Nel trigesimo della sua morte ricordiamo una figura straordinaria della rivista “Civiltà Cattolica”
Padre Castelli ha dato forma alla «cristologia letteraria». Era simile ad un detective. Scopriva Cristo dovunque. Dopo la frase che Cristo ha pronunciato nei Vangeli : “Quando sarò innalzato attirerò tutti a me”, era convinto che il Signore, con quell’evento, continua ad operare nel mondo. La morte e la Resurrezione di Gesù ha sconvolto tutti i campi in cui l’uomo agisce e ha messo un’inquietudine all’essere umano che si è messo alla ricerca di Lui. Se pensiamo al mondo dell’arte, possiamo contare migliaia e migliaia di opere che raffigurano Cristo sulla Croce, alla Sua nascita e in tutte le sue manifestazioni evangeliche. Poi, se contassimo le “Madonne con Bambino” che ci sono in giro per il mondo, potremmo concludere che le opere d’arte religiose ammontino forse al 70-80 per cento dell’intera produzione artistica mondiale che si è svolta nei secoli dopo Cristo ! La stessa cosa è avvenuta nella letteratura italiana e mondiale. Ritengo che non ci sia autore che non si sia fatto interpellare dall’inquietudine che Cristo gli ha messo addosso, dopo l’evento della Sua morte in croce e della Sua Resurrezione. E Padre Castelli lo cercava e lo trovava, tra le pagine che la creatività ispira agli esseri umani. L’uomo, per Padre Castelli è un cercatore di Assoluto e di meraviglie, l’abitante di un mistero che lo avvolge. Era sempre stupito come un bambino desideroso di sciogliere i suoi “perché”. Ma sempre fiducioso, non smarrito. Per lui il mistero è quello del fiore che si dischiude, non l’abisso vuoto o l’orlo di un precipizio. O meglio: era consapevole dell’ansia del mondo, ma era come se volesse scioglierla, come se volesse far sentire la Presenza reale di Gesù che si spandeva cordialmente all’interno dell’Umanità sofferente lungo tutti i secoli. E infatti il Signore disse, prima di ascendere al Padre: “Io sarò con voi sempre, fino alla fine dei secoli”. E un modo per dimostrare la Sua Presenza è quella letteraria. Il volto di Cristo è stato così trovato da Padre Castelli dopo averlo scoperto in tanti autori , da Dante Alighieri a Francesco Petrarca a Alessandro Manzoni, da Jacopone da Todi a Guittone di Arezzo, da Torquato Tasso a Antonio Fogazzaro, da Nicolo Tommaseo a Alfonso Maria De’ Liguori a Giacomo Leopardi, ma anche autori lontani da qualsiasi professione di fede, come Gabriele D’Annunzio, Giosuè Carducci, Luigi Pirandello, Benedetto Croce, Alda Merini, Elio Vittorini, Guido Gozzano, Umberto Saba, Giuseppe Ungaretti, Giovanni Pascoli, Gioacchino Belli, Giovanni Papini.
A titolo esemplificativo si può citare come Luigi Pirandello abbia espresso il suo incontro con Cristo. Nel dramma Lazzaro, Lucio, al termine degli studi teologici, abbandona la fede per vivere una vita secondo natura. Nessun Dio personale, nessuna vita soprannaturale, nessuna redenzione. Quando la sorella Lia, paralizzata alle gambe, apprende che il cielo è vuoto, si sente disperata. “Le mie alucce! Le alucce d’angeletta… Dovevo averle in compenso dei piedi che mi sono mancati per camminare sulla terra... Addio voli lassù!...”. Dinanzi alla disperazione della bambina, Lucio comprende la necessità della fede. Riprende la sua tonaca e ritorna prete “per riaccendere nel buio della morte il divino lume della fede, che è carità per tutti quelli a cui fu negato ogni bene nella vita”. Lucio ora comprende il significato della morte di Gesù: si è immolato per rendere possibile ai disperati l’illusione di una vita migliore e dar loro la forza di andare avanti. “Ora intendo e sento veramente la parola di Cristo: Carità!”.
