Un commento alla morte di Nelson Mandela di Silvana Arbia
Venerdì scorso mi trovavo all’imbarco di un volo per Kigali quando ho appreso che Mandela era morto. Le persone che come me attendevano di imbarcarsi esprimevano cordoglio, comprensibile ed inevitabile trattandosi di Nelson Mandela. Nessun essere umano potrebbe ragionevolmente pensare che un suo simile, anche se speciale e necessario per l’umanità, possa rimanere con noi per sempre, eppure tutti e in tutte le lingue in questi giorni parlano di “perdita”. Una persona molto anziana, 95 anni, e non in ottimo stato di salute, continuava, è vero, a mantenere viva la speranza di cambiamenti positivi nella storia dell’umanità. Persone di ogni età hanno guardato e continueranno a guardare con rispetto la sua forza, il suo coraggio, la sua profonda umanità. Molti giovani e meno giovani si sono ispirati a lui.
Ma se Mandela rimane solo un mito, un grande nel pantheon, non riusciremo mai a beneficiare a pieno della sua eredità morale. Molti tipi di segregazioni esistono anche nella nostra epoca senza che nessuno agisca! Dobbiamo sempre aspettare che qualcuno si immoli per dimostrare che ogni essere umano è nato libero e ha uguali diritti e uguali doveri? Tante pratiche simili all’apartheid rimangono in vigore a causa della nostra indifferenza. Mandela ci ha guidati a fare un importante passo avanti, e dobbiamo evitare di ritornare indietro. Considerare l’apartheid come un problema africano sarebbe un grande passo indietro rispetto al progresso che Mandela ci ha permesso di fare. L“apartheid”, termine del linguaggio africano collegato al termine inglese “apartness”, ha costituito un sistema di segregazione razziale in vigore in Sud Africa dal 1948 per rafforzare il controllo, da parte della minoranza bianca, sulla maggioranza nera. Tale regime suscitò le prime reazioni lo stesso anno, così il 12 luglio 1948 il rappresentante dell’India presso le Nazioni Unite, dr. Padnanabha Pillai, scrisse al Segretario Generale manifestando preoccupazioni sul trattamento del gruppo etnico indiano in Sud Africa. Nulla accadde fino al 1971 quando l’URSS e le Guinee completarono la prima bozza di Convenzione per la soppressione e la punizione del crimine di apartheid, che fu poi adottata nel 1973, introducendo per la prima volta la qualificazione dell’apartheid come crimine contro l’umanità, quindi crimine internazionale. Più di cento stati aderirono, altri (tra cui l’Italia) non firmarono, seguendo la posizione degli Stati Uniti che attraverso l’allora ambasciatore Ferguson Jr. avevano dichiarato inaccettabile definire l’apartheid crimine contro l’umanità, essendo i crimini contro l’umanità particolarmente gravi. Nonostante tali opposizioni qualche anno dopo, nel 1977, l’apartheid viene pure definita come grave violazione del diritto internazionale umanitario, nel Protocollo addizionale 1 alle Convenzioni di Ginevra del 1949. E più tardi il crimine di apartheid fu definito nello Statuto di Roma, istitutivo della Corte penale internazionale e adottato nel 1998, come atto inumano (crimine contro l’umanità), commesso in un contesto di regime istituzionale di oppressione sistematica e dominazione da parte di un gruppo razziale su un altro gruppo razziale con l’intento di mantenere tale regime.
Se ci guardassimo intorno forse potremmo rinvenire altre situazioni in cui tale crimine è stato commesso e sta per essere commesso. Sperare che non sia così non basta a tranquillizzare le coscienze e le menti. Inoltre le segregazioni che devono essere evitate e o rimosse oltrepassano i confini di quelle criminalizzate. Personalmente penso che il miglior omaggio alla memoria di Nelson Mandela sarebbe un’azione diretta ad eliminare segregazioni, muri, leggi, pratiche, costumi e altro che, anche al di là dei limiti della convenzione del 1973, quindi anche al di là della segregazione razziale e anche al di là della definizione di crimine contro l’umanità, costituiscono strumento per mantenere o rafforzare il potere di un gruppo a discapito di altri gruppi.
L’esclusione e l’oppressione stanno comprendendo oggi sempre più ampie parti della popolazione (o delle popolazioni, se consideriamo contesti come l’Unione europea), come conseguenza di strategie politiche intese a conservare posizioni dominanti per una parte, e Mandela ha già percorso l’unica via possibile per l’umanità di fronte a fenomeni del genere: non accettarli e mettersi a capo degli oppressi e degli esclusi, con le mani disarmate ma sempre alzate per intimare l’alt.
