone vive nelle zone rurali, cioè dove il cibo si coltiva. Altro lato della medaglia è che 1,5 miliardi di persone soffrono per problemi di salute legati all’eccesso di cibo, con costi sociali sui sistemi sanitari nazionali che sono molto rilevanti. Un terzo di tutto il cibo che viene prodotto – valore stimato circa 750 miliardi di dollari, di cui 15-20 in Italia – viene sprecato. In Italia, sono 15-20 miliardi all’anno! Sono paradossi… Il problema della fame è enorme, però è risolvibile. Questa è la prima generazione che ha i mezzi per nutrire l’intero pianeta, nonostante siamo ormai quasi sette miliardi.
D. – Quali sono gli strumenti giusti proprio per combattere la fame?
R. – ActionAid ritiene che le soluzione tecnologiche negli anni abbiano portato a produrre più cibo ma non si sono risolti, appunto, alcuni dei paradossi che abbiamo detto prima. Alla fine, quello che conta per risolvere ogni problema legato a sperequazioni di giustizia sociale è cercare di enfatizzare la partecipazione. Noi parliamo della necessità di una nuova democrazia del cibo e la partecipazione alle decisioni che ci riguardano è importante, tanto nel Sud quanto nel Nord del mondo. Così come è importante che i piccoli agricoltori in Brasile, in India, sappiano rivendicare il loro diritto di accesso alla terra, alla capacità di negoziare prezzi giusti, così io dico anche che non vedo perché non devo essere in grado e voler sapere come vengono fatti i bandi di gare, eseguiti i contratti – per esempio – nelle mense scolastiche dove vanno i miei figli, o per le forniture di cibo negli ospedali… Insomma, quei luoghi dove poi si finanzia una catena alimentare con risorse pubbliche. In realtà, i prezzi degli alimenti che vengono considerati ormai solo “merce” si fanno alla borsa di Chicago, con grandi imprese sementiere, produttori di fertilizzanti, grande distribuzione organizzata, pochi che controllano i prezzi e i più – cioè noi consumatori, milioni e miliardi di consumatori, e milioni di famiglie di piccoli agricoltori – paradossalmente schiacciati ai lati: gli uni costretti a comprare alimenti magari anche con proprietà nutrizionali più scarse, perché standardizzati nei supermercati, e gli altri tagliati fuori dalle logiche delle economie di scala dei grandi distributori. Insomma, si immettono e si tolgono grandi quantità di cibo sul mercato come si può fare con qualunque prodotto. Questo, per essere sovvertito e rimodellato, ha bisogno di conoscenza e partecipazione delle persone.
D. - La Fao ricorda che se la comunità internazionale riuscisse ad investire 1,2 miliardi di dollari l’anno per cinque anni, i benefici derivanti dal miglioramento della salute e quindi dalle conseguenti migliori prospettive di lavoro, porterebbero ad un guadagno di 15,3 miliardi di dollari. Eppure, sembra difficile reperire queste risorse…
R. – Sembra difficile, ma basta pensare alle proporzioni: bisogna guardare l’orizzonte e non il dito davanti al naso. Si tratta di scelte. Certamente, parliamo anche di Paesi occidentali: ci sono costi enormi nei quali si incorre a livello di sistemi sanitari nazionali per curare le patologie legate all’eccesso di cibo. Quindi, una vita sana, uno stile di vita alimentare più adeguato attraverso la promozione e la conoscenza costerebbe agli Stati, quindi alle nostre tasche di contribuenti, molto di meno. Bisogna però essere in grado di guardare l’orizzonte, non la punta delle proprie scarpe…
Ricordiamo l’impegno di ActionAid con la campagna di informazione e raccolta fondi “Operazione fame”. Quest’anno la campagna è incentrata su progetti in Brasile. Di che cosa si tratta? Ancora Marco De Ponte:
R. – “Operazione fame” in effetti è uno sforzo di lungo periodo: abbiamo preso, ad esempio, il Brasile anche se lavoriamo in circa 50 Paesi del mondo, perché il Brasile è un Paese nel quale le politiche pubbliche per sconfiggere la fame sono state messe in opera dallo Stato, e noi sottolineiamo il fatto, quindi, che quando vengono fatte le scelte giuste, esistono le possibilità di fare progressi. Noi continueremo a fare il nostro lavoro. Chi vuole donare anche specificamente per il Brasile, lo può fare sul nostro sito www.operazionefame.it.