Un altro esempio del volto di Gesù nella letteratura è quello famoso di Pasolini. “Cristo ?Colui “nel quale ogni uomo può riscattare se stesso”. La definizione è di P.P. Pasolini (1922-75). Credeva che la sua vita, dilacerata e drammatica, potesse trovare nel Cristo un riscatto capace di procurargli un po’ di pace. L’anno della sua morte così scriveva a p. Nazareno Fabbretti: “Cristo? Come regista ne sono ancora segnato. E’ lui il problema, lui l’uomo. Lui l’unico uomo, il solo scandalo nel quale ogni uomo può riscattare se stesso. Anche se Cristo fosse ritenuto soltanto uomo”. La pedofilia lo dominava fino a renderlo schiavo, e sperava di trovare in Cristo una liberazione, anzi una giustificazione. Nella sua opera poetica la presenza di Cristo ha un posto di rilievo, soprattutto nella raccolta. A Cristo - giovinezza profanata, purezza misconosciuta, fierezza respinta - egli contrappone la Chiesa e la sua morale, causa di malessere, e anche di disperazione, perché condanna come colpa la “diversità”. Nella poesia Il glicine - che ha un tono funebre - il poeta si sente un “puro di cuore”, martire come Cristo. E come Cristo vuole esporre la propria carne e il proprio spirito al disprezzo della gente. In “La Crocifissione” pone ad esempio un testo paolino: “Ma noi predichiamo Cristo crocifisso: scandalo per i Giudei, stoltezza per i Gentili” (1Cor 1,23). Lui, Pasolini, si sente come Cristo: scandalo e stoltezza. Lo si rifiuti e lo s’insulti pure. E’ in buona compagnia. Noi staremo offerti sulla croce, / alla gogna. E’ quanto dice Padre Castelli sul sito “Usmi”, l’Unione Superiore Maggiori d’Italia, Organismo che si occupa degli Istituti di Vita Consacrata. “La “cristologia” pasoliniana –ha scritto Padre Castelli su tale sito - è espressa soprattutto nel film “Il Vangelo secondo Matteo”. Cristo è presentato come un ideale compagno di strada: indica preziose direzioni, suscita energie, rivela l’uomo a se stesso, rifiuta il mondo borghese e ipocrita. E’ l’antitesi del mondo moderno; essere divino, non Dio. “Io non credo che Cristo sia figlio di Dio - confessava lui stesso - perché non sono credente. Ma credo che Cristo sia divino: credo cioè che in lui l’umanità sia così alta, rigorosa, ideale da andare al di là dei comuni termini dell’umanità” (Il Vangelo secondo Matteo, Milano, Garzanti 1964, 17). Passione pedofila e attrattiva del Cristo: Pasolini ha bruciato la sua esistenza dibattendosi tra questi due richiami, in un alternarsi di opzioni, simile a uno stato di martirio. E’ stato limpido il suo sguardo quando si è posato sul Cristo? Lo ha invocato per riscattarsi dalla sua “diversità”, o per giustificarla? Senza Gesù in croce “saremmo già polvere e vermi”.
“Anche Ignazio Silone (1900-78), come Pasolini, ha fissato lo sguardo su Gesù in croce, - ha continuato nel documento Padre Castelli - ma con diverso intendimento: non per giustificare il disordine ma per riscattare le sofferenze e le ingiustizie della vita. Per lui Gesù è l’espressione più alta, più pura e più feconda dell’umanità. In lui s’incarnano i valori che sono alla base della civiltà e che determinano la verità - cioè l’autenticità e la grandezza - dell’uomo. Gesù non ha elaborato un sistema filosofico o teologico, neanche ha fondato una religione; non è venuto a patti col potere, non ha lusingato gli istinti bassi dell’uomo, non ha esitato a proporre una morale “scandalosa”, non ha avuto paura di andare contro corrente e di portare lo scompiglio. Il Gesù di Silone, senza negare le virtù naturali, ha proposto “alcune apparenti assurdità. Ci ha detto: amate la povertà, amate gli umiliati e offesi, amate i vostri nemici, non preoccupatevi del potere, della carriera, degli onori, sono cose effimere, indegne di anime immortali” (L’avventura di un povero cristiano, Milano, Mondadori 1968, 244). Il Vangelo è rifiuto dell’ordine ingiusto, della politica affaristica, del potere concepito come supremazia e sopraffazione.”