Venerdì scorso mi trovavo all’imbarco di un volo per Kigali quando ho appreso che Mandela era morto. Le persone che come me attendevano di imbarcarsi esprimevano cordoglio, comprensibile ed inevitabile trattandosi di Nelson Mandela. Nessun essere umano potrebbe ragionevolmente pensare che un suo simile, anche se speciale e necessario per l’umanità, possa rimanere con noi per sempre, eppure tutti e in tutte le lingue in questi giorni parlano di “perdita”. Una persona molto anziana, 95 anni, e non in ottimo stato di salute, continuava, è vero, a mantenere viva la speranza di cambiamenti positivi nella storia dell’umanità. Persone di ogni età hanno guardato e continueranno a guardare con rispetto la sua forza, il suo coraggio, la sua profonda umanità. Molti giovani e meno giovani si sono ispirati a lui.
Ma se Mandela rimane solo un mito, un grande nel pantheon, non riusciremo mai a beneficiare a pieno della sua eredità morale. Molti tipi di segregazioni esistono anche nella nostra epoca senza che nessuno agisca! Dobbiamo sempre aspettare che qualcuno si immoli per dimostrare che ogni essere umano è nato libero e ha uguali diritti e uguali doveri? Tante pratiche simili all’apartheid rimangono in vigore a causa della nostra indifferenza. Mandela ci ha guidati a fare un importante passo avanti, e dobbiamo evitare di ritornare indietro. Considerare l’apartheid come un problema africano sarebbe un grande passo indietro rispetto al progresso che Mandela ci ha permesso di fare. L“apartheid”, termine del linguaggio africano collegato al termine inglese “apartness”, ha costituito un sistema di segregazione razziale in vigore in Sud Africa dal 1948 per rafforzare il controllo, da parte della minoranza bianca, sulla maggioranza nera. Tale regime suscitò le prime reazioni lo stesso anno, così il 12 luglio 1948 il rappresentante dell’India presso le Nazioni Unite, dr. Padnanabha Pillai, scrisse al Segretario Generale manifestando preoccupazioni sul trattamento del gruppo etnico indiano in Sud Africa. Nulla accadde fino al 1971 quando l’URSS e le Guinee completarono la prima bozza di Convenzione per la soppressione e la punizione del crimine di apartheid, che fu poi adottata nel 1973, introducendo per la prima volta la qualificazione dell’apartheid come crimine contro l’umanità, quindi crimine internazionale. Più di cento stati aderirono, altri (tra cui l’Italia) non firmarono, seguendo la posizione degli Stati Uniti che attraverso l’allora ambasciatore Ferguson Jr. avevano dichiarato inaccettabile definire l’apartheid crimine contro l’umanità, essendo i crimini contro l’umanità particolarmente gravi. Nonostante tali opposizioni qualche anno dopo, nel 1977, l’apartheid viene pure definita come grave violazione del diritto internazionale umanitario, nel Protocollo addizionale 1 alle Convenzioni di Ginevra del 1949. E più tardi il crimine di apartheid fu definito nello Statuto di Roma, istitutivo della Corte penale internazionale e adottato nel 1998, come atto inumano (crimine contro l’umanità), commesso in un contesto di regime istituzionale di oppressione sistematica e dominazione da parte di un gruppo razziale su un altro gruppo razziale con l’intento di mantenere tale regime.
Se ci guardassimo intorno forse potremmo rinvenire altre situazioni in cui tale crimine è stato commesso e sta per essere commesso. Sperare che non sia così non basta a tranquillizzare le coscienze e le menti. Inoltre le segregazioni che devono essere evitate e o rimosse oltrepassano i confini di quelle criminalizzate. Personalmente penso che il miglior omaggio alla memoria di Nelson Mandela sarebbe un’azione diretta ad eliminare segregazioni, muri, leggi, pratiche, costumi e altro che, anche al di là dei limiti della convenzione del 1973, quindi anche al di là della segregazione razziale e anche al di là della definizione di crimine contro l’umanità, costituiscono strumento per mantenere o rafforzare il potere di un gruppo a discapito di altri gruppi.
L’esclusione e l’oppressione stanno comprendendo oggi sempre più ampie parti della popolazione (o delle popolazioni, se consideriamo contesti come l’Unione europea), come conseguenza di strategie politiche intese a conservare posizioni dominanti per una parte, e Mandela ha già percorso l’unica via possibile per l’umanità di fronte a fenomeni del genere: non accettarli e mettersi a capo degli oppressi e degli esclusi, con le mani disarmate ma sempre alzate per intimare l’alt.
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