sabato, dicembre 21, 2013
Dalle carceri ai centri di accoglienza, la protezione della dignità delle persone è una questione aperta

di Silvana Arbia

“Nessuno può essere sottoposto alla tortura o a delle pene o a trattamenti inumani o degradanti”: questo è il testo chiaro, inequivocabile ed imperativo dell’articolo 3 della Convenzione Europea dei Diritti dell’Uomo (CEDU), firmata a Roma il 4 novembre 1950, in vigore dal 1953 ed in Italia dal 10 ottobre 1955. E’ il testo sulla base del quale, all’inizio di quest’anno, la Corte europea dei diritti dell’uomo, con sede a Strasburgo e operante nell’ambito del sistema del Consiglio d’Europa, all’inizio di quest’anno ha stabilito che l’Italia deve risarcire i danni subiti da alcuni detenuti in quanto vittime di trattamenti inumani o degradanti e ha prescritto l’adeguamento delle carceri sovraffollate entro un anno.

Tuttavia, proprio in concomitanza del varo del decreto legge che deve rimediare al problema delle carceri e adempiere le prescrizioni della sentenza di gennaio 2013 sui trattamenti inumani o degradanti e a chiusura di un anno critico sotto molti aspetti, emerge, se accertata, una situazione allarmante e devastante riguardante il trattamento di immigrati in centri di accoglienza a Lampedusa.

Intanto, in attesa dell’entrata in vigore delle modifiche al codice penale italiano che sono stabilite nel disegno di legge contro la tortura (DDL nS.849), sul cui testo lo scorso ottobre si è concluso l’esame in Commissione giustizia del Senato e che dovrebbe senza ritardi ulteriori diventare legge, introducendo un nuovo articolo nel codice penale italiano, va segnalata la lacuna contenuta nel testo di detto DDL, che punisce, è vero, non solo la tortura ma anche i trattamenti inumani o degradanti, ma solo se questi trattamenti siano commessi per motivi di discriminazione razziale, politica, religiosa o sessuale, quindi atti di persecuzione, mentre nessuna tutela penale è prevista per altri atti inumani o degradanti.

Stante tale lacuna e in attesa che il ddl diventi legge, chiunque subisce trattamenti inumani o degradanti oggi può invocare l’art.3 della CEDU. La definizione di trattamento inumano o degradante è stata elaborata dalla giurisprudenza della Corte di Strasburgo, secondo la quale un trattamento per essere tale deve raggiungere una sufficiente soglia di gravità che si deve valutare in relazione al contesto, alla natura del trattamento, alla durata, alle conseguenze che ne sono derivate alle vittime. Secondo tale giurisprudenza é degradante il trattamento se ha creato sentimenti di paura, angoscia, senso di inferiorità, di umiliazione tali da diminuire la resistenza fisica o morale, non essendo necessaria l’intenzione di umiliare la persona.

Non possiamo ignorare la gravità della situazione nazionale, in cui la mancanza di adeguata tutela contro i trattamenti inumani o degradanti, in attesa di leggi che dopo decenni ancora non hanno attuato convenzioni ratificate tempo addietro, potrebbe porre l’Italia tra i paesi ai primi posti nella graduatoria delle violazioni dei diritti fondamentali della persona. Lo sapevamo, forse, ma gli stranieri che si riversano a Lampedusa, squarciano con un bisturi morale mali conosciuti, cronicizzati e non curati nel nostro paese.

Personalmente spero e mi auguro che le notizie sui fatti occorsi a Lampedusa in questi giorni non siano vere, e soprattutto mi auguro che il sistema giuridico e giurisdizionale nazionale permetta di intervenire efficacemente per prevenire e punire, se del caso, le violazioni delle lapidarie statuizioni secondo le quali nessuno può essere sottoposto a trattamenti inumani o degradanti, siano essi commessi in carcere o in centri di accoglienza o altrove.


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