Ancora violenze nella Repubblica Centrafricana, teatro da quasi un anno di sanguinosi scontri commesse dai ribelli Seleka e dalle milizie anti-Balaka. Sono almeno 10 i combattenti uccisi oggi dai soldati francesi nel corso di uno scontro vicino ad un campo di detenzione per ex ribelli a Bangui. Il presidente del Paese, Catherine Samba-Panza, ha chiesto all’Onu l’invio di caschi blu. Il servizio di Amedeo Lomonaco: ascolta
Radio Vaticana - La Repubblica Centrafricana è dilaniata da un sanguinoso conflitto, rimasto come altri nella "periferia mediatica". È dal 24 marzo del 2013, da quando il governo del presidente François Bozizé è stato rovesciato dalle milizie del gruppo islamista Seleka, guidato da Michel Djotodia, che il Paese è scosso da violenze. Per ristabilire la pace, l’Onu ha dato il via libera a una missione europea di peacekeeping a sostegno dei militari della missione Misca, guidata dall’Unione Africana, e ai 1.600 soldati francesi già dispiegati sul territorio. Si stima che dall’inizio del conflitto siano state uccise più di duemila persone. Molte delle vittime sono bambini. Gli sfollati sono oltre un milione. Il Paese, con quattro milioni e mezzo di abitanti, è precipitato in una crisi umanitaria senza precedenti. Intanto, si è da poco formato un nuovo governo. Lo scorso 20 gennaio, dopo le dimissioni di Djotidia, il parlamento ha eletto come capo di Stato Catherine Samba-Panza, prima donna presidente nella storia della Repubblica Centrafricana. Ha l’arduo compito di guidare l’esecutivo di transizione per riportare l’ordine nel Paese, devastato dagli scontri tra i miliziani di Seleka e i combattenti di anti-Balaka (cioè "anti-machete"). Queste ultime sono formazioni nate nel nord del Paese su impulso dell’ex presidente Bozizé per proteggere le popolazioni dai banditi che imperversano nella regione. Si tratta di combattimenti definiti, spesso, come interreligiosi. La realtà, invece, è più complessa: non tutti i membri di Seleka sono musulmani e non sono in gran parte cristiani i miliziani anti-Balaka. Recentemente molti ribelli di Seleka, disarmati dalle truppe francesi, sono tornati in Ciad. Continuano invece a essere armati i combattenti anti-Balaka. La situazione resta estremamente grave e le vittime sono soprattutto civili. In varie zone del Paese, le missioni cattoliche che accolgono rifugiati e malati sono le uniche ancora in grado di assistere e proteggere la popolazione civile.
Nella Repubblica Centrafricana, è dunque sempre più grave il dramma umanitario. Amedeo Lomonaco ha raggiunto telefonicamente la dottoressa Patrizia Emiliani, medico volontario presso l’ospedale delle missioni cattoliche a Bimbo, città non lontana dalla capitale Bangui: ascolta
R. – Viviamo prigioniere, perché siamo accerchiate dai Balaka che controllano tutto il territorio intorno a noi. E’ chiaro che la situazione è tesa, perché questi sono armati e i francesi non li hanno mai disarmati. E quindi compiono azioni di saccheggio, durante la notte sparano… C’è tensione.
D. – C’è dunque tensione, ma nella vostra zona continuano ad arrivare persone in fuga da varie zone del Paese…
R. – La gran parte della popolazione di Bangui si è rifugiata a Bimbo. Si calcola che qui ci siano rifugiati prevalentemente presso le missioni cattoliche. Ci saranno circa 90 mila persone. Altrettante sono ospitate presso case private. La situazione è veramente precaria. Il problema umanitario a Bimbo è grande. La fame, soprattutto… Noi, personalmente, diamo assistenza gratuita a tutti quelli che si presentano qui all’ospedale. Li curiamo per quello che possiamo, perché non abbiamo più farmaci. Però, cure di emergenza per la malaria, per le anemie che qui imperversano, riusciamo ancora a garantirle. Ma è cosa di qualche giorno…
