L’anniversario di nascita di una Congregazione religiosa festeggiato da un popolo di migranti di differente lingua e cultura. A Londra
“È fantastico: mettere insieme capra e cavoli!”. Maria D’Apollo, proveniente dalla terra avellinese, ma a Londra da una vita, la definisce così, da buon spirito popolare. Più elegantemente Angi, filippina, vi dirà: “Ma questo è il Regno di Dio!”, guardandosi attorno tra gente differente e festante con tavole imbandite di ogni bendidio. Un’altra vi commenterà sorridendo: “Nice, three communities, all together!”. Sì, è la nostra festa annuale, l’anniversario di nascita dei missionari scalabriniani, il 28 novembre. Vi partecipano tutte e tre le comunità di emigranti che frequentano la nostra chiesa di Brixton Road: italiani, portoghesi e filippini. “Esta è uma boa ideia!” replica asciutto Josè, portoghese di Madeira.
Così, nel lontano novembre 1887 sono nati dei “missionari per i migranti”. Una vera novità per quei tempi. “Cantateci happy birthday!”incoraggia oggi padre Francesco Buttazzo da buon compositore musicale. E racconta a tutti nell’omelia il punto di partenza della nostra storia: la commozione del vescovo di Piacenza, Giovanni Battista Scalabrini, alla stazione di Milano. Vedere centinaia di uomini, donne e bambini, ammassati alla rinfusa nella stazione come animali – ammassati poi da Genova nei bastimenti per l’America - e sentire una forte stretta al cuore fu tutt’uno per lui. Era un’avventura infinita, impossibile da descrivere dell’Italia della fine ‘800. Dove amore-odio per una patria matrigna, pianto, speranza e fede si mescolavano nel cuore di chi doveva emigrare. Erano milioni. Una processione infinita, disperata e miserabile di italiani. “Che fare?” la domanda che si stampa chiaramente in testa a questo vescovo, travolto da un’immensa compassione. La risposta è la nascita dei missionari scalabriniani. Nati qui. Quasi nella povertà di una stalla di Betlemme: una stazione di treni.
“Perchè voi siete umani e siete differenti da tutti gli altri preti!” mi soffia in un orecchio Salvatore, il nostro fotografo siciliano, alla festa. “Voi state con la gente!” continua per spiegarsi meglio. “Andate in casa loro. Avete messo su un giornale, per informarla e combattere per i loro diritti. Avete fatto una casa per anziani, per accompagnare la loro vecchiaia. Un ostello di giovani, per chi si avventura in questa metropoli. Voi siete impastati di sociale!”. Parla degli scalabriniani di Londra. Ma nel mondo intero i missionari scalabriniani non hanno mai smesso di interrogarsi di fronte ai più differenti migranti: “Che fare?”. Sono sorte, così, parrocchie, missioni, Centri studi, Case del migrante, Centri di acccoglienza, asili e orfanatrofi. Essi si sono aperti al mondo delle migrazioni, a partire da quella italiana. Mai hanno terminato di camminare con tutti gli Abramo di oggi. Instancabili. Appassionati. E sempre di meno... Un giorno li si rimpiangerà come “gli apostoli dei migranti”.
La messa è stata lunga, in varie lingue, colori e ritmi differenti. Anche quando si interviene in tagalog, chi non è filippino sembra comprendere benissimo! La traduzione inglese è sempre sottocchio, just in case... Si può, così, toccare con mano quella sensazione grande di far parte della stessa casa comune. Settimanalmente, infatti, gli stessi locali respirano alternativamente la fede e la cultura di tre comunità differenti. Ed è per loro quasi un ritrovarsi in patria. Oggi, invece, è insieme che si vive tutto questo. Esempio raro di un Centro Scalabrini in Europa, specchio di una metropoli multiculturale, in cui è immersi quotidianamente: Londra.
