Dopo tre mesi di impegno per bloccare l’apertura di una contrastata diga sulle terre ancestrali, un centinaio di malesi di etnia Penan sono stati costretti ad allontanarsi per l’alzarsi delle acque che minacciano le loro abitazioni.

Quello di Murum fa parte di una serie di sbarramenti pianificati dal governo del Sarawak, motivati con la necessità di fare uscire dal sottosviluppo uno degli stati più poveri della Federazione malese, ma, per gli oppositori, corruzione e mancato rispetto ecologico rendono le iniziative pericoli concreti per ambiente e abitanti.
Nessun indennizzo è arrivato dei circa 100.000 euro richiesti dai tribali per la perdita delle terre (richiesta definita “oltraggiosa” dal premier del Sarawak), delle proprietà e delle fonti di sostentamento. Nessuna ricollocazione finora, dato che le abitazioni promesse non sarebbero ancora pronte.
I Penan hanno annunciato che continueranno comunque la loro azione legale, che ha acquisito un significato anche simbolico di opposizione alla frenesia costruttiva del governo lungo i poderosi corsi d’acqua che attraversano le foreste del Borneo che avrebbe finora costretto alla fuga dalle terre ancestrali decine di migliaia di tribali.
Una contesa più accesa, che ha già visto coinvolta più volta la polizia, oppone centinaia di nativi alle maestranze che stanno costruendo la non distante diga di Baram, che costringerà all’evacuazione 20.000 abitanti originari.
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