“Cristo, il sempre vivente”. Padre Castelli, così intitola il commento su Giovanni Papini. “Pochi scrittori come Papini, infatti hanno vagabondato sulle strade del sapere alla ricerca della verità. “Senza questa verità non riesco più a vivere” scriveva a conclusione di Un uomo finito (1912), opera drammatica e appassionata, tra le più notevoli dei primi decenni del Novecento. Aveva bussato a tutte le porte - filosofia, storia, religioni, letteratura - alla ricerca della verità. Invano. Svaniti i sogni folli - dare la scalata al cielo per prendere il posto di Dio - aveva avuto l’onestà di dichiararsi “un uomo finito”. “Tutto è finito, tutto è perduto, tutto è chiuso. Non c’è più nulla da fare […]. Sono una cosa e non un uomo. Toccatemi: sono freddo come una pietra, freddo come un sepolcro. “Qui è sotterrato un uomo che non poté diventare Dio”” (Un uomo finito, Firenze, Vallecchi 1926, 202). Ebbe il coraggio di riprendere la strada della ricerca e d’invocare un po’ di certezza da chi potesse dargliela. “Io non chiedo né pane, né gloria. né compassione[…]. Ma chiedo e domando, umilmente e in ginocchio, con tutta la forza e la passione dell’anima mia, un po’ di certezza; una sola, una piccola fede sicura, un atomo di verità” (ivi, 246 s). Incontrò la verità – affermò Padre Castelli - quando incontrò Cristo - precedentemente rifiutato e bestemmiato. La Storia di Cristo (1921) narra, anzi grida, lo stupore di un ritrovamento che restituisce un morto alla vita. Il messaggio di fondo è il seguente: essendo Cristo la verità e la salvezza, abbiamo bisogno di lui come di nessun altro. Cristo è il “sempre-vivente” che non si stanca di agire sugli uomini di ogni tempo, in modo ora misterioso e paziente, ora violento e abbagliante.” Insomma Padre Ferdinando Castelli ha speso tutta la sua vita per parlare di un Dio storico le cui tracce umane restano indelebili anche nel tempo degli uomini, nei cuori degli autori che hanno scritto su di Lui e nelle opere che questi hanno prodotto per farlo scoprire prima a se stessi e poi per farlo riscoprire agli uomini : i sentimenti che Gesù, come uomo e come Dio, ha portato, attraverso quel crocifisso, gli stessi sentimenti che proviamo anche noi e cioè la speranza, il dolore, la tentazione della ribellione, la paura, la sofferenza, la rassegnazione, l’obbedienza, l’accettazione dell’ingiusta condanna, e soprattutto l’amore. Grande e eterno come il Suo cuore.
Padre Castelli ha dato forma alla «cristologia letteraria». Era simile ad un detective. Scopriva Cristo dovunque. Dopo la frase che Cristo ha pronunciato nei Vangeli : “Quando sarò innalzato attirerò tutti a me”, era convinto che il Signore, con quell’evento, continua ad operare nel mondo. La morte e la Resurrezione di Gesù ha sconvolto tutti i campi in cui l’uomo agisce e ha messo un’inquietudine all’essere umano che si è messo alla ricerca di Lui. Se pensiamo al mondo dell’arte, possiamo contare migliaia e migliaia di opere che raffigurano Cristo sulla Croce, alla Sua nascita e in tutte le sue manifestazioni evangeliche. Poi, se contassimo le “Madonne con Bambino” che ci sono in giro per il mondo, potremmo concludere che le opere d’arte religiose ammontino forse al 70-80 per cento dell’intera produzione artistica mondiale che si è svolta nei secoli dopo Cristo ! La stessa cosa è avvenuta nella letteratura italiana e mondiale. Ritengo che non ci sia autore che non si sia fatto interpellare dall’inquietudine che Cristo gli ha messo addosso, dopo l’evento della Sua morte in croce e della Sua Resurrezione. E Padre Castelli lo cercava e lo trovava, tra le pagine che la creatività ispira agli esseri umani. L’uomo, per Padre Castelli è un cercatore di Assoluto e di meraviglie, l’abitante di un mistero che lo avvolge. Era sempre stupito come un bambino desideroso di sciogliere i suoi “perché”. Ma sempre fiducioso, non smarrito. Per lui il mistero è quello del fiore che si dischiude, non l’abisso vuoto o l’orlo di un precipizio. O meglio: era consapevole dell’ansia del mondo, ma era come se volesse scioglierla, come se volesse far sentire la Presenza reale di Gesù che si spandeva cordialmente all’interno dell’Umanità sofferente lungo tutti i secoli. E infatti il Signore disse, prima di ascendere al Padre: “Io sarò con voi sempre, fino alla fine dei secoli”. E un modo per dimostrare la Sua Presenza è quella letteraria. Il volto di Cristo è stato così trovato da Padre Castelli dopo averlo scoperto in tanti autori , da Dante Alighieri a Francesco Petrarca a Alessandro Manzoni, da Jacopone da Todi a Guittone di Arezzo, da Torquato Tasso a Antonio Fogazzaro, da Nicolo Tommaseo a Alfonso Maria De’ Liguori a Giacomo Leopardi, ma anche autori lontani da qualsiasi professione di fede, come Gabriele D’Annunzio, Giosuè Carducci, Luigi Pirandello, Benedetto Croce, Alda Merini, Elio Vittorini, Guido Gozzano, Umberto Saba, Giuseppe Ungaretti, Giovanni Pascoli, Gioacchino Belli, Giovanni Papini.
