Un giovane islamista è stato ucciso negli scontri avvenuti questa mattina all’Università del Cairo di al-Azhar tra la polizia e un gruppo di studenti vicini ai Fratelli Musulmani, dopo che quest’ultimi avevano chiuso l’accesso al campus per protesta. La tv di Stato ha inoltre mostrato due edifici dell’ateneo dati alle fiamme. Sale così a 6 morti il bilancio delle violenze scoppiate al termine della preghiera del venerdì, dopo la messa al bando – decisa dal governo mercoledì scorso - del movimento del deposto ex presidente Morsi.
Radio Vaticana - Per un commento sulla situazione, Marco Guerra ha intervistato Francesca Paci, giornalista della Stampa ed esperta d’area:
R. – La situazione non sarà tranquilla sicuramente fino – quantomeno – al referendum, il 14 e il 15 gennaio, quando appunto si voterà la bozza della nuova Costituzione. Io ho l’impressione, da quello che sta accadendo in questi giorni, che - un po’ perché l’esercito non glielo permette, un po’ perché forse è una nuova tattica - scontri come quelli dell’estate scorsa, con tanti, tanti, tanti morti, non si verificheranno nuovamente perché mi pare che in questo momento le proteste siano suddivise in piccoli gruppi. Cioè, non c’è stata l’occupazione di uno spazio come fu a luglio e ad agosto a Nasser City, la piazza Rabaa; ora è come se fosse uno stillicidio quotidiano.
D. – Perché si è arrivati al punto di iscrivere la Fratellanza tra le organizzazioni terroristiche? Non è una decisione che complica il già turbolento scenario egiziano, come sottolineano tutte le diplomazie occidentali che invece chiedono un processo inclusivo?
R. – Certamente non lo facilita. In realtà, quello che poi si dice all’interno del Paese è che siano i Fratelli Musulmani che abbiano deciso essere più conveniente la via dello scontro. Non che ci fosse una grande voglia di includerli, però è anche vero che ai Fratelli Musulmani questo conviene. Cioè: se fossero stati inclusi in un Paese che li aveva voluti messi da parte, che peso avrebbero avuto? Questo per dire che certamente non c’è stata la volontà di includerli, ma anche da parte loro c’è stata più la volontà di approfittare della marginalizzazione che di provare a partecipare, come invece hanno fatto i salafiti, che sono balzati sul processo di transizione.
D. – I sondaggi danno un largo consenso ai militari. Quindi ad animare le proteste degli ultimi giorni, è una piccola minoranza violenta, o c’è dell’altro?
R. – In piazza, chi ci sono? Ci sono chiaramente i sostenitori dei Fratelli Musulmani, una componente islamista che è assolutamente furiosa con questa Costituzione, e poi ci sono forze rivoluzionarie liberal, tipo il Movimento 6 aprile, i cui membri sono stati arrestati, e tipo i socialisti rivoluzionari, più alcuni singoli piccoli gruppetti, che invece sono rivoluzionari della prima ora di Piazza Tahrir, ma che sin da questa estate hanno protestato contro questo modo di mettere fuori gioco la Fratellanza in maniera così violenta e che temono oggi un ritorno ai tempi di Mubarak, cioè una presa di potere da parte dei militari. Però, non stiamo parlando di una protesta di piazza dell’entità di quella che ci fu quando fu cacciato Mubarak...
Radio Vaticana - Per un commento sulla situazione, Marco Guerra ha intervistato Francesca Paci, giornalista della Stampa ed esperta d’area:
R. – La situazione non sarà tranquilla sicuramente fino – quantomeno – al referendum, il 14 e il 15 gennaio, quando appunto si voterà la bozza della nuova Costituzione. Io ho l’impressione, da quello che sta accadendo in questi giorni, che - un po’ perché l’esercito non glielo permette, un po’ perché forse è una nuova tattica - scontri come quelli dell’estate scorsa, con tanti, tanti, tanti morti, non si verificheranno nuovamente perché mi pare che in questo momento le proteste siano suddivise in piccoli gruppi. Cioè, non c’è stata l’occupazione di uno spazio come fu a luglio e ad agosto a Nasser City, la piazza Rabaa; ora è come se fosse uno stillicidio quotidiano.
D. – Perché si è arrivati al punto di iscrivere la Fratellanza tra le organizzazioni terroristiche? Non è una decisione che complica il già turbolento scenario egiziano, come sottolineano tutte le diplomazie occidentali che invece chiedono un processo inclusivo?
R. – Certamente non lo facilita. In realtà, quello che poi si dice all’interno del Paese è che siano i Fratelli Musulmani che abbiano deciso essere più conveniente la via dello scontro. Non che ci fosse una grande voglia di includerli, però è anche vero che ai Fratelli Musulmani questo conviene. Cioè: se fossero stati inclusi in un Paese che li aveva voluti messi da parte, che peso avrebbero avuto? Questo per dire che certamente non c’è stata la volontà di includerli, ma anche da parte loro c’è stata più la volontà di approfittare della marginalizzazione che di provare a partecipare, come invece hanno fatto i salafiti, che sono balzati sul processo di transizione.
D. – I sondaggi danno un largo consenso ai militari. Quindi ad animare le proteste degli ultimi giorni, è una piccola minoranza violenta, o c’è dell’altro?
R. – In piazza, chi ci sono? Ci sono chiaramente i sostenitori dei Fratelli Musulmani, una componente islamista che è assolutamente furiosa con questa Costituzione, e poi ci sono forze rivoluzionarie liberal, tipo il Movimento 6 aprile, i cui membri sono stati arrestati, e tipo i socialisti rivoluzionari, più alcuni singoli piccoli gruppetti, che invece sono rivoluzionari della prima ora di Piazza Tahrir, ma che sin da questa estate hanno protestato contro questo modo di mettere fuori gioco la Fratellanza in maniera così violenta e che temono oggi un ritorno ai tempi di Mubarak, cioè una presa di potere da parte dei militari. Però, non stiamo parlando di una protesta di piazza dell’entità di quella che ci fu quando fu cacciato Mubarak...
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