L’ex capo del KGB Andropov, che secondo l’ex agente segreto Ion Mihai Pacepa fu uno dei responsabili della campagna di diffamazione orchestrata dall’Unione Sovietica contro Pio XII, pare aver detto che una simile operazione avrebbe avuto successo perché la gente ama di più credere nel sudiciume che nella santità.
Uccr - Lo si è visto recentemente nel caso di Giovanni Palatucci che da “Giusto delle Nazioni” è stato recentemente dipinto come un criminale nazista: secondo un’inchiesta del Centro Primo Levi il questore, lungi dall’aver salvato gli ebrei, fu difatti un “volonteroso esecutore delle leggi razziali”. A seguito di queste “rivelazioni” è prontamente scattata la campagna di fango: il museo dell’Olocausto di Washington ha prontamente rimosso il suo nome da una mostra, mentre l’AntiDefamation League ha annunciato che non onorerà più il suo nome e si è persino proposto di rimuovere la sua targa dove morì a Dachau. Sia chiaro che non c’è nulla di male nella continua ricerca storica volta ad appurare la realtà, ma non si può però tollerare la calunnia. Non esiste alcuna prova, per esempio, che Palatucci avrebbe “aiutato i tedeschi a identificare gli ebrei da rastrellare” come ha spiegato lo storico Michele Sarfatti (che pur ritiene che il numero degli ebrei salvati da questi vada ridimensionato). Né pare congruo affermare che il poliziotto non abbia mai prestato soccorso agli ebrei. In realtà, simili interpretazioni si basano praticamente, come ha illustrato la storica Anna Foa, tramite la “rinuncia delle testimonianze orali e il loro sistematico smontaggio in favore di una documentazione scritta che, trattandosi di un’azione clandestina, non può non essere difficile reperire nero su bianco su documenti d’archivio”.
Si noti che simile metodo è stato utilizzato anche dai detrattori di Pacelli per affermare che il papa non aiutò gli ebrei in pericolo e, in maniera più estrema, anche dai negazionisti dell’Olocausto (non è mai stato trovato l’ordine scritto di Hitler che autorizzava il genocidio degli ebrei). La tesi che Giovanni Palatucci fosse un fascista fanatico stride con il fatto che secondo una relazione di un membro di Giustizia e Libertà, Antonio Luksic Jamini, il questore nel settembre del ’43 entrò nel Comitato di Liberazione Nazionale con il nome di dottor. Danieli e non va dimenticato che lo stesso fu deportato nel campo di concentramento di Dachau per aver passato informazioni al nemico.
Si ammette in realtà che Giovanni Palatucci abbia aiutato una sola donna: Elena Ashkenasy. Anche Mordechai Paldiel, ossia l’uomo che aveva istituito il processo a favore di Palatucci allo Yad Vashem, ha affermato che non vi sarebbero prove che avesse aiutato altri ebrei a parte la donna, ma nella documentazione presente allo Yad Vashem la stessa Ashkenasy afferma che Palatucci s’interessò oltre che di lei, anche di suo marito, della sua neonata e della sua famiglia. Lo stesso Paldiel, si contraddice dato che lui stesso aveva inviato nel 1995 una lettera ad un congiunto del questore, Thomas Palatucci nella quale motivava la sua onorificenza con il fatto che “avvertì gli ebrei del fatto di essere ricercati, li nascose con l’aiuto di suo zio, il vescovo locale o li aiutò a salpare da Bari, dietro le linee alleate. Molti ebrei furono salvati grazie ai suoi sforzi” (Matteo Luigi Napolitano, “Giovanni Palatucci, ovvero il revisionismo dei Giusti Cattolici”).
Si è sostenuto anche che il questore di Fiume non avrebbe potuto salvare 5000 ebrei anche perché nel 1943 la città contava solo 500 israeliti. È possibile che il numero degli ebrei salvati dal questore di Fiume sia effettivamente minore di quanto gli sia stato attribuito, ma si dimentica però, come ha fatto notare lo storico Francesco Barra, che attraverso Fiume “a migliaia, forse decine di migliaia, fuggivano gli ebrei balcanici, serbi, croati, slovacchi ungheresi, in diverse ondate dall’autunno del 1941, per sfuggire all’avanzata tedesca e alle persecuzioni operate dal regime ustascia”. Vi sono molti elementi che fanno dubitare delle recenti “scoperte” su Palatucci: ad esempio, lo storico Giovanni Preziosi ha rinvenuto una lettera dell’allora funzionario della questura di Milano, Carmelo Scarpa, che descrive il ruolo di due ebrei condotti alla frontiera da un sacerdote, padre Enrico Zucca, e “raccomandati” proprio da Palatucci.