D. – Attualmente, in città quali sono le strutture in grado ancora di offrire assistenza sanitaria?
R. – Adesso, attualmente, c’è l’ospedale comunitario che è gestito da Medici senza frontiere che fa un lavoro enorme, però è prevalentemente traumatologia. Qui all’ospedale civico di Bimbo c’è sempre il solito problema: non hanno farmaci, se ce li hanno, spariscono; i centri sanitari sono chiusi perché il personale non va a lavorare e quindi alla fine tutto si ripiega qui, su Bimbo, da noi. C’è Emergency in città ed anche loro fanno un grande lavoro. Assicurano la chirurgia al complesso pediatrico… Però, la popolazione è tanta, quindi siamo come una goccia in un oceano.
D. – Quali sono, in un momento così drammatico, le principali emergenze sanitarie?
R. – Le emergenze sanitarie in questo momento sono prevalentemente la malnutrizione, che è grave e acuta, con picchi di anemia che fanno paura. Tra tutti i bambini che vengono qui – noi visitiamo una media di 50-60 bambini al giorno – non c’è nessuno che supera gli 8 grammi di emoglobina. Quindi, veramente stanno male. Poi, c’è la malaria che fa disastri. Si prevede che nei prossimi mesi ci sarà un’ecatombe.
D. – Aiutate tutti, senza alcuna distinzione…
R. – Assolutamente. Noi non facciamo alcun tipo di distinzione: né politica, né razziale, né di religione. Qui abbiamo nascosto parecchi bambini, anzi siamo andati a recuperare dei musulmani che lavoravano presso altre missioni cattoliche e con l’ambulanza li abbiamo portati in salvo, perché qui li ammazzano. Per questo, parecchi di loro sono all’arcidiocesi a Bangui, dove l’arcivescovo li protegge all’interno dell’arcivescovado.
D. – La Repubblica Centrafricana è dunque un Paese segnato da violenze e da tragedie. Quale è il vostro appello?
R. – Il nostro appello è che qualcuno venga a calmare questa gente. Io non so se il Santo Padre possa intervenire. Ma che lo faccia, perché qui veramente è un genocidio. E’ una cosa impossibile! I francesi, malgrado quello che dicono in Francia, non riescono a controllare la situazione. Li abbiamo chiamati: ci sono dei religiosi che hanno avuto bisogno di aiuto, loro non vanno. Dunque, qui ci vuole qualcuno che riesca a smuovere la coscienza, soprattutto delle Nazioni Unite. Che vengano qui, rapidamente, perché più aspettano e più la gente muore. Qui veramente è un genocidio grande. E un disastro! La gente viene uccisa a colpi di machete, li fanno a pezzi…
D. – Atrocità di cui siete testimoni…
R. – Io ho visto delle scene in città … Il nostro nunzio, il nunzio ad interim, don Andrea, ha vissuto una situazione, due domeniche fa, veramente allucinante. Davanti al portone della nunziatura è stato aggredito un signore musulmano che passava, poveraccio, non c’entrava niente… L’hanno preso a sassate, poi l’hanno lapidato, l’hanno tagliato a pezzi, bruciato... E don Andrea che gridava: aiutateci! Chiamava i francesi. Ma nessuno si è presentato...
D. – Il Consiglio di Sicurezza dell’Onu ha autorizzato il dispiegamento di una forza europea per sostenere quella, già presente, nella Repubblica Centrafricana. La speranza è che si possa ristabilire l’ordine nel Paese…
R. – Abbiamo sentito questo. Dicono che l’Unione Europea abbia autorizzato questa missione. Anche l’Onu dice che manderà soldati, ma fino a oggi non abbiamo visto nessuno. Qui ci sono 1.600 uomini della missione francese e ce ne sono altri 6.000 dell’interforza africana, la Misca, però pattugliano solo le strade principali. Hanno disarmato tutti i Seleka ma non disarmano i Balaka. E questi nei quartieri fanno di tutto: ammazzano la gente e la tagliano a pezzi! Io ho lavorato in tanti Paesi africani, ma francamente una situazione così non l’avevo mai vista. Nemmeno in Rwanda è stato così.