La festa nel grande salone sotto la chiesa prende subito l’aspetto di un tornado, dopo la compostezza dell’eucarestia. Specialità filippine e portoghesi distese in abbondanza sulle tavole vengono come travolte dalle penne alla carbonara e risotto allo zafferano che entrano precipitosamente in scena dalle cucine. Il Montepulciano servito direttamente dalla damigiana vi farà sembrare una festa da alpini. Poi, un gruppo di giovani filippine in costume hawayano lancia il ritmo con una lane dance. Da restare tutti ad occhi aperti per la magia, a cominciare... dai più anziani! I portoghesi, allora, con un gruppo folkloristico di ballo tradizionale non sono da meno nel loro vorticoso passo di danza. Ai nostri vecchi italiani, ormai consumati - primi tra tutti a entrare nel combattimento dell’emigrazione degli anni ’50 – non resta che cantare... Prendono, allora, ispirazione dalla nostra Resistenza con “Bella ciao”... ed è subito un successo. Al ritornello, tutto un popolo di emigranti si associa entusiasta. “Esistere è resistere”, diceva qualcuno. Quanto è vero per qualsiasi emigrante sulla terra!
Ogni comunità guarda l’altra e apprezza il suo modo differente di esprimersi. Si è, in fondo, nella stessa barca: la medesima avventura di partire, morire e ricominciare daccapo il capitolo della propria esistenza. Ci si sorride l’uno all’altro. “Fantastico, si vede che c’è amore tra la gente!” osserva candidamente Giovanna. Mentre Roberta, presidente del Comitato delle Donne italiane, lancia la lotteria, alla quale tutti, anche con una sola sterlina, vogliono partecipare.
A sorpresa, poi, l’orchestrina portoghese, due chitarre, un mandolino e una fisarmonica, si trascina via Amerigo Fagiani, un italiano, per fargli improvvisare “O sole mioooo...” Gesto straordinario. Si sono rotti gli argini ed è il senso, in fondo, di una grande festa come questa. Così, in una vita di passione e di lotta da emigranti non sembra vero di rivivere una lontana emozione. Quella di ritrovare – pur tra mondi differenti – uno spirito di famiglia. Ed è sempre un bel miracolo per il mondo di oggi!
di Renato Zilio
“È fantastico: mettere insieme capra e cavoli!”. Maria D’Apollo, proveniente dalla terra avellinese, ma a Londra da una vita, la definisce così, da buon spirito popolare. Più elegantemente Angi, filippina, vi dirà: “Ma questo è il Regno di Dio!”, guardandosi attorno tra gente differente e festante con tavole imbandite di ogni bendidio. Un’altra vi commenterà sorridendo: “Nice, three communities, all together!”. Sì, è la nostra festa annuale, l’anniversario di nascita dei missionari scalabriniani, il 28 novembre. Vi partecipano tutte e tre le comunità di emigranti che frequentano la nostra chiesa di Brixton Road: italiani, portoghesi e filippini. “Esta è uma boa ideia!” replica asciutto Josè, portoghese di Madeira.
Così, nel lontano novembre 1887 sono nati dei “missionari per i migranti”. Una vera novità per quei tempi. “Cantateci happy birthday!”incoraggia oggi padre Francesco Buttazzo da buon compositore musicale. E racconta a tutti nell’omelia il punto di partenza della nostra storia: la commozione del vescovo di Piacenza, Giovanni Battista Scalabrini, alla stazione di Milano. Vedere centinaia di uomini, donne e bambini, ammassati alla rinfusa nella stazione come animali – ammassati poi da Genova nei bastimenti per l’America - e sentire una forte stretta al cuore fu tutt’uno per lui. Era un’avventura infinita, impossibile da descrivere dell’Italia della fine ‘800. Dove amore-odio per una patria matrigna, pianto, speranza e fede si mescolavano nel cuore di chi doveva emigrare. Erano milioni. Una processione infinita, disperata e miserabile di italiani. “Che fare?” la domanda che si stampa chiaramente in testa a questo vescovo, travolto da un’immensa compassione. La risposta è la nascita dei missionari scalabriniani. Nati qui. Quasi nella povertà di una stalla di Betlemme: una stazione di treni.
