Con i progressi della tecnologia genetica, un giorno potremmo essere in grado di ripristinare specie ormai scomparse da molto tempo, come il mammut e il piccione migratore. Si tratta di un obiettivo da perseguire, con benefici reali per la conservazione e il nostro sentimento per il mondo naturale.
GreenReport - Dna sequenziabile di specie estinte può essere recuperato da campioni di musei e da alcuni fossili. Questa scoperta negli anni ’80 mise in moto l’idea che potrebbe essere possibile riportare in vita alcuni animali estinti. L’avvento del sempre più conveniente shotgun-sequencing dei genomi viventi ha fatto sì che la condizione del “Dna antico” molto frammentato non sia più una barriera per ricostruire l’intero genoma di creature ormai lontane. Nel frattempo, l’ascesa della “biologia sintetica” dal 2000 fornisce strumenti di alta precisione per il “genome-editing. Forse possiamo modificare i genomi morti da lungo tempo e farli tornare in vita. Forse specie estinte potranno camminare di nuovo sulla Terra. Forse potrebbero ancora una volta prosperare in natura.
Questa prospettiva mi ha portato a co-fondare con mia moglie, Ryan Phelan (lei dirige ed io scrivo articoli come questo) una no-profit chiamata Revive & Restore. La sua missione è quella di “migliorare la biodiversità attraverso il salvataggio genetico delle specie minacciate ed estinte”. Il salvataggio genetica, abbiamo realizzato, può avere una vasta gamma di applicazioni. La tecnologia genomica in fase di sviluppo per far rivivere specie estinte può essere implementato per evitare l’estinzione di alcune specie in via di estinzione.
Il maggior problema affrontato dalle specie con piccole popolazioni residue è la progressiva consanguineità. Perdono fecondità (spesso a causa della crescente omozigosi di geni deleteri), e non hanno la diversità genetica necessaria per adattarsi in modo robusto (molte delle loro varianti di geni preziosi, chiamati “alleli”, sono andate perse quando la loro popolazioni sono crollate). Le nuove tecniche di genomic editing dovrebbero essere in grado di ripristinare l’eterozigosi abbastanza facilmente nei genomi viventi. Potrebbe anche essere possibile far rivivere “alleli estinti” da esemplari dei musei o fossili o riportare la popolazione rimanente di nuovo alla robustezza adattiva che aveva una volta. Prevenire estinzione sconfina nell’inversione dell’estinzione nel campo emergente della genomica della conservazione. Se possono essere rianimati gli alleli estinti, lo si può fare anche su interi genomi estinti? