Ci siamo quasi: il 27 novembre è alle porte. Sulla penisola tira un’aria gelida. Fa freddo anche per il caimano di Arcore: rischia di essere lasciato fuori da Palazzo Madama. Silvio Berlusconi sta vivendo i giorni più lunghi della sua vita. Sta per decadere, forse.
Troppe volte si è preteso di dichiarare la fine di Silvio Berlusconi: il politico, l’affarista, l’imprenditore, l’ammaliatore, il giocatore imprevedibile e il Re Mida del possibile e del mondo incantato. Lo Zelig generato dal nostro genio italico mostra ora un viso contratto di rabbiosa e desolata determinazione, perché il sacro furore è sempre acceso nel caminetto di Arcore, lì dove si sono scaldate le mani amiche e avversariedi questi ultimi vent’anni. Una sorta di parlamento parallelo, un governo ombra personale eretto nella sua abitazione principale.
Silvio Berlusconi è stato l’uomo del milione di posti di lavoro e del contratto televisivo con gli italiani. Berlusconi Silvio è stato quello dei processi infiniti che ringhia furente contro le toghe rosse. Lui è quel leader che “rovesciò” il tavolo da Santoro pulendo la sedia a Travaglio e che sbraitando contro l’Imu e contro Monti (fingendo di essersi “assentato” dal governo precedente a Monti), pur perdendo sei milioni di voti, tornò a cavalcare la tigre con il governo delle larghe intese.
Il Cavaliere è stato l’uomo che il 2 ottobre scorso ha fatto piroette con il botto finale: il discorso più breve e impacciato di sempre ha partorito la fiducia al governo Letta, dopo avergliela tolta in una notte da tregenda.
Il leader della “nuova” Forza Italia, ha appena chiesto a Giorgio Napolitano di concedergli una grazia “senza richiesta”: la vorrebbe d’ufficio, perché la sua decadenza è un colpo di stato. Il Giorgione Presidente ha risposto picche, inorridito. Ma la lampada di Aladino è sempre accesa, e strofinando bene, Berlusconi sfavilla e favella di nuove “carte americane” che, a suo dire, lo scagioneranno. Perché non presentarle prima? Per via della lampada: ha i suoi tempi, così come le magie da usare con parsimonia.
Probabile che anche se al tappeto, perché parliamo di un lottatore indomito, il Silvio Bellico morderà le caviglie degli avversari – nemici fino all’ultimo bunga-bunga ballabile. Non scriverà mai “Le mie prigioni”, come vorrebbero molti italiani: la legge non lo prevede. Inutile telefonare alla Cancellieri.
Ha tanto amato, disprezzato e lusingato il prossimo: Berlusconi è stato tutto e il contrario di tutto; l’evocatore e il disgregatore delle visioni oniriche. Resta il mito dell’uomo solo al comando, che ha fatto tanto per rinnovare se stesso e pochissimo per cambiare l’Italia. Siamo ormai all’ultima “presa”; dopo i tarocchi godiamoci i giochi con le “carte americane”: una nuova briscola per il cavaliere dal realismo magico.
Troppe volte si è preteso di dichiarare la fine di Silvio Berlusconi: il politico, l’affarista, l’imprenditore, l’ammaliatore, il giocatore imprevedibile e il Re Mida del possibile e del mondo incantato. Lo Zelig generato dal nostro genio italico mostra ora un viso contratto di rabbiosa e desolata determinazione, perché il sacro furore è sempre acceso nel caminetto di Arcore, lì dove si sono scaldate le mani amiche e avversariedi questi ultimi vent’anni. Una sorta di parlamento parallelo, un governo ombra personale eretto nella sua abitazione principale.
Silvio Berlusconi è stato l’uomo del milione di posti di lavoro e del contratto televisivo con gli italiani. Berlusconi Silvio è stato quello dei processi infiniti che ringhia furente contro le toghe rosse. Lui è quel leader che “rovesciò” il tavolo da Santoro pulendo la sedia a Travaglio e che sbraitando contro l’Imu e contro Monti (fingendo di essersi “assentato” dal governo precedente a Monti), pur perdendo sei milioni di voti, tornò a cavalcare la tigre con il governo delle larghe intese.
Il Cavaliere è stato l’uomo che il 2 ottobre scorso ha fatto piroette con il botto finale: il discorso più breve e impacciato di sempre ha partorito la fiducia al governo Letta, dopo avergliela tolta in una notte da tregenda.
Il leader della “nuova” Forza Italia, ha appena chiesto a Giorgio Napolitano di concedergli una grazia “senza richiesta”: la vorrebbe d’ufficio, perché la sua decadenza è un colpo di stato. Il Giorgione Presidente ha risposto picche, inorridito. Ma la lampada di Aladino è sempre accesa, e strofinando bene, Berlusconi sfavilla e favella di nuove “carte americane” che, a suo dire, lo scagioneranno. Perché non presentarle prima? Per via della lampada: ha i suoi tempi, così come le magie da usare con parsimonia.
Probabile che anche se al tappeto, perché parliamo di un lottatore indomito, il Silvio Bellico morderà le caviglie degli avversari – nemici fino all’ultimo bunga-bunga ballabile. Non scriverà mai “Le mie prigioni”, come vorrebbero molti italiani: la legge non lo prevede. Inutile telefonare alla Cancellieri.
Ha tanto amato, disprezzato e lusingato il prossimo: Berlusconi è stato tutto e il contrario di tutto; l’evocatore e il disgregatore delle visioni oniriche. Resta il mito dell’uomo solo al comando, che ha fatto tanto per rinnovare se stesso e pochissimo per cambiare l’Italia. Siamo ormai all’ultima “presa”; dopo i tarocchi godiamoci i giochi con le “carte americane”: una nuova briscola per il cavaliere dal realismo magico.
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