domenica, dicembre 08, 2013
Sviluppo, definizione e significato di uno dei dogmi più “tormentati” della storia della Cristianità, ma dai risvolti forse ancora non del tutto compresi. Maria entra nella storia “immacolata” come strumento di comunione e di salvezza, riscattando così la dignità del genere femminile dopo Eva.

di Bartolo Salone

Alcuni credenti ancor oggi fanno fatica a distinguere la Concezione Immacolata di Maria dal concepimento verginale del Cristo. In realtà, la dottrina dell’Immacolata Concezione, elevata a dogma di fede soltanto nel 1854 – quindi in tempi piuttosto recenti rispetto ai dogmi della maternità divina e della verginità perpetua, affermati invece da due importanti Concili ecumenici dei primi secoli dell’era cristiana (Efeso e Costantinopoli II) – si riferisce a Maria e non al sublime (e altrettanto immacolato) frutto del suo grembo. La bolla “Ineffabilis Deus” del beato Pio IX definisce il nuovo dogma con queste parole: “La beatissima Vergine Maria nel primo istante della sua concezione, per una grazia e un privilegio singolare di Dio onnipotente, in previsione dei meriti di Gesù Cristo Salvatore del genere umano, è stata preservata intatta da ogni macchia del peccato originale”. Va da sé che Maria, non raggiunta dal peccato originale, nel corso della sua esistenza terrena non commise nessun peccato personale, né mortale né veniale.

Ma, in fondo, la “purezza” di Maria non è mai stata oggetto di controversia, in Oriente come in Occidente. Gli stessi ortodossi – che non riconoscono il dogma dell’Immacolata, accettando solo i primi due dogmi (Maternità divina e Verginità), definiti quando la Chiesa era indivisa – venerano Maria con il titolo di “Panaghìa”, di “Tutta pura”, spiegando la radicale purezza di Maria non con la mancanza del peccato originale (come facciamo noi cattolici), ma in virtù di un “dono sublime” di non peccare, concesso alla Vergine “dopo” la nascita. Quale però ne sia la “causa”, cattolici e ortodossi, rifacendosi alla medesima antica Tradizione, concordano sostanzialmente sugli “effetti”: Maria, la “Tutta pura”, nella sua vita non commise mai il benché minimo peccato!

La definizione del dogma dell’Immacolata, come dicevamo, è stata dunque alquanto tardiva e, a dire il vero, anche piuttosto tormentata, essendo costellata da vivaci dispute teologiche lungo tutta la storia della cristianità, dalla patristica fino a tempi più recenti, complice la mancanza di riferimenti espliciti nelle Sacre Scritture e di indirizzi univoci all’interno della Tradizione e dello stesso pensiero dei Padri e degli scrittori ecclesiastici. Una cosa appare davvero sorprendente, nell’intera vicenda: il ruolo giocato dalla pietà popolare. E’ il popolo fedele ad aver dato impulso, da tempi immemorabili, al culto mariano e ad aver sospinto la riflessione teologica prima e il magistero poi a riconoscere in maniera autorevole gli speciali “meriti” e “privilegi” di Maria. La storia ci dimostra che teologia e magistero, quando si tratta di Maria, intervengono sempre “dopo”, nello sforzo di “razionalizzare” (e coordinare) quelle verità che il popolo credente intuisce per primo, magari in modo confuso. E’ questo il misterioso “sensus fidei” di cui parlano i teologi (quella capacità di discernimento, nelle cose di fede, che lo Spirito Santo concede a tutto il popolo cristiano) e che nel terreno dei dogmi mariani gioca da sempre un ruolo fondamentale. Non è pertanto privo di valore teologico e dogmatico che Pio IX, prima di pronunciarsi in via definitiva sulla dottrina dell’Immacolata Concezione, abbia voluto interpellare con una lettera enciclica (la “Ubi primum”, pubblicata nel 1849) i vescovi di tutto l’orbe cattolico, chiedendo loro non solo un personale parere sulla opportunità della definizione del dogma, ma anche che gli comunicassero per iscritto “quali fossero la pietà e la devozione dei loro fedeli nei confronti dell’Immacolata Concezione della Madre di Dio”. La risposta, come è noto, fu ampiamente favorevole: 546 dei 603 vescovi interpellati si dichiararono a favore del dogma.