“Perchè voi siete umani e siete differenti da tutti gli altri preti!” mi soffia in un orecchio Salvatore, il nostro fotografo siciliano, alla festa. “Voi state con la gente!” continua per spiegarsi meglio. “Andate in casa loro. Avete messo su un giornale, per informarla e combattere per i loro diritti. Avete fatto una casa per anziani, per accompagnare la loro vecchiaia. Un ostello di giovani, per chi si avventura in questa metropoli. Voi siete impastati di sociale!”. Parla degli scalabriniani di Londra. Ma nel mondo intero i missionari scalabriniani non hanno mai smesso di interrogarsi di fronte ai più differenti migranti: “Che fare?”. Sono sorte, così, parrocchie, missioni, Centri studi, Case del migrante, Centri di acccoglienza, asili e orfanatrofi. Essi si sono aperti al mondo delle migrazioni, a partire da quella italiana. Mai hanno terminato di camminare con tutti gli Abramo di oggi. Instancabili. Appassionati. E sempre di meno... Un giorno li si rimpiangerà come “gli apostoli dei migranti”.
La messa è stata lunga, in varie lingue, colori e ritmi differenti. Anche quando si interviene in tagalog, chi non è filippino sembra comprendere benissimo! La traduzione inglese è sempre sottocchio, just in case... Si può, così, toccare con mano quella sensazione grande di far parte della stessa casa comune. Settimanalmente, infatti, gli stessi locali respirano alternativamente la fede e la cultura di tre comunità differenti. Ed è per loro quasi un ritrovarsi in patria. Oggi, invece, è insieme che si vive tutto questo. Esempio raro di un Centro Scalabrini in Europa, specchio di una metropoli multiculturale, in cui è immersi quotidianamente: Londra.
La festa nel grande salone sotto la chiesa prende subito l’aspetto di un tornado, dopo la compostezza dell’eucarestia. Specialità filippine e portoghesi distese in abbondanza sulle tavole vengono come travolte dalle penne alla carbonara e risotto allo zafferano che entrano precipitosamente in scena dalle cucine. Il Montepulciano servito direttamente dalla damigiana vi farà sembrare una festa da alpini. Poi, un gruppo di giovani filippine in costume hawayano lancia il ritmo con una lane dance. Da restare tutti ad occhi aperti per la magia, a cominciare... dai più anziani! I portoghesi, allora, con un gruppo folkloristico di ballo tradizionale non sono da meno nel loro vorticoso passo di danza. Ai nostri vecchi italiani, ormai consumati - primi tra tutti a entrare nel combattimento dell’emigrazione degli anni ’50 – non resta che cantare... Prendono, allora, ispirazione dalla nostra Resistenza con “Bella ciao”... ed è subito un successo. Al ritornello, tutto un popolo di emigranti si associa entusiasta. “Esistere è resistere”, diceva qualcuno. Quanto è vero per qualsiasi emigrante sulla terra!
Ogni comunità guarda l’altra e apprezza il suo modo differente di esprimersi. Si è, in fondo, nella stessa barca: la medesima avventura di partire, morire e ricominciare daccapo il capitolo della propria esistenza. Ci si sorride l’uno all’altro. “Fantastico, si vede che c’è amore tra la gente!” osserva candidamente Giovanna. Mentre Roberta, presidente del Comitato delle Donne italiane, lancia la lotteria, alla quale tutti, anche con una sola sterlina, vogliono partecipare.
A sorpresa, poi, l’orchestrina portoghese, due chitarre, un mandolino e una fisarmonica, si trascina via Amerigo Fagiani, un italiano, per fargli improvvisare “O sole mioooo...” Gesto straordinario. Si sono rotti gli argini ed è il senso, in fondo, di una grande festa come questa. Così, in una vita di passione e di lotta da emigranti non sembra vero di rivivere una lontana emozione. Quella di ritrovare – pur tra mondi differenti – uno spirito di famiglia. Ed è sempre un bel miracolo per il mondo di oggi!
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