Il negoziato comincia con 'Assad se ne deve andare' e sembra già finito. Al posto di rispondere ai bisogni ed alle attese della gente la conferenza di pace 'Ginevra II' sembra essere diventata una 'Norimberga II'.
“La transizione democratica deve cominciare e Assad se ne deve andare”. Erano queste le parole pronunciate dal segretario statunitense Hilary Clinton il 6 luglio 2012 a Parigi, durante la riunione degli 'amici della Siria'. E sono le stesse parole proferite dal capo della diplomazia USA John Kerry alla conferenza di pace Ginevra II a Montreux: "Non c'è alcuna possibilità che Assad rimanga potere". Ma se l'allontanamento di Assad è la precondizione irrinunciabile posta da Washington per cominciare a parlare di pace. Allo stesso modo, da sempre, una tale ipotesi è categoricamente respinta dal governo siriano: "Nessuno, ad eccezione del popolo siriano, può decidere chi è presidente. - questa è la replica di Walid Muallem , capo della delegazione siriana, a Kerry - Nessuno ha il potere di conferire o revocare la legittimità di un presidente, di una costituzione o di una legge, ad eccezione del popolo stesso“. Anche mons. Tomasi, rappresentante della Santa Sede, ha detto che per la riuscita del negoziato, non bisogna porre precondizioni politiche. E' più importante che gli sforzi siano concentrati nel rispondere alle esigenze della società civile, e l'inviato del Vaticano dice come: "Un primo passo è chiedere un cessate il fuoco efficace senza precondizioni politiche. Il secondo passo è fermare il flusso di armi e il finanziamento a tutti i partecipanti del conflitto, che sia il Governo o che siano i ribelli, l’opposizione o gruppi isolati. Il terzo punto - legato al cessate il fuoco - è proporre la ricostruzione del Paese".
Le parole di mons. Tomasi sembrano sposarsi perfettamente con la riflessione dell'attivista per i diritti umani Akbar Ganji che sul World Post fa un'osservazione di una semplicità disarmante, ma vera e degna di nota: "Occorrerebbe che si escludesse il proseguimento del conflitto e si capisse che la pace è l'unica possibilità: una guerra civile non raggiunge mai la democrazia e il rispetto dei diritti umani, perché sono altamente correlati con lo sviluppo economico e sociale. Ecco perché la guerra in Siria è contro lo sviluppo di quella nazione".
Purtroppo la partita per la pace non si gioca sul piano della ragionevolezza e della giustezza delle argomentazioni ma passa solo attraverso le 'istruzioni per l'uso' che fornisce Washington.
Gli USA sono arrivati persino a sovrapporsi autoritariamente alle decisioni dell'Onu, che rispondendo alla proprie esclusive prerogative, aveva invitato l'Iran. L'esclusione è stata giustificata con argomentazioni assai deboli. Invece la disponibilità di Teheran era nota. Il ministro degli Esteri, Ali Akbar Salehi, parlando di Bashar el Assad aveva dichiarato che "nessun governante e' eterno, così come nel caso di Bashar el Assad, nel 2014 ci sono elezioni presidenziali in cui dovremo lasciare che gli eventi seguano il loro normale corso". Non è l'unico episodio , anche altre volte è accaduto che gli USA hanno manifestato una effettiva opposizione all’iniziativa di pace delle Nazioni Unite. Questo è anche il punto di vista della Santa Sede (Deliberazioni del Workshop della Pontificia Accademia delle Scienze sulla crisi in Siria e sulle speranze in vista della Conferenza di Ginevra II -Per Sua Santità Papa Francesco)
Ma allora qual è il nocciolo della questione? Perché questo atteggiamento intransigente degli USA? La posizione statunitense ha una sua spiegazione e parte da una paura: non è affatto scontato che il Cns (autoproclamatosi 'unico rappresentante del popolo siriano'), composto da esuli filoccidentali, trovi la simpatia della gente. Assad riscuote un largo consenso tra la maggior parte della popolazione. Il giornale libanese Al Manar l'anno scorso ha riferito che secondo un report della CIA i sondaggi suggeriscono che Assad "può ottenere il 75% dei voti del popolo siriano se deciderà di correre per le elezioni. E per Washington una vittoria di Assad (vittoria personale o di partito)è da impedire categoricamente.
Dall'altra parte le diffidenze del governo siriano sono anch'esse sensate: Ginevra II è organizzata dagli amici della Siria, cioè da quei paesi che direttamente appoggiano la guerra contro il legittimo governo del paese. Dai resoconti delle dichiarazioni fatte durante il negoziato, traspare che l'obiettivo ricercato non è tanto la fine del conflitto, quando allontanare dalla scena politica Assad e l'affidamento della transizione ai ribelli.
Non è cosa da poco: al governo di transizione passerebbe il controllo assoluto delle forze armate e delle forze di sicurezza. Importanti cariche dello stato potrebbero essere ricoperte dai ribelli: in definitiva Assad dovrebbe passare il potere e fidarsi di coloro che gli hanno messo le bombe nel palazzo presidenziale; di quelli che con le autobombe hanno cercato di far saltare i suoi ministri, a volte con esiti positivi.
