Una favola “nera” avvicinandoci ad Halloween…
di Silvio Foini
Stavo seduto sotto il ponte che una volta aveva unito le due città che ora non esistono più. Avevo abitato in quella sulla riva sinistra del fiume, quell’acqua che ora è scura e puzzolente. Il mio stato fisico e mentale erano finiti da tempo sotto le suole dei vecchi scarponi che avevo trovato nell’ultimo cassonetto della spazzatura che non era più stato svuotato. Tanto a che sarebbe servito svuotarlo? Nessuno vi conferiva più nulla, anche perché i pochi rimasti, sì e no settemila persone fra giovani e vecchi, di pattume non ne producevano più. Tutto era cominciato quella mattina di ottobre, piovigginosa e triste, quando mi ero svegliato nel mio letto, da solo. Mia moglie se ne era andata a vivere con uno che stava nella carovana di zingari, perché si era stufata della mia assenza continua dovuta al mio lavoro che, oltretutto, non è che ci permettesse una vita da sogno. Stavo pensando quindi di gettarmi fra quelle scure acque e andare a raggiungere gli altri che ormai vagavano nel mondo dei più, quando osservai una figura alta, allampanata che si stava avvicinando lungo l’argine sassoso. Pareva sfiorasse il terreno anziché calpestarlo. Portava un cappuccio nero che gli oscurava il viso ed un lungo mantello dello stesso colore. In mano, nella destra, stringeva una falce dalla lama lucente che sprigionava curiosi barbaglii. “Sarà uno di quegli ultimi contadini che vanno a falciare l’erba per poi darla alla bestie... – pensai lì per lì. – Ma perché viene da queste parti? Non c’è erba qui”.
La figura lugubre si avvicinava sempre più. Provavo uno sconosciuto senso di disagio. Mi si fermò davanti e disse, parlando quasi sottovoce: “Non te lo permetto!”. Fui sorpreso e risposi alzandomi in piedi: “Non mi permetti cosa? Chi sei?”. “Non ti permetto di morire. Solo questo. Non puoi”. “E perché, se è lecito saperlo? Io faccio quel che mi pare!”. “Non puoi morire perché io non ti voglio! Decido io se uno deve morire oppure no!”. Sentii il sangue ghiacciarsi nelle vene: riuscii a vedere il teschio sotto il cappuccio: la Morte in persona!
“Se non mi vuoi perché sei qui allora?” le domandai rinfrancandomi un poco. “Ho bisogno di te. Adesso. Mi devi aiutare in quel che devo fare ed è un compito faticoso. Falciare le anime è stressante ed io sono stanca. Sono circa un milione d’anni che lavoro incessantemente in tutto il pianeta: bambini, uomini, donne, animali ed ognuno in modo differente! Quindi ho visto te, sciagurato e fortunato ad un tempo, ed in te ho visto la mancanza di sentimenti e di amore, quindi sei come sono io. Bisogna essere freddi e determinati per falciare le anime da spedire all’altro mondo. Ci fu un tempo in cui degli uomini si diedero da fare ma non lo fecero nel modo giusto: se ne pentirono poi. Tu invece vedo che non ti pentiresti nemmeno se finisse la razza umana, tutta, qual che ne sia il colore. Vero? Sei quello giusto per darmi una mano”.
Meditai su quelle parole: Lei aveva ragione. Odiavo il mondo intero e quelli della mia specie che l’avevano ridotto così. “Ti aiuterò Morte. Cosa avrò in cambio?”. “Tutto quello che vorrai. Desideri forse essere il novello Adamo dopo?”. “L’idea non è male. Ricostruirei su queste rovine un mondo migliore... i miei discendenti sarebbero felicissimi e vivrebbero per sempre anche perché poi tu te ne dovresti andare. Ci stai?”. Lei allungò una mano scheletrita ed io strinsi delle ossa bianche come la neve. “Ci sto, uomo. Non mi toccherà più girovagare a falciar animacce nere. Va bene. Allora prendi questo, Epi”, disse allungandomi un sacchetto nero. “Non mi chiamo Epi! Il mio nome é...” non mi lasciò finire di parlare. “Da questo momento tu ti chiamerai Epidemia, Epi ne è il diminutivo. In questo sacchetto miliardi di microbi letali. Va’ e spargili per il mondo”. “A piedi, cara Morte?”. “Ma no! Da adesso puoi volare. Vai Epi e datti da fare. Quando avrai finito torna qui che ci saluteremo per sempre ed io andrò finalmente nel paese del nulla a meditare. Va’!”.