A titolo esemplificativo si può citare come Luigi Pirandello abbia espresso il suo incontro con Cristo. Nel dramma Lazzaro, Lucio, al termine degli studi teologici, abbandona la fede per vivere una vita secondo natura. Nessun Dio personale, nessuna vita soprannaturale, nessuna redenzione. Quando la sorella Lia, paralizzata alle gambe, apprende che il cielo è vuoto, si sente disperata. “Le mie alucce! Le alucce d’angeletta… Dovevo averle in compenso dei piedi che mi sono mancati per camminare sulla terra... Addio voli lassù!...”. Dinanzi alla disperazione della bambina, Lucio comprende la necessità della fede. Riprende la sua tonaca e ritorna prete “per riaccendere nel buio della morte il divino lume della fede, che è carità per tutti quelli a cui fu negato ogni bene nella vita”. Lucio ora comprende il significato della morte di Gesù: si è immolato per rendere possibile ai disperati l’illusione di una vita migliore e dar loro la forza di andare avanti. “Ora intendo e sento veramente la parola di Cristo: Carità!”.
Un altro esempio del volto di Gesù nella letteratura è quello famoso di Pasolini. “Cristo ?Colui “nel quale ogni uomo può riscattare se stesso”. La definizione è di P.P. Pasolini (1922-75). Credeva che la sua vita, dilacerata e drammatica, potesse trovare nel Cristo un riscatto capace di procurargli un po’ di pace. L’anno della sua morte così scriveva a p. Nazareno Fabbretti: “Cristo? Come regista ne sono ancora segnato. E’ lui il problema, lui l’uomo. Lui l’unico uomo, il solo scandalo nel quale ogni uomo può riscattare se stesso. Anche se Cristo fosse ritenuto soltanto uomo”. La pedofilia lo dominava fino a renderlo schiavo, e sperava di trovare in Cristo una liberazione, anzi una giustificazione. Nella sua opera poetica la presenza di Cristo ha un posto di rilievo, soprattutto nella raccolta. A Cristo - giovinezza profanata, purezza misconosciuta, fierezza respinta - egli contrappone la Chiesa e la sua morale, causa di malessere, e anche di disperazione, perché condanna come colpa la “diversità”. Nella poesia Il glicine - che ha un tono funebre - il poeta si sente un “puro di cuore”, martire come Cristo. E come Cristo vuole esporre la propria carne e il proprio spirito al disprezzo della gente. In “La Crocifissione” pone ad esempio un testo paolino: “Ma noi predichiamo Cristo crocifisso: scandalo per i Giudei, stoltezza per i Gentili” (1Cor 1,23). Lui, Pasolini, si sente come Cristo: scandalo e stoltezza. Lo si rifiuti e lo s’insulti pure. E’ in buona compagnia. Noi staremo offerti sulla croce, / alla gogna. E’ quanto dice Padre Castelli sul sito “Usmi”, l’Unione Superiore Maggiori d’Italia, Organismo che si occupa degli Istituti di Vita Consacrata. “La “cristologia” pasoliniana –ha scritto Padre Castelli su tale sito - è espressa soprattutto nel film “Il Vangelo secondo Matteo”. Cristo è presentato come un ideale compagno di strada: indica preziose direzioni, suscita energie, rivela l’uomo a se stesso, rifiuta il mondo borghese e ipocrita. E’ l’antitesi del mondo moderno; essere divino, non Dio. “Io non credo che Cristo sia figlio di Dio - confessava lui stesso - perché non sono credente. Ma credo che Cristo sia divino: credo cioè che in lui l’umanità sia così alta, rigorosa, ideale da andare al di là dei comuni termini dell’umanità” (Il Vangelo secondo Matteo, Milano, Garzanti 1964, 17). Passione pedofila e attrattiva del Cristo: Pasolini ha bruciato la sua esistenza dibattendosi tra questi due richiami, in un alternarsi di opzioni, simile a uno stato di martirio. E’ stato limpido il suo sguardo quando si è posato sul Cristo? Lo ha invocato per riscattarsi dalla sua “diversità”, o per giustificarla? Senza Gesù in croce “saremmo già polvere e vermi”.