Garante che il processo di transizione si svolga con equità sarebbero gli USA che si sono resi protagonisti in Siria già di due tentativi di colpi di stato (uno nel 1949 e l'altro nel 1956) e che a settembre stavano per attaccarla. Per queste ragioni, il governo siriano vede la 'transizione' come una 'nuova Yalta', come un modo 'pacifico' di infliggere una sconfitta politica sleale.
La parola 'transizione' etimologicamente significa 'passaggio da una situazione a un'altra' e dovrebbe partire dall'idea che i siriani facciano una scelta totalmente rappresentativa di autogoverno. Ma quando i siriani eleggeranno propri rappresentanti , certo non eleggeranno in massa quelli proposti dalla ribellione armata e forse neanche quelli attuali! Questo sarà accettato dagli 'amici della Siria'? E Arabia Saudita e Qatar, rinunceranno al tentativo di sostituire le scelte legittime dei siriani? Nel paese è stata aperta una ferita molto profonda. Il paese è distrutto, il futuro incerto, interi gruppi etnici e religiosi rischiano la decimazione, le derive jadiste alimentate da alcuni governi degli 'amici della Siria' aprono a rischi enormi per la sicurezza nazionale... Allora, alla luce di tutto questo, siamo ancora certi che Assad non si ritira solo per ambizione personale?
“La transizione democratica deve cominciare e Assad se ne deve andare”. Erano queste le parole pronunciate dal segretario statunitense Hilary Clinton il 6 luglio 2012 a Parigi, durante la riunione degli 'amici della Siria'. E sono le stesse parole proferite dal capo della diplomazia USA John Kerry alla conferenza di pace Ginevra II a Montreux: "Non c'è alcuna possibilità che Assad rimanga potere". Ma se l'allontanamento di Assad è la precondizione irrinunciabile posta da Washington per cominciare a parlare di pace. Allo stesso modo, da sempre, una tale ipotesi è categoricamente respinta dal governo siriano: "Nessuno, ad eccezione del popolo siriano, può decidere chi è presidente. - questa è la replica di Walid Muallem , capo della delegazione siriana, a Kerry - Nessuno ha il potere di conferire o revocare la legittimità di un presidente, di una costituzione o di una legge, ad eccezione del popolo stesso“. Anche mons. Tomasi, rappresentante della Santa Sede, ha detto che per la riuscita del negoziato, non bisogna porre precondizioni politiche. E' più importante che gli sforzi siano concentrati nel rispondere alle esigenze della società civile, e l'inviato del Vaticano dice come: "Un primo passo è chiedere un cessate il fuoco efficace senza precondizioni politiche. Il secondo passo è fermare il flusso di armi e il finanziamento a tutti i partecipanti del conflitto, che sia il Governo o che siano i ribelli, l’opposizione o gruppi isolati. Il terzo punto - legato al cessate il fuoco - è proporre la ricostruzione del Paese".
Le parole di mons. Tomasi sembrano sposarsi perfettamente con la riflessione dell'attivista per i diritti umani Akbar Ganji che sul World Post fa un'osservazione di una semplicità disarmante, ma vera e degna di nota: "Occorrerebbe che si escludesse il proseguimento del conflitto e si capisse che la pace è l'unica possibilità: una guerra civile non raggiunge mai la democrazia e il rispetto dei diritti umani, perché sono altamente correlati con lo sviluppo economico e sociale. Ecco perché la guerra in Siria è contro lo sviluppo di quella nazione".
Purtroppo la partita per la pace non si gioca sul piano della ragionevolezza e della giustezza delle argomentazioni ma passa solo attraverso le 'istruzioni per l'uso' che fornisce Washington.
Gli USA sono arrivati persino a sovrapporsi autoritariamente alle decisioni dell'Onu, che rispondendo alla proprie esclusive prerogative, aveva invitato l'Iran. L'esclusione è stata giustificata con argomentazioni assai deboli. Invece la disponibilità di Teheran era nota. Il ministro degli Esteri, Ali Akbar Salehi, parlando di Bashar el Assad aveva dichiarato che "nessun governante e' eterno, così come nel caso di Bashar el Assad, nel 2014 ci sono elezioni presidenziali in cui dovremo lasciare che gli eventi seguano il loro normale corso". Non è l'unico episodio , anche altre volte è accaduto che gli USA hanno manifestato una effettiva opposizione all’iniziativa di pace delle Nazioni Unite. Questo è anche il punto di vista della Santa Sede (Deliberazioni del Workshop della Pontificia Accademia delle Scienze sulla crisi in Siria e sulle speranze in vista della Conferenza di Ginevra II -Per Sua Santità Papa Francesco)
Ma allora qual è il nocciolo della questione? Perché questo atteggiamento intransigente degli USA? La posizione statunitense ha una sua spiegazione e parte da una paura: non è affatto scontato che il Cns (autoproclamatosi 'unico rappresentante del popolo siriano'), composto da esuli filoccidentali, trovi la simpatia della gente. Assad riscuote un largo consenso tra la maggior parte della popolazione. Il giornale libanese Al Manar l'anno scorso ha riferito che secondo un report della CIA i sondaggi suggeriscono che Assad "può ottenere il 75% dei voti del popolo siriano se deciderà di correre per le elezioni. E per Washington una vittoria di Assad (vittoria personale o di partito)è da impedire categoricamente.
