Papa Francesco alla FAO: “No a consumismo e sperpero di alimenti”
di Paolo Fucili
Della “sobrietà” di Francesco, se così si può chiamare, molto è stato riferito e celebrato a proposito di automobili, residenza, vestiario; poco, invece, riguardo ad un gesto abituale per la fortunata gran parte dell’umanità come sedersi a tavola a consumare ogni giorno i pasti di mattina, mezzogiorno e sera. Tanto che anche il Papa, all’Angelus delle 12 di ogni domenica, è solito congedare i fedeli con un familiare “buon pranzo”.
Sarà che la cronaca ha fornito finora poche notizie ed indiscrezioni su abitudini e gusti alimentari di sua Santità (e magari è pure giusto così). Sarà anche che la sobrietà, tanto esaltata quanto poco messa in pratica, è considerata virtù che si può pure trascurare, nello scegliere e consumare beni di valore tutto sommato modesto come un piatto di qualche pietanza (per spese più impegnative, invece, è più facile che si imponga da sola, anziché essere volutamente scelta).
Tuttavia neppure un pasto quotidiano sufficiente e sicuro è un fatto scontato
per un numero insopportabilmente alto di uomini e donne. “E’ uno scandalo che
ci sia ancora fame e malnutrizione nel mondo!”, scrive proprio oggi Bergoglio
col pensiero rivolto agli 800 e passa milioni di abitanti del globo (dicono i
dati più accreditati) cui è negato uno dei più elementari diritti dell’uomo, il
cibo. L’occasione era l’odierna Giornata mondiale dell’alimentazione 2013, di
cui il Pontefice si è ricordato indirizzando un denso messaggio al direttore
generale della FAO (Organizzazione delle Nazioni Unite per l’Alimentazione e l’
Agricoltura) José Graziano da Silva.
E lo scandalo più grave ancora, evocato tra quelle righe, è abituarsi a considerare normali fame e denutrizione. “Qualcosa deve cambiare in noi stessi, nella nostra mentalità, nelle nostre società”, implora sua Santità, e non è genericamente questione solo di “abbattere con decisione le barriere dell’individualismo, della chiusura in se stessi, della schiavitù del profitto a tutti i costi”.
Quando ancora la fame era uno spettro pure in paesi, come i nostri europei, dove oggi si muore piuttosto di malattie legate ad un’alimentazione cattiva perché troppo ricca, imparare a non sprecare nulla di commestibile veniva da sé. Un’aura di sacralità, quasi, avvolgeva qualunque cibo dalla faticosa produzione al frugale consumo, come fosse un bene tanto prezioso che a fissarne il valore non bastava il prezzo in denaro. La vergogna della fame oggi consiste invece nel fatto, menzionato pure dal Papa, “che circa un terzo della produzione alimentare mondiale è indisponibile a causa di perdite e di sprechi sempre più ampi. Basterebbe eliminarli per ridurre in modo drastico il numero degli affamati”, oltre che ridurre lo “sfruttamento selvaggio” delle risorse del creato.
La sobrietà comunemente identificata e lodata come personale tratto del neoeletto Francesco deve insommaispirare anche comportamenti banali in apparenza, come quelli che siamo soliti adottare a pranzo e a cena, riguardo a cui ci sono dati non meno scandalosi che parlano di colossali sprechi di cibo per trascuratezza, superficialità o gusti troppo sofisticati. Ma garantire “una nutrizione sufficiente e sana per tutti” comporta anche interrogarsi seriamente “sulla necessità di modificare concretamente i nostri stili di vita, compresi quelli alimentari, che, in tante area del pianeta, sono segnati da consumismo, spreco e sperpero di alimenti”.
