Perego (Migrantes): “sono le stesse leggi italiane a determinare l'illegalità”
Aleteia - “Il fenomeno esiste, ma non si vede quando stappiamo una bottiglia di buon vino o di spumante italiano”. Cominciava così un reportage del Fatto Quotidiano del 5 settembre scorso sul caporalato che governa la raccolta dell'uva alla Franciacorta (in provincia di Brescia), alle colline dell’Oltrepo pavese passando per i vigneti del Trentino o del Piemonte. Il caporalato, questa forma di intermediazione del lavoro che si traduce in un vero e proprio sfruttamento del lavoratore, normalmente un immigrato, è una realtà ed è in aumento così come il lavoro nero. E' anche chiaro come sia un fenomeno che alligna indifferentemente al nord e al sud. Ma dove si trovano le sue radici? Se ne è parlato in un convegno a Torino organizzato dal Gruppo Abele dopo un percorso di due anni assieme a forze dell’ordine, Camera di commercio, sindacati e associazioni con l'obiettivo di unificare pratiche e condividere banche dati.
Il caporalato e il lavoro nero, oltre a negare i diritti basilari dei lavoratori, in certi casi fino alla riduzione in schiavitù, sottraggono alle casse dell’Inps tredici miliardi di euro l’anno. “Non sempre c’è dietro la criminalità organizzata: a volte lo sfruttamento diventa prassi. Un indizio arriva dai permessi di soggiorno. Se in passato i permessi nuovi superavano sempre quelli scaduti, da due anni c’è stata un’inversione: nel 2012 sono stati 180 mila quelli scaduti, quelli rilasciati 50 mila: gli altri con ogni probabilità sono finiti nell’illegalità” (Avvenire 21 novembre).
Secondo il “Dossier statistico immigrazione 2013” realizzato da Idos per Unar, all’origine del calo dei flussi in entrata c’è la crisi economica. Le quote d’ingresso per lavoratori non comunitari nel 2012, al netto degli stagionali, sono state molto ridotte: propriamente dall’estero sono state 2.000 per lavoratori autonomi, 100 per lavoratori di discendenza italiana, mentre 11.750 sono state le autorizzazioni alla conversione di titoli di soggiorno rilasciati per motivi diversi dal lavoro. Di conseguenza, sono diminuiti gli ingressi per lavoro e i visti rilasciati per motivi di lavoro subordinato sono scesi da 90.483 nel 2011 a 52.328 nel 2012 (in entrambi i casi meno che nel periodo precrisi). Tutto ciò non si applica agli altamente qualificati o alle categorie fuori quota, come gli infermieri che hanno ingresso libero. Il dossier ricorda, inoltre che alla fine del 2012, a due anni di distanza dall’ultimo provvedimento del genere, si è svolta una regolarizzazione in favore dei lavoratori non comunitari, in occasione della quale i datori di lavoro hanno presentato 135mila domande, meno della metà rispetto al 2009 (295mila) (Redattore sociale 13 novembre).
Sono le stesse leggi italiane, secondo monsignor Giancarlo Perego, direttore generale della Fondazione Migrantes, a determinare l'illegalità. E' necessario prevedere un “«permesso di soggiorno per la ricerca di lavoro, che permetta a chi sbarca sulle nostre coste di non diventare automaticamente clandestino. Tanto più che ogni anno continueranno ad arrivare in Italia oltre centomila profughi». Perego ha analizzato la schizofrenia dei dati che vedono salire la disoccupazione degli immigrati e, al tempo stesso, aumentarne l’occupazione (nell’ultimo quinquennio sono passati da 1 milione 700 mila a 2 milioni 300 mila): «La domanda di lavoro immigrato sale, ma è difficile la riconversione per chi, come nell’edilizia, perde l’occupazione»” (Avvenire 21 novembre).
A questo aspetto va legato il problema del monitoraggio: «Com’è possibile – afferma Perego - che nel 2012 siano stati rilasciati solo ottanta permessi di soggiorno per protezione sociale in seguito a sfruttamento lavorativo, che è stato individuato solo in tre regioni? Numeri ridicoli: è stata abbassata la guardia e gli strumenti sono inadeguati». Indice puntato anche nei confronti dei sindacati ai quali per la prima volta quest’anno sono diminuite le iscrizioni degli immigrati, e le agenzie di collocamento, che fanno incontrare domanda e offerta solo nel 3 per cento dei casi (Avvenire 21 novembre).
Nonostante gli sforzi per introdurre il reato di caporalato anche attraverso la sensibilizzazione massiccia dell'opinione pubblica, pure questo strumento rischia di non poter venire applicato. Lo ha spiegato Lorenzo Trucco, presidente dell’Associazione per gli studi giuridici sull’immigrazione: «È una legge che colpisce il caporale, ovvero l’intermediatore, ma non il datore di lavoro, e questo è un grosso limite». Inoltre, spingere gli sfruttati a denunciare i loro aguzzini è molto difficile. «Ci vorrebbe come incentivo un fondo statale, sul modello di quello per le vittime della strada, che preveda risarcimenti agli sfruttati» (Avvenire 21 novembre).