Radio Vaticana - La Repubblica Centrafricana è dilaniata da un sanguinoso conflitto, rimasto come altri nella "periferia mediatica". È dal 24 marzo del 2013, da quando il governo del presidente François Bozizé è stato rovesciato dalle milizie del gruppo islamista Seleka, guidato da Michel Djotodia, che il Paese è scosso da violenze. Per ristabilire la pace, l’Onu ha dato il via libera a una missione europea di peacekeeping a sostegno dei militari della missione Misca, guidata dall’Unione Africana, e ai 1.600 soldati francesi già dispiegati sul territorio. Si stima che dall’inizio del conflitto siano state uccise più di duemila persone. Molte delle vittime sono bambini. Gli sfollati sono oltre un milione. Il Paese, con quattro milioni e mezzo di abitanti, è precipitato in una crisi umanitaria senza precedenti. Intanto, si è da poco formato un nuovo governo. Lo scorso 20 gennaio, dopo le dimissioni di Djotidia, il parlamento ha eletto come capo di Stato Catherine Samba-Panza, prima donna presidente nella storia della Repubblica Centrafricana. Ha l’arduo compito di guidare l’esecutivo di transizione per riportare l’ordine nel Paese, devastato dagli scontri tra i miliziani di Seleka e i combattenti di anti-Balaka (cioè "anti-machete"). Queste ultime sono formazioni nate nel nord del Paese su impulso dell’ex presidente Bozizé per proteggere le popolazioni dai banditi che imperversano nella regione. Si tratta di combattimenti definiti, spesso, come interreligiosi. La realtà, invece, è più complessa: non tutti i membri di Seleka sono musulmani e non sono in gran parte cristiani i miliziani anti-Balaka. Recentemente molti ribelli di Seleka, disarmati dalle truppe francesi, sono tornati in Ciad. Continuano invece a essere armati i combattenti anti-Balaka. La situazione resta estremamente grave e le vittime sono soprattutto civili. In varie zone del Paese, le missioni cattoliche che accolgono rifugiati e malati sono le uniche ancora in grado di assistere e proteggere la popolazione civile.
Nella Repubblica Centrafricana, è dunque sempre più grave il dramma umanitario. Amedeo Lomonaco ha raggiunto telefonicamente la dottoressa Patrizia Emiliani, medico volontario presso l’ospedale delle missioni cattoliche a Bimbo, città non lontana dalla capitale Bangui: ascolta
R. – Viviamo prigioniere, perché siamo accerchiate dai Balaka che controllano tutto il territorio intorno a noi. E’ chiaro che la situazione è tesa, perché questi sono armati e i francesi non li hanno mai disarmati. E quindi compiono azioni di saccheggio, durante la notte sparano… C’è tensione.
D. – C’è dunque tensione, ma nella vostra zona continuano ad arrivare persone in fuga da varie zone del Paese…
R. – La gran parte della popolazione di Bangui si è rifugiata a Bimbo. Si calcola che qui ci siano rifugiati prevalentemente presso le missioni cattoliche. Ci saranno circa 90 mila persone. Altrettante sono ospitate presso case private. La situazione è veramente precaria. Il problema umanitario a Bimbo è grande. La fame, soprattutto… Noi, personalmente, diamo assistenza gratuita a tutti quelli che si presentano qui all’ospedale. Li curiamo per quello che possiamo, perché non abbiamo più farmaci. Però, cure di emergenza per la malaria, per le anemie che qui imperversano, riusciamo ancora a garantirle. Ma è cosa di qualche giorno…
D. – Attualmente, in città quali sono le strutture in grado ancora di offrire assistenza sanitaria?
R. – Adesso, attualmente, c’è l’ospedale comunitario che è gestito da Medici senza frontiere che fa un lavoro enorme, però è prevalentemente traumatologia. Qui all’ospedale civico di Bimbo c’è sempre il solito problema: non hanno farmaci, se ce li hanno, spariscono; i centri sanitari sono chiusi perché il personale non va a lavorare e quindi alla fine tutto si ripiega qui, su Bimbo, da noi. C’è Emergency in città ed anche loro fanno un grande lavoro. Assicurano la chirurgia al complesso pediatrico… Però, la popolazione è tanta, quindi siamo come una goccia in un oceano.