In Italia, nonostante la crisi, la catena dello spreco presenta numeri impressionanti. In base a un rapporto di "Last Minute Market", società spin-off dell'Università di Bologna, il 2,47% della produzione agricola italiana non è stata raccolta. Nell’industria agroalimentare lo spreco medio ammonta al 2,6% della produzione finale totale. Nel settore distributivo, gli sprechi riguardano sia i mercati all’ingrosso sia il sistema distributivo. Nei centri agroalimentari, in particolare, ogni anno dall’1 all’1,2% dell’ortofrutta viene gestita come rifiuto. Gli sprechi continuano anche in casa. Ogni anno, le errate abitudini domestiche costano agli italiani 8,7 miliardi di euro. Lo spreco settimanale medio è di circa 213 grammi di cibo.
Radio Vaticana - La produzione mondiale di cibo potrebbe sfamare molte più persone di quelle che oggi abitano il pianeta. Ma l’attuale sistema di produzione e di distribuzione alimentare presenta ancora drammatici e pradossali squilibri. Un terzo del cibo prodotto a livello mondiale finisce nella spazzatura, il 75% dei Paesi con gravi problemi legati alla denutrizione sono esportatori di cibo. Questi e altri fattori, tra cui il degrado ambientale e modelli di sviluppo non sostenibili, delineano una situazione inaccettabile: nel mondo, oltre 842 milioni di persone soffrono la fame. Le situazioni più critiche si registrano nell’Asia del Sud (304 milioni) e nell’Africa sub-sahariana (234 milioni), ma questa piaga è presente anche nei Paesi industrializzati (15,7 milioni). Il numero totale delle persone che patiscono la fame è comunque in calo. Nel 2010, erano 870 milioni, nel 2012 si è registrata una riduzione di circa 30 milioni. Ma per centrare il primo Obiettivo del Millennio, dimezzare la percentuale delle persone che soffrono la fame entro il 2015, servono maggiore conoscenza e più consapevolezza. Marco De Ponte, segretario generale di ActionAid Italia:
R. – Questi dati sono ancora enormi, se consideriamo che mancano due anni all’obiettivo del 2015 che puntava a un dimezzamento delle persone che soffrono di malnutrizione, ed è un mondo di paradossi. Ricordiamo che il 75% di queste persone vive nelle zone rurali, cioè dove il cibo si coltiva. Altro lato della medaglia è che 1,5 miliardi di persone soffrono per problemi di salute legati all’eccesso di cibo, con costi sociali sui sistemi sanitari nazionali che sono molto rilevanti. Un terzo di tutto il cibo che viene prodotto – valore stimato circa 750 miliardi di dollari, di cui 15-20 in Italia – viene sprecato. In Italia, sono 15-20 miliardi all’anno! Sono paradossi… Il problema della fame è enorme, però è risolvibile. Questa è la prima generazione che ha i mezzi per nutrire l’intero pianeta, nonostante siamo ormai quasi sette miliardi.
