lunedì, dicembre 09, 2013
Esistono ancora i mistici? Era la domanda al centro di un convegno dell'Istituto di Teologia Spirituale della Facoltà di Teologia dell'UPS

di Carlo Mafera

Nel convegno del 6 e 7 dicembre presso l’Università Pontificia Salesiana, a differenza di precedenti lavori che si concentravano sulla teologia spirituale "pensata", è prevalsa la teologia "vissuta". Si è delineata infatti un'idea abbastanza chiara e condivisa della "vita mistica", ma soprattutto si è cercato di trovare esempi di esperienza mistica nella vita di ogni giorno. Infatti il convegno si è concluso con una serie di percorsi che indicavano le concrete possibilità di realizzazione del misticismo nell’arte, nella letteratura e nella musica. Nella letteratura padre José Luis Moral ha messo in evidenza come la famosa frase “la bellezza salverà il mondo” di Dostoevskij, ripresa da Benedetto XVI (“l’umanità può vivere senza la scienza, può vivere senza il pane, ma soltanto senza la bellezza non potrebbe più vivere, perché non ci sarebbe più nulla da fare al mondo”) sia l’espressione massima della dimensione spirituale nella letteratura che spesso paradossalmente contiene più misticismo di testi di teologia spirituale.

Nella musica sacra e in particolare nel canto gregoriano Massimo Palombella, direttore del coro della Cappella Sistina, ha affermato che c’è una dimensione mistica profonda e concreta, facendo riferimento al pensiero di Benedetto XVI in Sacramentum caritatis: “La Chiesa, nella sua bimillenaria storia, ha creato, e continua a creare, musica e canti che costituiscono un patrimonio di fede e di amore che non deve andare perduto. Davvero, in liturgia non possiamo dire che un canto vale l’altro. A tale proposito, occorre evitare la generica improvvisazione o l’introduzione di generi musicali non rispettosi del senso della liturgia. In quanto elemento liturgico, il canto deve integrarsi nella forma propria della celebrazione. Di conseguenza tutto – nel testo, nella melodia, nell’esecuzione – deve corrispondere al senso del mistero celebrato, alle parti del rito e ai tempi liturgici. Infine, pur tenendo conto dei diversi orientamenti e delle differenti tradizioni assai lodevoli, desidero, come è stato chiesto dai Padri sinodali, che venga adeguatamente valorizzato il canto gregoriano, in quanto canto proprio della liturgia romana”. Non soltanto è possibile, ma anche desiderabile, che l’assemblea, nella celebrazione della Santa Messa, partecipi cantando in gregoriano le parti che le sono assegnate. Ciò sarebbe un ritorno alla serietà della liturgia, alla santità e alla bontà di forme e all’universalità che devono caratterizzare ogni musica liturgica degna di questo nome, come insegna san Pio X e ribadiscono sia Giovanni Paolo II sia Benedetto XVI.

Anche le nuove composizioni sono tanto più valide quanto più si ispirano al canto gregoriano. Giovanni Paolo II ha fatto suo il noto principio di san Pio X: “Una composizione di chiesa è tanto più sacra e liturgica quanto più nell’andamento, nell’ispirazione e nel sapore si accosta alla melodia gregoriana, e tanto meno è degna del tempio quanto più da quel supremo modello si riconosce difforme”. Per recuperare il grande tesoro che la tradizione della Chiesa ci ha trasmesso, bisogna cominciare con il canto gregoriano, che è in grado di comunicare al popolo di Dio il senso della cattolicità, di guidare verso una retta inculturazione e nello stesso tempo di vivere una reale esperienza mistica.


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