D. – Quali sono, in un momento così drammatico, le principali emergenze sanitarie?
R. – Le emergenze sanitarie in questo momento sono prevalentemente la malnutrizione, che è grave e acuta, con picchi di anemia che fanno paura. Tra tutti i bambini che vengono qui – noi visitiamo una media di 50-60 bambini al giorno – non c’è nessuno che supera gli 8 grammi di emoglobina. Quindi, veramente stanno male. Poi, c’è la malaria che fa disastri. Si prevede che nei prossimi mesi ci sarà un’ecatombe.
D. – Aiutate tutti, senza alcuna distinzione…
R. – Assolutamente. Noi non facciamo alcun tipo di distinzione: né politica, né razziale, né di religione. Qui abbiamo nascosto parecchi bambini, anzi siamo andati a recuperare dei musulmani che lavoravano presso altre missioni cattoliche e con l’ambulanza li abbiamo portati in salvo, perché qui li ammazzano. Per questo, parecchi di loro sono all’arcidiocesi a Bangui, dove l’arcivescovo li protegge all’interno dell’arcivescovado.
D. – La Repubblica Centrafricana è dunque un Paese segnato da violenze e da tragedie. Quale è il vostro appello?
R. – Il nostro appello è che qualcuno venga a calmare questa gente. Io non so se il Santo Padre possa intervenire. Ma che lo faccia, perché qui veramente è un genocidio. E’ una cosa impossibile! I francesi, malgrado quello che dicono in Francia, non riescono a controllare la situazione. Li abbiamo chiamati: ci sono dei religiosi che hanno avuto bisogno di aiuto, loro non vanno. Dunque, qui ci vuole qualcuno che riesca a smuovere la coscienza, soprattutto delle Nazioni Unite. Che vengano qui, rapidamente, perché più aspettano e più la gente muore. Qui veramente è un genocidio grande. E un disastro! La gente viene uccisa a colpi di machete, li fanno a pezzi…
D. – Atrocità di cui siete testimoni…
R. – Io ho visto delle scene in città … Il nostro nunzio, il nunzio ad interim, don Andrea, ha vissuto una situazione, due domeniche fa, veramente allucinante. Davanti al portone della nunziatura è stato aggredito un signore musulmano che passava, poveraccio, non c’entrava niente… L’hanno preso a sassate, poi l’hanno lapidato, l’hanno tagliato a pezzi, bruciato... E don Andrea che gridava: aiutateci! Chiamava i francesi. Ma nessuno si è presentato...
D. – Il Consiglio di Sicurezza dell’Onu ha autorizzato il dispiegamento di una forza europea per sostenere quella, già presente, nella Repubblica Centrafricana. La speranza è che si possa ristabilire l’ordine nel Paese…
R. – Abbiamo sentito questo. Dicono che l’Unione Europea abbia autorizzato questa missione. Anche l’Onu dice che manderà soldati, ma fino a oggi non abbiamo visto nessuno. Qui ci sono 1.600 uomini della missione francese e ce ne sono altri 6.000 dell’interforza africana, la Misca, però pattugliano solo le strade principali. Hanno disarmato tutti i Seleka ma non disarmano i Balaka. E questi nei quartieri fanno di tutto: ammazzano la gente e la tagliano a pezzi! Io ho lavorato in tanti Paesi africani, ma francamente una situazione così non l’avevo mai vista. Nemmeno in Rwanda è stato così.
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