D. – Quali sono gli strumenti giusti proprio per combattere la fame?
R. – ActionAid ritiene che le soluzione tecnologiche negli anni abbiano portato a produrre più cibo ma non si sono risolti, appunto, alcuni dei paradossi che abbiamo detto prima. Alla fine, quello che conta per risolvere ogni problema legato a sperequazioni di giustizia sociale è cercare di enfatizzare la partecipazione. Noi parliamo della necessità di una nuova democrazia del cibo e la partecipazione alle decisioni che ci riguardano è importante, tanto nel Sud quanto nel Nord del mondo. Così come è importante che i piccoli agricoltori in Brasile, in India, sappiano rivendicare il loro diritto di accesso alla terra, alla capacità di negoziare prezzi giusti, così io dico anche che non vedo perché non devo essere in grado e voler sapere come vengono fatti i bandi di gare, eseguiti i contratti – per esempio – nelle mense scolastiche dove vanno i miei figli, o per le forniture di cibo negli ospedali… Insomma, quei luoghi dove poi si finanzia una catena alimentare con risorse pubbliche. In realtà, i prezzi degli alimenti che vengono considerati ormai solo “merce” si fanno alla borsa di Chicago, con grandi imprese sementiere, produttori di fertilizzanti, grande distribuzione organizzata, pochi che controllano i prezzi e i più – cioè noi consumatori, milioni e miliardi di consumatori, e milioni di famiglie di piccoli agricoltori – paradossalmente schiacciati ai lati: gli uni costretti a comprare alimenti magari anche con proprietà nutrizionali più scarse, perché standardizzati nei supermercati, e gli altri tagliati fuori dalle logiche delle economie di scala dei grandi distributori. Insomma, si immettono e si tolgono grandi quantità di cibo sul mercato come si può fare con qualunque prodotto. Questo, per essere sovvertito e rimodellato, ha bisogno di conoscenza e partecipazione delle persone.
D. - La Fao ricorda che se la comunità internazionale riuscisse ad investire 1,2 miliardi di dollari l’anno per cinque anni, i benefici derivanti dal miglioramento della salute e quindi dalle conseguenti migliori prospettive di lavoro, porterebbero ad un guadagno di 15,3 miliardi di dollari. Eppure, sembra difficile reperire queste risorse…
R. – Sembra difficile, ma basta pensare alle proporzioni: bisogna guardare l’orizzonte e non il dito davanti al naso. Si tratta di scelte. Certamente, parliamo anche di Paesi occidentali: ci sono costi enormi nei quali si incorre a livello di sistemi sanitari nazionali per curare le patologie legate all’eccesso di cibo. Quindi, una vita sana, uno stile di vita alimentare più adeguato attraverso la promozione e la conoscenza costerebbe agli Stati, quindi alle nostre tasche di contribuenti, molto di meno. Bisogna però essere in grado di guardare l’orizzonte, non la punta delle proprie scarpe…
Ricordiamo l’impegno di ActionAid con la campagna di informazione e raccolta fondi “Operazione fame”. Quest’anno la campagna è incentrata su progetti in Brasile. Di che cosa si tratta? Ancora Marco De Ponte:
R. – “Operazione fame” in effetti è uno sforzo di lungo periodo: abbiamo preso, ad esempio, il Brasile anche se lavoriamo in circa 50 Paesi del mondo, perché il Brasile è un Paese nel quale le politiche pubbliche per sconfiggere la fame sono state messe in opera dallo Stato, e noi sottolineiamo il fatto, quindi, che quando vengono fatte le scelte giuste, esistono le possibilità di fare progressi. Noi continueremo a fare il nostro lavoro. Chi vuole donare anche specificamente per il Brasile, lo può fare sul nostro sito www.operazionefame.it.
In Italia, nonostante la crisi, la catena dello spreco presenta numeri impressionanti. In base a un rapporto di "Last Minute Market", società spin-off dell'Università di Bologna, il 2,47% della produzione agricola italiana non è stata raccolta. Nell’industria agroalimentare lo spreco medio ammonta al 2,6% della produzione finale totale. Nel settore distributivo, gli sprechi riguardano sia i mercati all’ingrosso sia il sistema distributivo. Nei centri agroalimentari, in particolare, ogni anno dall’1 all’1,2% dell’ortofrutta viene gestita come rifiuto. Gli sprechi continuano anche in casa. Ogni anno, le errate abitudini domestiche costano agli italiani 8,7 miliardi di euro. Lo spreco settimanale medio è di circa 213 grammi di cibo.
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