lunedì, gennaio 27, 2014
La condivisione dei contenuti rappresenta un arricchimento reciproco che non ha precedenti. C’è un valore nella creazione, del tutto indipendente dal valore che attribuiamo poi al frutto dell’atto creativo. In questa prospettiva, l’allargamento del numero di quanti possono creare e condividere con altri quello che hanno creato è importante anche se nessuno di noi produce niente di straordinario. 

di Carlo Mafera 

Nel dibattito che si è acceso circa il fenomeno del Web 2.0 mi sembra interessante e significativo riportare quanto afferma Jenkins, uno dei massimi esperti nel settore della nuova comunicazione : Gli utenti di Facebook – afferma lo studioso - mostrano con chiarezza l'adesione a quelle forme di cultura partecipativa che vedono gli utenti impegnati ad utilizzare i social media per creare e condividere i propri contributi. L’esperto sociologo americano riconosce l’importanza dell’ambiente tecnologico come potenziale abilitatore di pratiche attive di consumo da parte degli utenti senza ridurre l’analisi dello scenario attuale a una questione di tecnologie a disposizione delle persone. Jenkins partendo dall’osservazione delle sottoculture riesce a dare conto di una cultura della partecipazione che si manifesta da una parte sull’importanza della condivisione dei contributi individuali all’interno del gruppo/community e dall’altra dall’instaurarsi di un comune sentire a diversi livelli tra gli utenti che ricercano attivamente la comunicazione e lo scambio con gli altri supporters. Il livello della produzione, è definito dall’espressione user generated contents. La dizione contenuto generato dagli utenti (User-Generated Content o UGC in inglese) è nata nel 2005 negli ambienti del web publishing e dei new media per indicare il materiale disponibile sul web prodotto da utenti invece che da società specializzate. Essa è un sintomo della democratizzazione della produzione di contenuti multimediali reso possibile dalla diffusione di soluzioni hardware e software semplici ed a basso costo. Esempi di contenuto generato dagli utenti sono foto e video digitali, blog, podcast e wiki.

Esempi di siti web che si basano su questa filosofia sono Flickr, Friends Reunited, FourDocs, OpenStreetMap, YouTube, Second Life e Wikipedia. La comunità si confronta e interagisce, in questo modo, con la dimensione partecipativa. La convergenza e la partecipazione, per Jenkins, non avvengono tra i diversi dispositivi dei media ma coinvolgendo le menti dei singoli consumatori e abilitando una più complessa trama di interazioni proprie dell’intelligenza affettiva tipica delle fan communities. Jenkins ha affrontato in maniera molto diretta le critiche alla presunta “spazzatura” legata all’affermarsi degli User Generated Content. Non bisogna ridurre il valore della cultura partecipativa ai suoi prodotti, bisogna invece pensare al suo processo. In altre parole, c’è un valore nella creazione, del tutto indipendente dal valore che attribuiamo poi al frutto dell’atto creativo. In questa prospettiva, l’allargamento del numero di quanti possono creare e condividere con altri quello che hanno creato è importante anche se nessuno di noi produce nulla di meglio dell’equivalente letterario di un grumo informe di argilla che verrà apprezzato da coloro a cui è destinato (la mamma o la comunità dei fan) e da nessun altro. Quindi il processo creativo condiviso con gli altri di per sé rappresenta un valore aggiunto a prescindere dal risultato finale. La digitalizzazione di ogni contenuto infatti, sia testo, immagine o video, ha permesso di poter scaricare i vari prodotti e nello stesso tempo di rielaborarli o remixarli, per reimmetterli nella rete modificati e migliorati. Il prosumer si può improvvisare così giornalista, fotografo e/o regista utilizzando le varie piattaforme di Facebook, di You Tube o un semplice Blog. Con dei semplici programmi scaricabili facilmente da Internet (Photoshop, Premiere) si possono modificare immagini oppure rielaborare testi o addirittura video. Si salta così l’intermediazione in un processo di democratizzazione della Rete che non conosce precedenti. Certo, si va a scapito della professionalità ma non è detto che i prodotti modificati siano di dubbia qualità. Se si pensa al fenomeno Wiki e in particolare Wikipedia si è riscontrato che il lavoro di implementazione costante e successiva, abbia migliorato il testo che va in rete, certo con delle opportune avvertenze e cioè di non scrivere castronerie e di non essere sfacciatamente di parte. Un approfondimento fatto da Jenkins chiarisce che il processo conta più del prodotto anche per ciò che concerne la più grande enciclopedia del mondo: “perché un articolo di Wikipedia migliori, le buone modifiche devono superare quelle non buone. Piuttosto che filtrare i contributi prima che essi siano pubblicati (il processo che contribuì alla morte di Nupedia), Wikipedia assume che nuovi errori siano introdotti con minor frequenza di quanto quelli esistenti siano corretti”.

Un altro grande sociologo ed esperto del mondo della comunicazione è Marlow , a cui la società che gestisce Facebook ha commissionato una ricerca tesa ad indagare gli utenti del social network. Gli individui hanno compreso la possibilità di intensificare i loro contatti con i propri affetti, con tale velocità ed entusiasmo, pronti a spendere una parte significativa delle loro risorse, che appare corretto affermare che è stato identificato un bisogno fondamentale. Mi piacerebbe indicarlo – dice Marlow - come la costante esigenza di intimità e di compagnia, la sensazione di avere sempre vicino qualcuno che possa prendersi cura di te immediatamente.

La tendenza generale degli utenti dimostra che la gente su facebook si impegna nelle varie forme di comunicazione con la propria rete sociale manifestando un impegno diverso a seconda del tipo di tecnologia. È evidente lo sforzo degli utenti intento a produrre nei gruppi un ambiente familiare, attraverso il ricorso costante ai contributi biografici personali, alla narrativizzazione di eventi ed esperienze condivise dalla comunità locale di provenienza, a forme esplicite di conversazione. Questo aspetto rinvia ad una accresciuta competenza degli individui alla nuova forma mediale. Ci troviamo di fronte ad una crescente capacità da parte di coloro che apparentemente sembravano semplici consumatori dei social media a produrre ed appropriarsi di nuovi spazi comunitari, sfruttando la comunicazione e la forma network come la principale leva attraverso cui auto-collocarsi nella propria comunità e con cui produrre e riprodurre nuove relazioni sociali. Come sostiene Dave Awl, Facebook «per sua natura, tende ad allineare le interazioni, a ridurre le conversazioni a scambi brevi. Per questo la prima impressione è che si tratti di un luogo leggero e frivolo. Invece il potenziale di comunicazione virale, attraverso le catene di conoscenze, ha un potenziale immenso, se colpisce qualche nervo scoperto dell’opinione pubblica».

Una considerazione interessante, a conclusione del breve approfondimento, a proposito del controllo sociale che esiste nella condivisione di prodotti remixati sta nel fatto e nell’importanza che i singoli utenti dei diversi gruppi credono fermamente che i loro contributi abbiano un valore per gli altri membri, mostrando una propensione al coinvolgimento reciproco ed evidenziando come la dimensione connettiva propria dei social media implichi obbligazione reciproche. Il coinvolgimento sociale si concretizza spesso anche solo nel porre attenzione, e nel dare importanza, a ciò che pensano le altre persone in merito a ciò che si è prodotto e distribuito sul social network di riferimento. Diventa quindi importante il valore che gli altri attribuiscono a ciò che abbiamo fatto, e ciò che abbiamo fatto consiste sempre di più nella ‘produzione’ di qualcosa – dalla costruzione e descrizione del proprio profilo individuale alla creazione di oggetti mediali compiuti.

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