Da quel giorno cominciai a sterminare moltitudini. Non ho mai avuto il minimo rimorso nel farlo. Tu che hai letto questa storiella, fai il bravo: passerò da te per ultimo! Ah, dimenticavo gaglioffi: buon Halloween a tutti!
di Silvio Foini
Stavo seduto sotto il ponte che una volta aveva unito le due città che ora non esistono più. Avevo abitato in quella sulla riva sinistra del fiume, quell’acqua che ora è scura e puzzolente. Il mio stato fisico e mentale erano finiti da tempo sotto le suole dei vecchi scarponi che avevo trovato nell’ultimo cassonetto della spazzatura che non era più stato svuotato. Tanto a che sarebbe servito svuotarlo? Nessuno vi conferiva più nulla, anche perché i pochi rimasti, sì e no settemila persone fra giovani e vecchi, di pattume non ne producevano più. Tutto era cominciato quella mattina di ottobre, piovigginosa e triste, quando mi ero svegliato nel mio letto, da solo. Mia moglie se ne era andata a vivere con uno che stava nella carovana di zingari, perché si era stufata della mia assenza continua dovuta al mio lavoro che, oltretutto, non è che ci permettesse una vita da sogno. Stavo pensando quindi di gettarmi fra quelle scure acque e andare a raggiungere gli altri che ormai vagavano nel mondo dei più, quando osservai una figura alta, allampanata che si stava avvicinando lungo l’argine sassoso. Pareva sfiorasse il terreno anziché calpestarlo. Portava un cappuccio nero che gli oscurava il viso ed un lungo mantello dello stesso colore. In mano, nella destra, stringeva una falce dalla lama lucente che sprigionava curiosi barbaglii. “Sarà uno di quegli ultimi contadini che vanno a falciare l’erba per poi darla alla bestie... – pensai lì per lì. – Ma perché viene da queste parti? Non c’è erba qui”.
La figura lugubre si avvicinava sempre più. Provavo uno sconosciuto senso di disagio. Mi si fermò davanti e disse, parlando quasi sottovoce: “Non te lo permetto!”. Fui sorpreso e risposi alzandomi in piedi: “Non mi permetti cosa? Chi sei?”. “Non ti permetto di morire. Solo questo. Non puoi”. “E perché, se è lecito saperlo? Io faccio quel che mi pare!”. “Non puoi morire perché io non ti voglio! Decido io se uno deve morire oppure no!”. Sentii il sangue ghiacciarsi nelle vene: riuscii a vedere il teschio sotto il cappuccio: la Morte in persona!
“Se non mi vuoi perché sei qui allora?” le domandai rinfrancandomi un poco. “Ho bisogno di te. Adesso. Mi devi aiutare in quel che devo fare ed è un compito faticoso. Falciare le anime è stressante ed io sono stanca. Sono circa un milione d’anni che lavoro incessantemente in tutto il pianeta: bambini, uomini, donne, animali ed ognuno in modo differente! Quindi ho visto te, sciagurato e fortunato ad un tempo, ed in te ho visto la mancanza di sentimenti e di amore, quindi sei come sono io. Bisogna essere freddi e determinati per falciare le anime da spedire all’altro mondo. Ci fu un tempo in cui degli uomini si diedero da fare ma non lo fecero nel modo giusto: se ne pentirono poi. Tu invece vedo che non ti pentiresti nemmeno se finisse la razza umana, tutta, qual che ne sia il colore. Vero? Sei quello giusto per darmi una mano”.
Meditai su quelle parole: Lei aveva ragione. Odiavo il mondo intero e quelli della mia specie che l’avevano ridotto così. “Ti aiuterò Morte. Cosa avrò in cambio?”. “Tutto quello che vorrai. Desideri forse essere il novello Adamo dopo?”. “L’idea non è male. Ricostruirei su queste rovine un mondo migliore... i miei discendenti sarebbero felicissimi e vivrebbero per sempre anche perché poi tu te ne dovresti andare. Ci stai?”. Lei allungò una mano scheletrita ed io strinsi delle ossa bianche come la neve. “Ci sto, uomo. Non mi toccherà più girovagare a falciar animacce nere. Va bene. Allora prendi questo, Epi”, disse allungandomi un sacchetto nero. “Non mi chiamo Epi! Il mio nome é...” non mi lasciò finire di parlare. “Da questo momento tu ti chiamerai Epidemia, Epi ne è il diminutivo. In questo sacchetto miliardi di microbi letali. Va’ e spargili per il mondo”. “A piedi, cara Morte?”. “Ma no! Da adesso puoi volare. Vai Epi e datti da fare. Quando avrai finito torna qui che ci saluteremo per sempre ed io andrò finalmente nel paese del nulla a meditare. Va’!”.
Da quel giorno cominciai a sterminare moltitudini. Non ho mai avuto il minimo rimorso nel farlo. Tu che hai letto questa storiella, fai il bravo: passerò da te per ultimo! Ah, dimenticavo gaglioffi: buon Halloween a tutti!
Tweet |
È presente 1 commento
Ma sei veramente fantastico!! Per fortuna ho letto questa fiaba e mi sarà concesso di andarmene da ultima!! Come si fa a non ricoprirti di elogi ! Sara
Inserisci un commento
Gentile lettore, i commenti contententi un linguaggio scorretto e offensivo verranno rimossi.