Aleteia - “Il fenomeno esiste, ma non si vede quando stappiamo una bottiglia di buon vino o di spumante italiano”. Cominciava così un reportage del Fatto Quotidiano del 5 settembre scorso sul caporalato che governa la raccolta dell'uva alla Franciacorta (in provincia di Brescia), alle colline dell’Oltrepo pavese passando per i vigneti del Trentino o del Piemonte. Il caporalato, questa forma di intermediazione del lavoro che si traduce in un vero e proprio sfruttamento del lavoratore, normalmente un immigrato, è una realtà ed è in aumento così come il lavoro nero. E' anche chiaro come sia un fenomeno che alligna indifferentemente al nord e al sud. Ma dove si trovano le sue radici? Se ne è parlato in un convegno a Torino organizzato dal Gruppo Abele dopo un percorso di due anni assieme a forze dell’ordine, Camera di commercio, sindacati e associazioni con l'obiettivo di unificare pratiche e condividere banche dati.
Il caporalato e il lavoro nero, oltre a negare i diritti basilari dei lavoratori, in certi casi fino alla riduzione in schiavitù, sottraggono alle casse dell’Inps tredici miliardi di euro l’anno. “Non sempre c’è dietro la criminalità organizzata: a volte lo sfruttamento diventa prassi. Un indizio arriva dai permessi di soggiorno. Se in passato i permessi nuovi superavano sempre quelli scaduti, da due anni c’è stata un’inversione: nel 2012 sono stati 180 mila quelli scaduti, quelli rilasciati 50 mila: gli altri con ogni probabilità sono finiti nell’illegalità” (Avvenire 21 novembre).
Secondo il “Dossier statistico immigrazione 2013” realizzato da Idos per Unar, all’origine del calo dei flussi in entrata c’è la crisi economica. Le quote d’ingresso per lavoratori non comunitari nel 2012, al netto degli stagionali, sono state molto ridotte: propriamente dall’estero sono state 2.000 per lavoratori autonomi, 100 per lavoratori di discendenza italiana, mentre 11.750 sono state le autorizzazioni alla conversione di titoli di soggiorno rilasciati per motivi diversi dal lavoro. Di conseguenza, sono diminuiti gli ingressi per lavoro e i visti rilasciati per motivi di lavoro subordinato sono scesi da 90.483 nel 2011 a 52.328 nel 2012 (in entrambi i casi meno che nel periodo precrisi). Tutto ciò non si applica agli altamente qualificati o alle categorie fuori quota, come gli infermieri che hanno ingresso libero. Il dossier ricorda, inoltre che alla fine del 2012, a due anni di distanza dall’ultimo provvedimento del genere, si è svolta una regolarizzazione in favore dei lavoratori non comunitari, in occasione della quale i datori di lavoro hanno presentato 135mila domande, meno della metà rispetto al 2009 (295mila) (Redattore sociale 13 novembre).
Sono le stesse leggi italiane, secondo monsignor Giancarlo Perego, direttore generale della Fondazione Migrantes, a determinare l'illegalità. E' necessario prevedere un “«permesso di soggiorno per la ricerca di lavoro, che permetta a chi sbarca sulle nostre coste di non diventare automaticamente clandestino. Tanto più che ogni anno continueranno ad arrivare in Italia oltre centomila profughi». Perego ha analizzato la schizofrenia dei dati che vedono salire la disoccupazione degli immigrati e, al tempo stesso, aumentarne l’occupazione (nell’ultimo quinquennio sono passati da 1 milione 700 mila a 2 milioni 300 mila): «La domanda di lavoro immigrato sale, ma è difficile la riconversione per chi, come nell’edilizia, perde l’occupazione»” (Avvenire 21 novembre).
A questo aspetto va legato il problema del monitoraggio: «Com’è possibile – afferma Perego - che nel 2012 siano stati rilasciati solo ottanta permessi di soggiorno per protezione sociale in seguito a sfruttamento lavorativo, che è stato individuato solo in tre regioni? Numeri ridicoli: è stata abbassata la guardia e gli strumenti sono inadeguati». Indice puntato anche nei confronti dei sindacati ai quali per la prima volta quest’anno sono diminuite le iscrizioni degli immigrati, e le agenzie di collocamento, che fanno incontrare domanda e offerta solo nel 3 per cento dei casi (Avvenire 21 novembre).
Nonostante gli sforzi per introdurre il reato di caporalato anche attraverso la sensibilizzazione massiccia dell'opinione pubblica, pure questo strumento rischia di non poter venire applicato. Lo ha spiegato Lorenzo Trucco, presidente dell’Associazione per gli studi giuridici sull’immigrazione: «È una legge che colpisce il caporale, ovvero l’intermediatore, ma non il datore di lavoro, e questo è un grosso limite». Inoltre, spingere gli sfruttati a denunciare i loro aguzzini è molto difficile. «Ci vorrebbe come incentivo un fondo statale, sul modello di quello per le vittime della strada, che preveda risarcimenti agli sfruttati» (Avvenire 21 novembre).
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