martedì, gennaio 07, 2014
Alcuni psicologi dibattono se le webtecnologie siano tecnologie della solitudine o della comunicazione. La tesi che prevale da tempo è che il web unisca più di quanto non isoli 

di Carlo Mafera

Isolamento o armonizzazione tecnologica e sociale in un mondo elettronicamente pacificato. A metà degli anni ’90, la ricerca si è divisa tra letture entusiaste e profondamente critiche delle implicazioni sociali della novità tecnologica. Da una parte, Internet giungeva ad essere l’emblema di un processo storico di separazione tra luogo e socialità nella formazione della comunità in cui inediti e più selettivi modelli di relazioni sociali sarebbero subentrati alle forme di legame territoriale dell’interazione umana. Alcuni psicologi dibattono se le webtecnologie siano tecnologie della solitudine o della comunicazione. A mio avviso, la tesi che sostengo da tempo è che il web unisca più di quanto non isoli. Mentre altri sostengono che la sua espansione avrebbe consegnato l’umanità all’isolamento sociale, alla rottura della comunicazione sociale e della vita familiare, a favore di una interazione con persone senza volto che esercitano una socialità casuale, abbandonando l’interazione faccia a faccia in contesti reali, tra sostenitori delle comunità “perse” e sostenitori di quelle “salvate” nel cyberspazio. Quindi, da un parte si insiste sul carattere artefatto dell’aggregazione virtuale, condannata ad una configurazione instabile, temporanea, futile, dei legami sociali, che non possono più basarsi su fattori materiali e elementi culturali condivisi, come etnia, territorio, lingua, religione; dall’altra si assume proprio il carattere immaginato e immateriale del rapporto come presupposto condiviso e fondante della memoria collettiva e dell’identità virtuale. Da una parte si pensa ad individui isolati nelle loro case con limitate opportunità di partecipazione pubblica, dall’altra si pensa ad Internet come in grado di dare vita a una nuova forma di comunità in cui le relazioni si svilupperanno senza riguardo per il genere, la razza o la geografia. Insomma non c’è soluzione di continuità. Da una socialità reale si passa a quella virtuale e da quella virtuale si passa a quella reale. E’ un continuum indistinguibile. Un tipo di socialità supporta l’altra. E la questione non è nuova. E’ infatti la questione sociologica sulla natura della comunità e sulla trasformazione delle relazioni sociali nei processi di modernizzazione risale a periodi precedenti all’avvento della tecnologia di Internet, e si sviluppa fin dalle prime riflessioni sui processi di industrializzazione e urbanizzazione. “The Community Question” è stato oggetto privilegiato di analisi della sociologia urbana nel ventesimo secolo. Il “trasferimento” della community question negli spazi online riflette e accresce l’indeterminatezza con cui il concetto di “comunità” viene impiegato oggi e favorisce l’errore sostanziale di considerare Internet come un mondo a parte, in cui è possibile ottenere tutto ciò che la realtà offline ci nega. Internet e in particolare lo schermo è un’interfaccia, una sorta di protesi sociale dove prosegue il nostro modo specifico di socializzarci. Dice il nostro amato Papa emerito Benedetto XVI: “Internet è uno spazio da abitare” e non un semplice mezzo. Questa distanza tra gli utenti di Internet e la società nel suo complesso poteva essere ipotizzata in un dibattito precedente l’ampia diffusione di Internet, creando le proprie affermazioni dall’osservazione di un piccolo campione tra i primi utilizzatori di Internet, ma ora non è più accettabile di fronte all’uso sempre più universale e planetario della Rete. Forse un po’ di numeri ci possono chiarire la situazione e dirci come stanno le cose. “il 43 per cento degli utilizzatori di Internet che sono membri di comunità on line affermano di sentire un senso di appartenenza del tutto simile a quello che hanno nelle loro comunità 'reali'.[...]

Più di un quinto dei membri di comunità on line (20,3 per cento) almeno una volta l'anno effettua nella vita reale delle azioni legate alla loro vita di comunità virtuale. [...] Questo vale soprattutto per l'attivismo sociale. Due terzi dei membri delle comunità on line che si occupano di problemi sociali (64,9 per cento) affermano di interessarsi di cause che non conoscevano prima di entrare in contatto con il gruppo di utenti della propria comunità su Internet. Più del 40 per cento (43,7 per cento) si occupano maggiormente di problemi sociali da quando hanno iniziato a frequentare i gruppi on line. Il 56,6 per cento di questi utenti si collegano almeno una volta al giorno, ed interagiscono con gli altri membri collegati nello stesso momento (70,4 %).

Negli Stati Uniti il numero di persone che hanno un Blog su Internet è più che raddoppiato in tre anni (ora 7,4 per cento di utilizzatori, il 3, 2 per cento nel 2003). Sembra che ogni giorno nascano da 10mila a 20mila blog nuovi. Il numero di utilizzatori che si occupano del loro sito Internet continua a crescere (ora 12,5 per cento degli utilizzatori). In Rete ci si costruiscono reti di amicizie che poi spesso si incontrano di persona ed è questa la dimostrazione della continuità tra le due forme di socialità: (1,6 persone nuove conosciute di persona dopo un incontro in Rete, dicono le statistiche già del 2006). Nel 2006, il 37,7 per cento degli utilizzatori di Internet concordano che, da quando hanno cominciato a fare incontri on line, comunicano anche di più con i loro familiari e con gli amici e che questo non riduce il tempo speso nei consueti incontri faccia-a-faccia Di fronte a questi dati. Dati che si riferiscono al lontano 2006 ci si pone la domanda. “Ma quante di queste persone stanno realmente vivendo in una «disperata solitudine»? Nello stesso tempo, in molti studi di comunità, emerge una nostalgia per una perfetta società pastorale che nessuno sa se sia mai realmente esistita! Io direi che chattare fa bene alla salute e alla socialità, basta non esagerare!


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