sabato, novembre 02, 2013
Il Programma alimentare mondiale (Pam) fa sapere che in ottobre ha potuto distribuire aiuti a 3,3 milioni di persone in Siria, un record dallo scoppio del conflitto ma al di sotto dei bisogni della popolazione

Radio Vaticana - Sul piano diplomatico, intanto, il negoziatore internazionale Brahimi, in partenza da Damasco, avverte: nessuna Conferenza di ‘Ginevra 2’ senza l'opposizione. Sul terreno è stato confermato l'attacco di aerei militari israeliani alla base siriana di Latakia, per evitare – è stato detto - "il trasferimento di missili a Hezbollah". Damasco infine asseconda la comunità internazionale e - per la scadenza odierna - disattiva tutte le istallazioni per la produzione e l’assemblaggio delle armi chimiche. Poste sotto sigilli, impossibili da violare, oltre mille tonnellate di agenti chimici e rese inutilizzabili 290 tonnellate di armi. Lo fa sapere l'Opac, l’Organizzazione che si occupa dello smantellamento degli arsenali nel Paese. Sull’attendibilità e il significato della disattivazione delle armi da parte del regime di Assad, Gabriella Ceraso ha raccolto il commento di Giorgio Alba di "Archivio Disarmo":
R. - Abbiamo una massima credibilità in quanto la dichiarazione è supportata dalla presenza sul terreno di personale altamente specializzato, consapevole anche dell’impatto politico di eventuali dichiarazioni errate. Da un punto di vista prospettico, i tempi sono rapidi ma non dobbiamo farci confondere da questo, l’importante è raggiungere l’obbiettivo: fermata la produzione di ulteriori armi, cosa fare con le armi già esistenti? Queste devono essere smantellate. Attualmente sono in corso dei negoziati soprattutto tra Stati Uniti e Paesi occidentali: la Norvegia e l’Albania potrebbero essere i due Paesi incaricati allo smantellamento.

D. - Quindi rimane tutta la pianificazione successiva, si parlava dalla metà del 2014 per la distruzione definitiva…
R. - Esatto. Non prevedo ritardi. Bisognerà però verificare nel tempo come questo smantellamento avverrà e soprattutto che impatto da un punto di vista ambientale avrà. Le scorie risultanti dallo smantellamento delle armi chimiche infatti hanno dei rischi ambientali molto elevati, per questo attualmente i Paesi che dovrebbero, non stanno accettando di ospitare queste armi.

D. - È possibile che ci siano armi chimiche nelle mani dei ribelli e in tal caso cosa succede a quelle armi?
R. - Attualmente gli esperti nel settore indicano, con tutta probabilità, l’assenza di armi chimiche nelle mani dei ribelli o eventualmente la presenza di armi chimiche o sostanze associabili alle armi chimiche che vengono però fornite dall’esterno.

D. - Quindi lei sta dicendo che, nonostante questa operazione, comunque c’è possibilità che circolino ancora armi chimiche?
R. - Fino a quando tutti i Paesi non ratificano il Trattato per la messa al bando delle armi chimiche non è possibile escludere queste ipotesi.

D. - Comunque armi in Siria continuano ad essere presenti, perché il conflitto sta andando avanti…
R. - Le armi continuano ad essere presenti in quanto esistono canali di trasporto, di commercio di armi convenzionali attraverso la Turchia, la Giordania e il confine con l’Iraq. Esistendo queste rotte, non possiamo escludere che con un buon finanziamento, qualche entità governativa o meno possa utilizzare questi canali di trasporto per trasferire armi chimiche all’interno della Siria o all’esterno, quindi dalla Siria verso Paesi terzi.

D. - Come vede, a livello strategico, questa ipotetica data della “Ginevra 2” dopo che lo stesso Assad ha avvertito che l’esito dipende dal supporto degli stranieri ai terroristi locali?
R. - L’indicazione che ha fatto Assad significa semplicemente un posizionamento tattico nei confronti dei propri referenti politici a livello internazionale. Assad rappresenta il vertice di una struttura di potere religioso e etnico in Siria che vuole essere tutelata. Assad rappresenta questi interessi e sta segnalando che questi interessi devono essere tutelati: “Siamo pronti al negoziato ma dovete prima tutelare i nostri interessi”. Teniamo presente l’esempio dell’Iraq, dove gli interessi delle minoranze sunnite - pensiamo agli ultimi attentati con autobombe e esplosivi - non sono pienamente tutelati dal governo sciita.


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