“Anche Ignazio Silone (1900-78), come Pasolini, ha fissato lo sguardo su Gesù in croce, - ha continuato nel documento Padre Castelli - ma con diverso intendimento: non per giustificare il disordine ma per riscattare le sofferenze e le ingiustizie della vita. Per lui Gesù è l’espressione più alta, più pura e più feconda dell’umanità. In lui s’incarnano i valori che sono alla base della civiltà e che determinano la verità - cioè l’autenticità e la grandezza - dell’uomo. Gesù non ha elaborato un sistema filosofico o teologico, neanche ha fondato una religione; non è venuto a patti col potere, non ha lusingato gli istinti bassi dell’uomo, non ha esitato a proporre una morale “scandalosa”, non ha avuto paura di andare contro corrente e di portare lo scompiglio. Il Gesù di Silone, senza negare le virtù naturali, ha proposto “alcune apparenti assurdità. Ci ha detto: amate la povertà, amate gli umiliati e offesi, amate i vostri nemici, non preoccupatevi del potere, della carriera, degli onori, sono cose effimere, indegne di anime immortali” (L’avventura di un povero cristiano, Milano, Mondadori 1968, 244). Il Vangelo è rifiuto dell’ordine ingiusto, della politica affaristica, del potere concepito come supremazia e sopraffazione.”
“Cristo, il sempre vivente”. Padre Castelli, così intitola il commento su Giovanni Papini. “Pochi scrittori come Papini, infatti hanno vagabondato sulle strade del sapere alla ricerca della verità. “Senza questa verità non riesco più a vivere” scriveva a conclusione di Un uomo finito (1912), opera drammatica e appassionata, tra le più notevoli dei primi decenni del Novecento. Aveva bussato a tutte le porte - filosofia, storia, religioni, letteratura - alla ricerca della verità. Invano. Svaniti i sogni folli - dare la scalata al cielo per prendere il posto di Dio - aveva avuto l’onestà di dichiararsi “un uomo finito”. “Tutto è finito, tutto è perduto, tutto è chiuso. Non c’è più nulla da fare […]. Sono una cosa e non un uomo. Toccatemi: sono freddo come una pietra, freddo come un sepolcro. “Qui è sotterrato un uomo che non poté diventare Dio”” (Un uomo finito, Firenze, Vallecchi 1926, 202). Ebbe il coraggio di riprendere la strada della ricerca e d’invocare un po’ di certezza da chi potesse dargliela. “Io non chiedo né pane, né gloria. né compassione[…]. Ma chiedo e domando, umilmente e in ginocchio, con tutta la forza e la passione dell’anima mia, un po’ di certezza; una sola, una piccola fede sicura, un atomo di verità” (ivi, 246 s). Incontrò la verità – affermò Padre Castelli - quando incontrò Cristo - precedentemente rifiutato e bestemmiato. La Storia di Cristo (1921) narra, anzi grida, lo stupore di un ritrovamento che restituisce un morto alla vita. Il messaggio di fondo è il seguente: essendo Cristo la verità e la salvezza, abbiamo bisogno di lui come di nessun altro. Cristo è il “sempre-vivente” che non si stanca di agire sugli uomini di ogni tempo, in modo ora misterioso e paziente, ora violento e abbagliante.” Insomma Padre Ferdinando Castelli ha speso tutta la sua vita per parlare di un Dio storico le cui tracce umane restano indelebili anche nel tempo degli uomini, nei cuori degli autori che hanno scritto su di Lui e nelle opere che questi hanno prodotto per farlo scoprire prima a se stessi e poi per farlo riscoprire agli uomini : i sentimenti che Gesù, come uomo e come Dio, ha portato, attraverso quel crocifisso, gli stessi sentimenti che proviamo anche noi e cioè la speranza, il dolore, la tentazione della ribellione, la paura, la sofferenza, la rassegnazione, l’obbedienza, l’accettazione dell’ingiusta condanna, e soprattutto l’amore. Grande e eterno come il Suo cuore.
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È presente 1 commento
avevamo appreso la notizia, è incredibile che il Vostro giornale , sia sempre aggiornato. Complimenti.
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