Tornano così anche nel messaggio di oggi espressioni care a Jorge Bergoglio come “cultura dello scarto” e “globalizzazione dell’indifferenza”, dove si parla di uomini e donne sacrificati agli idoli del profitto e del consumo. Perché è vero, sì, che la sfida del debellare la fame dell’umanità ha anzitutto una dimensione “economica o scientifica, che riguarda gli aspetti quantitativi e qualitativi della filiera alimentare”. Ma c’è un’altra dimensione del problema ancor più drammatica forse, ed è quella “etica ed antropologica”, la chiama il Papa. Come a dire che lo scandalo morale della fame non ci scuoterà mai davvero, finché tollereremo come normale che il cibo nostro e altrui sia sprecato senza vergogna.
Della “sobrietà” di Francesco, se così si può chiamare, molto è stato riferito e celebrato a proposito di automobili, residenza, vestiario; poco, invece, riguardo ad un gesto abituale per la fortunata gran parte dell’umanità come sedersi a tavola a consumare ogni giorno i pasti di mattina, mezzogiorno e sera. Tanto che anche il Papa, all’Angelus delle 12 di ogni domenica, è solito congedare i fedeli con un familiare “buon pranzo”.
Sarà che la cronaca ha fornito finora poche notizie ed indiscrezioni su abitudini e gusti alimentari di sua Santità (e magari è pure giusto così). Sarà anche che la sobrietà, tanto esaltata quanto poco messa in pratica, è considerata virtù che si può pure trascurare, nello scegliere e consumare beni di valore tutto sommato modesto come un piatto di qualche pietanza (per spese più impegnative, invece, è più facile che si imponga da sola, anziché essere volutamente scelta).
José Graziano da Silva |
E lo scandalo più grave ancora, evocato tra quelle righe, è abituarsi a considerare normali fame e denutrizione. “Qualcosa deve cambiare in noi stessi, nella nostra mentalità, nelle nostre società”, implora sua Santità, e non è genericamente questione solo di “abbattere con decisione le barriere dell’individualismo, della chiusura in se stessi, della schiavitù del profitto a tutti i costi”.
Quando ancora la fame era uno spettro pure in paesi, come i nostri europei, dove oggi si muore piuttosto di malattie legate ad un’alimentazione cattiva perché troppo ricca, imparare a non sprecare nulla di commestibile veniva da sé. Un’aura di sacralità, quasi, avvolgeva qualunque cibo dalla faticosa produzione al frugale consumo, come fosse un bene tanto prezioso che a fissarne il valore non bastava il prezzo in denaro. La vergogna della fame oggi consiste invece nel fatto, menzionato pure dal Papa, “che circa un terzo della produzione alimentare mondiale è indisponibile a causa di perdite e di sprechi sempre più ampi. Basterebbe eliminarli per ridurre in modo drastico il numero degli affamati”, oltre che ridurre lo “sfruttamento selvaggio” delle risorse del creato.
La sobrietà comunemente identificata e lodata come personale tratto del neoeletto Francesco deve insommaispirare anche comportamenti banali in apparenza, come quelli che siamo soliti adottare a pranzo e a cena, riguardo a cui ci sono dati non meno scandalosi che parlano di colossali sprechi di cibo per trascuratezza, superficialità o gusti troppo sofisticati. Ma garantire “una nutrizione sufficiente e sana per tutti” comporta anche interrogarsi seriamente “sulla necessità di modificare concretamente i nostri stili di vita, compresi quelli alimentari, che, in tante area del pianeta, sono segnati da consumismo, spreco e sperpero di alimenti”.
Tornano così anche nel messaggio di oggi espressioni care a Jorge Bergoglio come “cultura dello scarto” e “globalizzazione dell’indifferenza”, dove si parla di uomini e donne sacrificati agli idoli del profitto e del consumo. Perché è vero, sì, che la sfida del debellare la fame dell’umanità ha anzitutto una dimensione “economica o scientifica, che riguarda gli aspetti quantitativi e qualitativi della filiera alimentare”. Ma c’è un’altra dimensione del problema ancor più drammatica forse, ed è quella “etica ed antropologica”, la chiama il Papa. Come a dire che lo scandalo morale della fame non ci scuoterà mai davvero, finché tollereremo come normale che il cibo nostro e altrui sia sprecato senza vergogna.
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