In Italia, cresce il lavoro a bassa professionalità, aumentano colf e badanti, ma cala sempre di più la produzione industriale e il lavoro ad alta qualificazione. Lo riporta un articolo del quotidiano "Repubblica" dove viene messo in luce come questa via italiana sia in controtendenza rispetto all’Europa, in testa la Germania, dove l’economia guarda sempre di più alla formazione e alla qualificazione del capitale umano. Debora Donnini ha approfondito questo tema con Tommaso Cozzi, professore di economia all’Università di Bari:
Radio Vaticana - R. – Sono oltre trent’anni che noi, come nazione, non investiamo più nella formazione dei cervelli. Pretendiamo che i cervelli in fuga verso l’estero ritornino, ma in realtà nella nostra nazione si investe sempre meno nell’alta qualificazione. Anche il sistema scolastico e universitario tende a livellare verso il basso il livello culturale dei nostri giovani. Quindi da un lato abbiamo delle iper-specializzazioni di laureati che poi appunto, emigrano all’estero per trovare una collocazione dignitosa; dall’altro lato, anche se teoricamente i titoli di studio - cioè i diplomi di scuola media superiore o le lauree - aumentano, il livello culturale ormai è appiattito verso il basso. E questa è la conseguenza che poi ci porta ad orientare i nostri giovani verso lavori a bassa qualificazione.
D. – Paesi come l’Italia dovrebbero puntare – come fa la Germania – sull’alta qualificazione e sulla formazione
R. – Il punto è proprio questo: che l’alta qualificazione giustifica la presenza anche di alte remunerazioni. Da noi, purtroppo, abbiamo giovani che sopravvivono con stupendi precari, di basso livello, proprio perché non abbiamo investito sul capitale umano che è fondamentale per una nazione che sia competitiva.
D. – Recentemente è uscito un rapporto sulla competitività dell’Unione Europea, nel quale veniva diffuso un dato allarmante: in Italia, dal 2007 ad oggi, la produzione industriale è calata del 20 per cento, quindi anche in questo senso non c’è stato uno sguardo lungimirante verso il futuro
R. – Ormai noi siamo non più in una situazione di decrescita, ma addirittura di depressione economica. La ragione per cui la produzione è calata è dovuta al calo contemporaneo dei consumi. Il punto è proprio questo: per poter essere competitivi è necessario passare dalla logica del Prodotto interno lordo, che pure è significativo per comprendere l’andamento di una nazione, a quello che Amartya Sen definisce “l’indice di sviluppo umano”. E nell’indice di sviluppo umano, uno degli indicatori più importanti è proprio il livello di scolarizzazione, non come titolo formale ma come qualificazione del capitale umano.
D. – Come mai la Germania cresce e perché, rispetto all’Italia, è riuscita a puntare sulla formazione e sulla riqualificazione?
R. – La Germania cresce perché dal momento in cui le due Germanie si sono riunificate, noi abbiamo assistito ad un fenomeno interessante: la Germania era la nazione forse più debole, più arretrata d’Europa perché si è ritrovata all’improvviso con il raddoppio della popolazione di cui una parte, l’ex Germania dell’Est, era completamente da ricostruire anche in termini di competenze. Allora la Germania ormai da quasi 30 anni ha impostato le sue politiche proprio sullo sviluppo del capitale umano che, di conseguenza, porta allo sviluppo del sistema imprenditoriale, del sistema industriale e quindi ad altissima competitività.
Radio Vaticana - R. – Sono oltre trent’anni che noi, come nazione, non investiamo più nella formazione dei cervelli. Pretendiamo che i cervelli in fuga verso l’estero ritornino, ma in realtà nella nostra nazione si investe sempre meno nell’alta qualificazione. Anche il sistema scolastico e universitario tende a livellare verso il basso il livello culturale dei nostri giovani. Quindi da un lato abbiamo delle iper-specializzazioni di laureati che poi appunto, emigrano all’estero per trovare una collocazione dignitosa; dall’altro lato, anche se teoricamente i titoli di studio - cioè i diplomi di scuola media superiore o le lauree - aumentano, il livello culturale ormai è appiattito verso il basso. E questa è la conseguenza che poi ci porta ad orientare i nostri giovani verso lavori a bassa qualificazione.
D. – Paesi come l’Italia dovrebbero puntare – come fa la Germania – sull’alta qualificazione e sulla formazione
R. – Il punto è proprio questo: che l’alta qualificazione giustifica la presenza anche di alte remunerazioni. Da noi, purtroppo, abbiamo giovani che sopravvivono con stupendi precari, di basso livello, proprio perché non abbiamo investito sul capitale umano che è fondamentale per una nazione che sia competitiva.
D. – Recentemente è uscito un rapporto sulla competitività dell’Unione Europea, nel quale veniva diffuso un dato allarmante: in Italia, dal 2007 ad oggi, la produzione industriale è calata del 20 per cento, quindi anche in questo senso non c’è stato uno sguardo lungimirante verso il futuro
R. – Ormai noi siamo non più in una situazione di decrescita, ma addirittura di depressione economica. La ragione per cui la produzione è calata è dovuta al calo contemporaneo dei consumi. Il punto è proprio questo: per poter essere competitivi è necessario passare dalla logica del Prodotto interno lordo, che pure è significativo per comprendere l’andamento di una nazione, a quello che Amartya Sen definisce “l’indice di sviluppo umano”. E nell’indice di sviluppo umano, uno degli indicatori più importanti è proprio il livello di scolarizzazione, non come titolo formale ma come qualificazione del capitale umano.
D. – Come mai la Germania cresce e perché, rispetto all’Italia, è riuscita a puntare sulla formazione e sulla riqualificazione?
R. – La Germania cresce perché dal momento in cui le due Germanie si sono riunificate, noi abbiamo assistito ad un fenomeno interessante: la Germania era la nazione forse più debole, più arretrata d’Europa perché si è ritrovata all’improvviso con il raddoppio della popolazione di cui una parte, l’ex Germania dell’Est, era completamente da ricostruire anche in termini di competenze. Allora la Germania ormai da quasi 30 anni ha impostato le sue politiche proprio sullo sviluppo del capitale umano che, di conseguenza, porta allo sviluppo del sistema imprenditoriale, del sistema industriale e quindi ad altissima competitività.
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