In realtà non c’è eroe della Resistenza, forse, che possa contare su così tanti testimoni come il questore: si possono citare i genitori di Renata Conforty, Rozyi Neumann, la famiglia Berger, le sorelle Ferber o Mika Eisler che attestano la sua attività di salvataggio. L’ultima testimonianza che apporta un ulteriore prova verso gli ebrei è quella dell’ex agente di polizia, Guelfo Piccozzi, coinvolto nel salvataggio degli ebrei, che ha testimoniato: “Si imbarcavano 50 per volta su un peschereccio, alle 3 di notte in piccoli porti. Lui non si esponeva, ma sapevamo che era il terminale di tutto”. Secondo lo scrittore Roberto Malini “è invece abbastanza netta la sensazione che i ricercatori del Centro Primo Levi di New York nutrano una particolare forma di sfiducia verso i “Giusti delle Nazioni”, forse perché considerano che essi non fecero quasi mai abbastanza per salvare gli ebrei (..) Non accettano il lavoro di chi, all’interno delle istituzioni, operò con prudenza, sempre per evitare il numero maggiore possibile di deportazioni, ma non agendo quando un’azione avrebbe messo in pericolo il progetto a lungo termine”.
Si noti che in questa storia vi è chi ha accusato la Chiesa Cattolica colpevole, a loro dire, d’aver voluto creare un martire. In realtà è ovvio che, seppur Giovanni Paolo II lo aveva nominato “Servo di Dio” e che è in corso il processo di beatificazione, il questore non è però stato rappresentato come un “agente della Chiesa” e il Vaticano non aveva certo bisogno d’inventarsi un eroe dato che già molti sacerdoti avevano già ricevuto il titolo di “Giusto tra le Nazioni” attribuendo il merito delle loro azioni a Pio XII e, del resto, non c’è neppure bisogno d’inventare qualcosa su Palatucci.
Uccr - Lo si è visto recentemente nel caso di Giovanni Palatucci che da “Giusto delle Nazioni” è stato recentemente dipinto come un criminale nazista: secondo un’inchiesta del Centro Primo Levi il questore, lungi dall’aver salvato gli ebrei, fu difatti un “volonteroso esecutore delle leggi razziali”. A seguito di queste “rivelazioni” è prontamente scattata la campagna di fango: il museo dell’Olocausto di Washington ha prontamente rimosso il suo nome da una mostra, mentre l’AntiDefamation League ha annunciato che non onorerà più il suo nome e si è persino proposto di rimuovere la sua targa dove morì a Dachau. Sia chiaro che non c’è nulla di male nella continua ricerca storica volta ad appurare la realtà, ma non si può però tollerare la calunnia. Non esiste alcuna prova, per esempio, che Palatucci avrebbe “aiutato i tedeschi a identificare gli ebrei da rastrellare” come ha spiegato lo storico Michele Sarfatti (che pur ritiene che il numero degli ebrei salvati da questi vada ridimensionato). Né pare congruo affermare che il poliziotto non abbia mai prestato soccorso agli ebrei. In realtà, simili interpretazioni si basano praticamente, come ha illustrato la storica Anna Foa, tramite la “rinuncia delle testimonianze orali e il loro sistematico smontaggio in favore di una documentazione scritta che, trattandosi di un’azione clandestina, non può non essere difficile reperire nero su bianco su documenti d’archivio”.
Si noti che simile metodo è stato utilizzato anche dai detrattori di Pacelli per affermare che il papa non aiutò gli ebrei in pericolo e, in maniera più estrema, anche dai negazionisti dell’Olocausto (non è mai stato trovato l’ordine scritto di Hitler che autorizzava il genocidio degli ebrei). La tesi che Giovanni Palatucci fosse un fascista fanatico stride con il fatto che secondo una relazione di un membro di Giustizia e Libertà, Antonio Luksic Jamini, il questore nel settembre del ’43 entrò nel Comitato di Liberazione Nazionale con il nome di dottor. Danieli e non va dimenticato che lo stesso fu deportato nel campo di concentramento di Dachau per aver passato informazioni al nemico.
