lunedì, gennaio 13, 2014
Sabato l’assemblea regionale siciliana ha approvato, dopo un lungo e serrato dibattito, l’art. 26 della nuova finanziaria sui mutui agevolati alle giovani coppie per la prima casa. La norma si applica indistintamente alle coppie coniugate e a quelle di fatto, anche omosessuali. Un passo in avanti nel riconoscimento dei cosiddetti “diritti civili” o un arretramento della cultura costituzionale della famiglia? 

di Bartolo Salone 

La norma, passata col sostegno del Pd e del M5S, riguarda non solo le coppie coniugate, ma anche le coppie di fatto (senza distinzione tra coppie eterosessuali e omosessuali) che siano iscritte da almeno un anno nel registro delle unioni civili dei comuni. I finanziamenti per le coppie di fatto saranno attinti grazie all’integrazione di fondi preposti dall’Irfis, l’istituto di mediocredito regionale, attraverso una convenzione stipulata tra l’Abi e la Cassa depositi e prestiti. La somma stanziata è di 3 milioni di euro. L’esiguità della somma lascia pensare ad una manovra puramente politica, ad una norma-manifesto, che ha il solo scopo di suscitare nella Regione il dibattito sulle coppie di fatto, a livello nazionale sostenuto soprattutto dal Pd di Renzi. Da qui la denuncia del capo dell’opposizione Nello Musumeci (Ld), secondo cui i benefici per l’accesso alla prima casa dovrebbero essere dati prima alle coppie con figli invece che alle coppie gay. “Crocetta – sostiene Musumeci – non può discriminare le coppie eterosessuali, anche quelle non sposate, a favore delle coppie gay. Avevamo proposto di dare priorità alle famiglie numerose e a quelle coppie conviventi con prole, spesso costrette ad abitare in tuguri e in una promiscuità che non fa onore a una terra civile come la nostra. La norma, assurda e subdola, conferma che l’obiettivo vero del governatore non era quello ipocrita di facilitare l’accesso alla casa dei nuclei bisognosi, ma quello di inventarsi una ‘conquista civile’ sulla strada di una rivoluzione che sta condannando la Sicilia alla paralisi”. D’altronde, lo stesso governatore Crocetta spiega che “lo scopo della norma è esattamente di favorire la regolamentazione di questa materia. L’Italia si divide sulle coppie di fatto anche in Parlamento, ma si tratta di materia che ormai è stata normata anche nei Paesi più arretrati. La nostra Sicilia è una regione moderna”. E aggiunge: “Adesso siamo maturi per far arrivare in aula una norma sui registri delle unioni civili. Sarà il prossimo passo, li renderemo obbligatori”.

Il percorso seguito dal governo siciliano si caratterizza per un fatto di estrema singolarità: non si parte, secondo l’ordine “naturale” delle cose, da una legge sul riconoscimento delle coppie di fatto per poi avviare una politica di incentivi economici in loro favore; al contrario si cominciano a riconoscere benefici (peraltro poco più che simbolici) per preparare il terreno ad una normativa generale che renda obbligatori nei comuni i registri delle unioni civili. Al di là di questo, occorre però essere consapevoli – e l’esperienza siciliana lo dimostra chiaramente – che dietro la campagna sui cosiddetti “diritti civili” (in realtà, sul riconoscimento giuridico delle coppie di fatto) si nascondano anche ragioni di carattere economico. Il riconoscimento dei “diritti civili” alle coppie di fatto, anche omosessuali, costituisce infatti la premessa ideologica nonché la giustificazione normativa di politiche sociali che “spostano” capitali dalla famiglia propriamente detta a realtà sociali che, stando alla nostra Costituzione, famiglia non sono. Eppure, nell’intero dibattito sulle coppie di fatto, a livello politico, a far difetto è proprio il riferimento alla concezione della famiglia quale risulta dalla Costituzione italiana, che per un politico dovrebbe costituire invero il fondamentale motivo di ispirazione. Non di rado, infatti, capita di dover sentire da politici dichiarazioni come quella resa dall’esponente del Pd Titti De Simone a commento della legge finanziaria siciliana: “L’approvazione dell’art. 26 è un segnale positivo verso il riconoscimento di uguali diritti per tutte le famiglie, anche quelle composte da persone dello stesso sesso”. In tal modo, però, ci si dimentica che la Costituzione italiana non consente di avallare affatto una concezione “relativistica” della famiglia (per cui non c’è una “sola” famiglia, ma tanti tipi di famiglia, a ciascuna delle quali deve essere riconosciuta stessa dignità e medesimi diritti), posto che la Carta fondamentale definisce la famiglia stessa, all’art. 29, come una “società naturale fondata sul matrimonio” e il matrimonio, come non troppo tempo fa ha avuto modo di precisare la Corte costituzionale (sentenza n. 138/2010), è una unione solo tra persone di sesso diverso.

Da questa premessa deriva anche che, quando la Costituzione, nell’art. 31, afferma che “la Repubblica agevola con misure economiche e altre provvidenze la formazione della famiglia e l’adempimento dei compiti relativi, con particolare riguardo alle famiglie numerose” è ancora alla famiglia fondata sul matrimonio – e non alle unioni di fatto – che fa riferimento. Concedere mutui agevolati o altri benefici economici alle coppie di fatto significa pertanto muoversi lungo la direzione esattamente opposta a quella segnata dalla nostra Costituzione, perché significa promuovere le convivenze more uxorio in luogo del matrimonio, e quindi in definitiva la creazione di famiglie di fatto invece che di famiglie legittime, come ha invece inteso il Costituente nell’interesse primario della prole. Quanto detto non significa però che la Costituzione italiana si disinteressi completamente delle situazioni familiari originate da rapporti di fatto: situazioni costituzionalmente rilevanti possono derivare invero anche da legami affettivi non suggellati dal vincolo coniugale, ma solo in riferimento ai figli. La legge, infatti, proclama l’art. 30 della nostra Carta fondamentale, “assicura ai figli nati fuori del matrimonio ogni tutela giuridica e sociale, compatibile con i diritti dei membri della famiglia legittima”. La tutela sociale dei figli nati fuori del matrimonio può ben sì richiedere sussidi economici in favore di coppie non coniugate con figli, ma non potrà giammai giustificare agevolazioni e benefici in favore della coppia in sé e per sé considerata (se questa beninteso non abbia ancora prole) in vista della costituzione di una famiglia di fatto. Si tratta di distinzioni che, per quanto possano apparire sottili, in realtà risultano decisive ai fini della corretta impostazione di politiche familiari ispirate ai principi costituzionali. Ma bisogna amaramente costatare che è proprio la cultura costituzionale della famiglia a far difetto a molti politici e a venir meno in settori sempre più ampi dell’opinione pubblica. E’ allora dalla Costituzione che bisogna ancora una volta ripartire in questi tempi di così grave crisi economica, politica, sociale e familiare.


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