L’Immacolata Concezione, a ben considerare, è una di quelle verità “scomode” (per le delicate questioni dottrinali che pone) con cui i teologi sono stati costretti, loro malgrado, a misurarsi per il consenso che la relativa dottrina venne a riscuotere quasi “istintivamente” dappertutto presso i fedeli. E ciò spiega anche la cautela e la tardività dei pronunciamenti magisteriali. Eppure, a dispetto di tale tardività, la disputa sull’Immacolata Concezione è molto antica. Se ne trova traccia già agli inizi del V sec. nella polemica di Sant’Agostino contro i pelagiani: costoro dalla “purezza” di Maria traevano argomento per negare la realtà del peccato originale, ravvisando nella Santa Vergine un precedente di “auto salvazione”, cioè di salvezza al di fuori della grazia di Cristo; Agostino, invece, pur dovendo concedere che “la pietà impone di riconoscere Maria senza peccato” e che “Maria non entra assolutamente in questione quando si parla di peccati” (così nel “De natura et gratia”), ribatteva che il caso di Maria non è affatto generalizzabile all’intero genere umano (come pretenderebbe Pelagio) e che comunque anche Maria sarebbe stata generata nel peccato, per esserne però poi subito liberata. La prospettiva agostiniana, fortemente viziata dalla polemica antipelagiana, avrebbe finito col segnare il successivo sviluppo della teologia medievale, che si sarebbe attestata prevalentemente su posizioni “macoliste” (contrarie cioè all’innocenza originaria di Maria). Grandi Santi e Dottori della Chiesa del calibro di Bernardo, Alberto Magno, Tommaso d’Aquino e Bonaventura sostennero infatti la teoria della “redenzione anticipata” formulata per primo da Sant’Alselmo di Canterbury (m. 1109): teoria per cui Maria sarebbe stata concepita nel peccato originale, come tutti i figli di Adamo, ma nello stesso tempo – sola tra gli uomini – sarebbe stata redenta da Cristo “anticipatamente”, cioè prima della nascita dello stesso Salvatore. Non mancarono però delle voci contrarie nel panorama teologico medievale, come quella Pascasio Radberto (che nel IX sec. scrive che Maria “è stata esente da ogni peccato originale”) o di Eadmero (discepolo di Anselmo di Canterbury, il quale, osservando l’ampia diffusione della festa dell’Immacolata, pur osteggiata da alcuni ecclesiastici, si pronuncia in favore della concezione di Maria libera da ogni macchia di peccato).

Ad ogni modo, è solo con il francescano Duns Scoto, il “Dottore dell’Immacolata”, che la dottrina dell’Immacolata assume i connotati che ha oggi. Scoto, in alternativa alla teoria scolastica della “redenzione anticipata”, propone la teoria della “redenzione preservativa”, sostenendo che Maria non sarebbe stata concepita nel peccato originale per poi essere “anticipatamente” redenta, ma che – come suggerisce la devozione popolare – fu concepita “sic et simpliciter” senza peccato originale. L’impostazione di Scoto, dopo un lungo periodo di dispute e di contrapposizioni teologiche tra “macolisti” e “immacolisti”, finì col prevalere e col trovare l’avallo del magistero pontificio, culminato nella solenne proclamazione del dogma da parte di Pio IX.

La vicenda fin qui narrata mette allora in evidenza non solo l’importanza che Maria riveste nell’esperienza storica del cristianesimo e nello sviluppo della sua dottrina, ma ancor di più il ruolo prezioso che la Madre di Dio svolge nel tenere unita la Chiesa nel suo complesso, assicurando quel felice “scambio” tra teologia, magistero e “sensus fidei”, tra pastori e fedeli, senza il quale non potrebbe esservi comunione intra-ecclesiale. Non solo: la Vergine Maria assicura anche quella comunicazione tra i due grandi “polmoni” della cristianità, quello orientale e quello occidentale, che, pur con alcune differenze, nella sostanza concordano nel salutare Maria come la “Tutta pura” e nel riconoscerne la sovreminenza rispetto a tutte le creature angeliche e terrestri. Sovreminenza riconosciuta singolarmente anche dalla tradizione islamica: un “adith” (cioè un detto tramandato nella tradizione orale dai primi discepoli di Maometto e considerato fonte di rivelazione al pari del Corano) riporta infatti la parola che il Profeta avrebbe rivolto a Fatima, la figlia prediletta: “Tu sarai la padrona delle donne nel Paradiso dopo Maryam”. Una superiorità dunque nello stesso Cielo islamico di colei a cui i cristiani si rivolgono, fra l’altro, col titolo di Regina Coeli. E ovviamente non dimentichiamoci che Maria, ebrea osservante nonché prima discepola del Cristo, tiene insieme Antico e Nuovo Testamento. Il culto mariano ha dunque un elevatissimo valore ecumenico, è quella valvola di sfogo che consente al cattolicesimo di aprirsi e di dialogare non solo con la tradizione ortodossa, ma con lo stesso ebraismo e finanche con l’Islam.

L’Immacolata, ancora, riscatta la “maledizione” di Eva, riabilitando la reputazione della donna e mostrando il volto “femminile” della Chiesa. Se il peccato e la morte sono entrati nel mondo a causa della debolezza di una donna, a causa di un’altra donna la Salvezza e la vita tornano nuovamente a scorrere tra gli uomini. Da questo momento l’uomo e la donna saranno coinvolti con pari dignità nell’opera sublime della redenzione iniziata da Cristo grazie al “sì” umile e convinto di Maria.


Sono presenti 4 commenti

Anonimo ha detto...

Ci credo poco

cassandra ha detto...

C

Anonimo ha detto...

C

madonnalibera ha detto...

bugie e follie

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