Si ammette in realtà che Giovanni Palatucci abbia aiutato una sola donna: Elena Ashkenasy. Anche Mordechai Paldiel, ossia l’uomo che aveva istituito il processo a favore di Palatucci allo Yad Vashem, ha affermato che non vi sarebbero prove che avesse aiutato altri ebrei a parte la donna, ma nella documentazione presente allo Yad Vashem la stessa Ashkenasy afferma che Palatucci s’interessò oltre che di lei, anche di suo marito, della sua neonata e della sua famiglia. Lo stesso Paldiel, si contraddice dato che lui stesso aveva inviato nel 1995 una lettera ad un congiunto del questore, Thomas Palatucci nella quale motivava la sua onorificenza con il fatto che “avvertì gli ebrei del fatto di essere ricercati, li nascose con l’aiuto di suo zio, il vescovo locale o li aiutò a salpare da Bari, dietro le linee alleate. Molti ebrei furono salvati grazie ai suoi sforzi” (Matteo Luigi Napolitano, “Giovanni Palatucci, ovvero il revisionismo dei Giusti Cattolici”).
Si è sostenuto anche che il questore di Fiume non avrebbe potuto salvare 5000 ebrei anche perché nel 1943 la città contava solo 500 israeliti. È possibile che il numero degli ebrei salvati dal questore di Fiume sia effettivamente minore di quanto gli sia stato attribuito, ma si dimentica però, come ha fatto notare lo storico Francesco Barra, che attraverso Fiume “a migliaia, forse decine di migliaia, fuggivano gli ebrei balcanici, serbi, croati, slovacchi ungheresi, in diverse ondate dall’autunno del 1941, per sfuggire all’avanzata tedesca e alle persecuzioni operate dal regime ustascia”. Vi sono molti elementi che fanno dubitare delle recenti “scoperte” su Palatucci: ad esempio, lo storico Giovanni Preziosi ha rinvenuto una lettera dell’allora funzionario della questura di Milano, Carmelo Scarpa, che descrive il ruolo di due ebrei condotti alla frontiera da un sacerdote, padre Enrico Zucca, e “raccomandati” proprio da Palatucci.
In realtà non c’è eroe della Resistenza, forse, che possa contare su così tanti testimoni come il questore: si possono citare i genitori di Renata Conforty, Rozyi Neumann, la famiglia Berger, le sorelle Ferber o Mika Eisler che attestano la sua attività di salvataggio. L’ultima testimonianza che apporta un ulteriore prova verso gli ebrei è quella dell’ex agente di polizia, Guelfo Piccozzi, coinvolto nel salvataggio degli ebrei, che ha testimoniato: “Si imbarcavano 50 per volta su un peschereccio, alle 3 di notte in piccoli porti. Lui non si esponeva, ma sapevamo che era il terminale di tutto”. Secondo lo scrittore Roberto Malini “è invece abbastanza netta la sensazione che i ricercatori del Centro Primo Levi di New York nutrano una particolare forma di sfiducia verso i “Giusti delle Nazioni”, forse perché considerano che essi non fecero quasi mai abbastanza per salvare gli ebrei (..) Non accettano il lavoro di chi, all’interno delle istituzioni, operò con prudenza, sempre per evitare il numero maggiore possibile di deportazioni, ma non agendo quando un’azione avrebbe messo in pericolo il progetto a lungo termine”.
Si noti che in questa storia vi è chi ha accusato la Chiesa Cattolica colpevole, a loro dire, d’aver voluto creare un martire. In realtà è ovvio che, seppur Giovanni Paolo II lo aveva nominato “Servo di Dio” e che è in corso il processo di beatificazione, il questore non è però stato rappresentato come un “agente della Chiesa” e il Vaticano non aveva certo bisogno d’inventarsi un eroe dato che già molti sacerdoti avevano già ricevuto il titolo di “Giusto tra le Nazioni” attribuendo il merito delle loro azioni a Pio XII e, del resto, non c’è neppure bisogno d’inventare qualcosa su Palatucci.
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