Dall'altra parte le diffidenze del governo siriano sono anch'esse sensate: Ginevra II è organizzata dagli amici della Siria, cioè da quei paesi che direttamente appoggiano la guerra contro il legittimo governo del paese. Dai resoconti delle dichiarazioni fatte durante il negoziato, traspare che l'obiettivo ricercato non è tanto la fine del conflitto, quando allontanare dalla scena politica Assad e l'affidamento della transizione ai ribelli.
Non è cosa da poco: al governo di transizione passerebbe il controllo assoluto delle forze armate e delle forze di sicurezza. Importanti cariche dello stato potrebbero essere ricoperte dai ribelli: in definitiva Assad dovrebbe passare il potere e fidarsi di coloro che gli hanno messo le bombe nel palazzo presidenziale; di quelli che con le autobombe hanno cercato di far saltare i suoi ministri, a volte con esiti positivi.
Garante che il processo di transizione si svolga con equità sarebbero gli USA che si sono resi protagonisti in Siria già di due tentativi di colpi di stato (uno nel 1949 e l'altro nel 1956) e che a settembre stavano per attaccarla. Per queste ragioni, il governo siriano vede la 'transizione' come una 'nuova Yalta', come un modo 'pacifico' di infliggere una sconfitta politica sleale.
La parola 'transizione' etimologicamente significa 'passaggio da una situazione a un'altra' e dovrebbe partire dall'idea che i siriani facciano una scelta totalmente rappresentativa di autogoverno. Ma quando i siriani eleggeranno propri rappresentanti , certo non eleggeranno in massa quelli proposti dalla ribellione armata e forse neanche quelli attuali! Questo sarà accettato dagli 'amici della Siria'? E Arabia Saudita e Qatar, rinunceranno al tentativo di sostituire le scelte legittime dei siriani? Nel paese è stata aperta una ferita molto profonda. Il paese è distrutto, il futuro incerto, interi gruppi etnici e religiosi rischiano la decimazione, le derive jadiste alimentate da alcuni governi degli 'amici della Siria' aprono a rischi enormi per la sicurezza nazionale... Allora, alla luce di tutto questo, siamo ancora certi che Assad non si ritira solo per ambizione personale?
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Sono presenti 3 commenti
"siamo ancora certi che Assad non si ritira solo per ambizione personale?"
ma chi scrive è capace di intuire che tipo di persona sta difendendo ? (al di là della mancanza d'uso del congiuntivo...)
Sarebbe stato sufficiente che Assad si fosse ritirato all'inizio, invece di uccidere persone del suo popolo.
Che senso ha difendere la sua posizione, come se fosse il salvatore della patria ?
Perchè Assad non dovrebbe - o meglio ancora avrebbe dovuto a suo tempo - farsi da parte per permettere nuove elezioni ? questo non è ancora "più semplice" dell'osservazione di Akbar Ganji ?
Attenti per favore a non prendere posizioni di parte, in base a preconcetti che non dovreste nutrire.
Chiedetevi piuttosto: come vede tutto questo Colui che conosce i cuori ?
Nando
Non so come la vede 'Colui che conosce i cuori' ... ma posso dirle che mi piace essere leale con la realtà e quindi sottolinearne le evidenze e le contraddizioni che si palesano, senza mai imporre un mio punto di vista. Non difendo Assad ma questo sì lo difendo: pazienza se con un metodo simile il risultato non corrisponda alle sue aspettative. Mi conforta che è questo il tipo di approccio adottato dai Patriarcati di Siria e della Santa Sede nei confronti della crisi siriana. La sezione interviste di LPL ospita l'intervista di mons. Nazzaro ex vescovo di Aleppo: la posizione della Chiesa è unitaria ed è quella di una soluzione siriana dei siriano, senza interferenze straniere. Sopratutto si parte da una stima all'uomo per giudicare tutto e non da una visione manichea della realtà che è proprio l'esatto contrario della democrazia .
La richieste iniziali della rivolta erano giuste ma il cammino intrapreso per perseguirla porta esattamente dalla parte opposta. Per cambiare abbiamo bisogno non di qualcuno che ci sottolinei il nostro male ma di una presenza positiva di cambiamento. Finora, lei dove l'ha vista? Io l'ho vista, era la presenza cristiana in Siria e le diversità etniche e religiose prima tutelate ed ora a rischio.
Le richieste di riforma (tutte accettate) si sono ben presto trasformate in altro: lo ha riconosciuto anche Quirico che certo non si può dire che difenda Assad.
Tra 'gli amici della Siria', i maggiori sponsor delle bande jadiste sono Arabia Saudita e Qatar: come affidarsi a loro per una società migliore? Sono paesi che non hanno né una Costituzione né un Parlamento!
Si sceglie sempre tra le opzioni possibili esistenti e qui la nascita di una democrazia 'alla svizzera' è fuori discussione.
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