venerdì, novembre 08, 2013
I palestinesi indicano come mandante Israele. Sanno pero' che la lenta uccisione del leader dell'Olp può essere stata compiuta solo dalla mano di qualcuno che gli era vicino

Gerusalemme (NenaNews) - «I vertici dell'Anp hanno sbagliato, dovevano essere protagonisti sin dal giorno della morte di Yasser Arafat di una iniziativa forte volta a far piena luce sulle cause della sua malattia. Invece sono rimasti indietro, hanno esitato, hanno scelto il basso profilo, facendosi superare dalle inchieste giornalistiche. Per i leader dell'Anp questa vicenda potrebbe rivelarsi molto dannosa». L'ex ministro Ghassan al Khatib, ora analista politico, rispondendo alle domande del manifesto mette il sale sulla ferita aperta dalla pubblicazione del rapporto preparato dagli esperti svizzeri che hanno esaminato e analizzato la salma riesumata dell'uomo che per oltre 40 anni è stato il simbolo della causa palestinese. Perchè la conferma «all'83%» giunta da Losanna che Arafat è stato avvelenato con il polonio non mette sotto accusa soltanto Israele che nega il suo coinvolgimento ma viene indicato dai palestinesi come «mandante dell'assassinio» di Mister Palestina.

Sotto pressione sono anche i leader dell'Anp e dell'Olp che scelgono di rimanere in silenzio. Ai palestinesi nei Territori occupati non sfugge il più inquietante dei tanti aspetti misteriosi di questa vicenda: Israele, dicono, ha ordinato ma la mano che ha avvelenato Arafat è sicuramente palestinese. La mano di qualcuno che doveva essere vicino al presidente mentre viveva, di fatto confinato, nel suo ufficio di Ramallah. «C'era una decisione del governo israeliano di non toccarlo (Arafat)», sostiene Ranan Gissin, un collaboratore dell'ex premier israeliano Ariel Sharon, il nemico implacabile del leader palestinese. «Se qualcuno lo ha avvelenato - aggiunge - era certo uno dei suoi collaboratori». E' forte perciò l'attesa per la conferenza stampa che stamani terrà alla Muqata di Ramallah, un ex capo dell'intelligence, Tawfiq Tirawi, responsabile della commissione che, almeno sulla carta, ha seguito l'accertamento medico e chimico delle cause della morte di Arafat.

Non tanto per conoscere i particolari del rapporto preparato dagli specialisti svizzeri già largamente anticipato dalla tv qatariota al Jazeera, quanto per sapere quali passi l'Anp e l'Olp intendono fare. La popolazione palestinese e la base di Fatah, il partito guidato per decenni da Arafat e, dal 2004 in poi, da Abu Mazen, fanno una sola richiesta: una inchiesta internazionale per individuare e punire il mandante e l'esecutore dell'avvelenamento mortale. Una richiesta legittima.

Per l'assassinio dell'ex premier libanese Rafiq Hariri (febbraio 2005) infatti è stata avviata un'indagine internazionale che fa capo al "Tribunale speciale per il Libano". A maggior ragione dopo la conferenza stampa tenuta ieri dagli esperti esperti svizzeri che tra frasi prudenti e una linea esageratamente cauta, hanno comunque confermato che l'avvelenamento resta la causa quasi certa della morte di Arafat. «I palestinesi attendono di vedere in azione i loro leader, vogliono vederli impegnati a portare avanti una causa di giustizia e verità in nome di un uomo che è stato un simbolo per una intera nazione», spiegava ieri sera il politologo Hani al Masri.

Abu Mazen è perciò chiamato a prendere posizione sul caso-Arafat. Da Gaza il movimento islamico Hamas lo incalza sollecitando l'interruzione immediata dei negoziati con Israele dopo la pubblicazione del rapporto sull'avvelenamento di Arafat. Il presidente dell'Anp però ha le mani legate. Riprendendo lo scorso luglio le trattative, si è impegnato per almeno nove mesi a non fare ricorso ad alcuna corte internazionale per denunciare Israele. Qualcuno sussurra che a gettare un salvagente ad Abu Mazen a questo punto potrebbero essere i risultati degli esami, simili a quelle fatti dagli svizzeri, che hanno effettuato sulla salma di Arafat due team di esperti francesi e russi. Dovessero fornire esiti molto diversi la vicenda rientrerebbe nel limbo in cui è rimasta per nove anni.

Non si arrenderà in ogni caso Suha Tawil, la controversa vedova di Arafat. Pochi giorni prima della morte del marito, denunciò quelli che a suo dire intendevano «metterlo nella tomba prima del tempo», in riferimento a non meglio precisati alti dirigenti dell'Anp. Parole che fecero infuriare quella che poi sarebbe diventata la nuova leadership palestinese. Descritta dai suoi detrattori come superficiale e avida, accusata di aver preteso un generoso vitalizio dall'Olp, Suha Tawill comunque ha avuto il merito di aver chiesto sempre e gran voce in tutti questi anni che si facesse piena luce sulla morte del leader palestinese. Altri hanno scelto il silenzio.

di Michele Giorgio - Il Manifesto


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