martedì, dicembre 10, 2013
Le logiche umane sono quelle che sono, viziate dall'atavica ricerca di un senso altro, tanto da calpestare situazioni ovvie per puntare ai confini della rivoluzione o della fantasia. Non si sottrae a questo destino il dibattito sul futuro ruolo della donna nella Chiesa, meritatamente risollevato e con una giusta prospettiva, da Stefania Falasca in un editoriale pubblicato sabato da Avvenire

di Elisabetta Lo Iacono 

Parlare di ipotesi che vanno a sfiorare lo status quo, tanto gelosamente conservato dalla componente maschile, fa scattare una difesa lastricata di termini quali rivendicazione e rivoluzione, come se fuori dalle porte curiali fossero assiepati eserciti di donne pronte a invadere gli scranni da sempre ricoperti dagli uomini. La questione è ben più articolata e richiede, innanzitutto, proprio un chiarimento sugli obiettivi di questo dibattito. Ferma restando la necessità di distinguo all'interno del genere femminile - dove sono certamente presenti anche slanci autoritari e desideri di potere -, il ragionamento avviato dalla collega Falasca è ben più profondo, mettendo in risalto la maturazione dei tempi per una svolta che potrebbe avvenire proprio sotto il pontificato di papa Francesco. Ma che tipo di svolta?

Il terreno, si sa, è minato da pregiudizi e arroccamenti su posizioni detenute da sempre e alimentate con il combustibile della tradizione e di un maschilismo spesso refrattario a qualsiasi confronto. Non è certamente più il tempo di un automatico incasellamento di ogni richiesta femminile nel grande contenitore del femminismo nel quale convivono spesso rivendicazioni più o meno condivisibili. Ogni epoca storica ha le sue lotte e aspettative e questa volta si marcia sul terreno di una logica schiacciante: la necessaria complementarietà tra uomo e donna. Un terreno difficile da arare ma che darebbe frutti in abbondanza, anche alla stessa Chiesa che ha sempre lasciato la donna fuori dalle stanze dove si prendono le decisioni.

Non si tratta di attuare una rivoluzione contro la tradizione, in altri termini le voci del buon senso non pensano e non vogliono strappare vesti e poltrone agli uomini, attuando un ribaltamento di potere tra i sessi né, tantomeno, indossare qualche berretta color porpora. Proprio per questo, appaiono spesso una forzatura i suggerimenti per aggirare le norme canoniche e il serio rischio è che, spostando il dibattito su un terreno così ostico, si finisca solo per perderci nei meandri di inutili o prematuri labirinti, ma soprattutto per perdere di vista la strada maestra, ovvero quella del riconoscimento della donna, in gonna e non in veste talare, con tutte le sue peculiarità femminili.

L'obiettivo realistico dovrebbe essere quello di fare aprire alle donne le porte della Chiesa per portare il proprio contributo in termini non solo di competenze ma soprattutto di sensibilità, intuito, passione e dedizione, nella piena collaborazione e integrazione con la componente maschile. Niente rivoluzioni, dunque, e niente novità sconvolgenti, solo un passo in avanti verso il riconoscimento di quel "genio femminile" di cui parlava Giovanni Paolo II nella Lettera alle donne del 1995 e alle quali sta rivolgendo il suo sguardo carico di stima e di tenerezza papa Francesco. Leggere o interpretare nelle parole e negli atteggiamenti di Francesco chissà quale progetto, non favorisce il raggiungimento degli obiettivi più realistici né aiuta la stessa Chiesa a compiere un passo rilevante nella sua lunga storia. Non c'è bisogno di richiedere chissà quali riconoscimenti, la donna non necessita di nuove vesti bensì che vengano riconosciute le sue tante potenzialità, il suo spirito di dedizione, quello "sguardo semplice e profondo dell'amore" che potrebbe donare contributi determinanti alla lettura e alla presenza della Chiesa nel mondo.

E proprio a quello sguardo incondizionato di amore ha fatto riferimento papa Francesco nella catechesi della sua seconda udienza generale, il 3 aprile, sottolineando proprio come gli Apostoli e i discepoli faticassero a credere alla resurrezione di Cristo, a differenza delle donne, prime testimoni capaci di leggere questo evento con lo sguardo della passione. Una svolta, dunque, potrebbe essere dietro l'angolo: papa Bergoglio è uomo attento e sensibile, certamente lontano dalle logiche maschiliste, capace di leggere negli occhi delle donne la stessa passione che anima il suo mandato apostolico. E proprio per questo sa bene che l'apporto della sensibilità femminile, in tutte le sue componenti e competenze, può ammantare ulteriormente la Chiesa di un maggiore spirito materno e di amore.


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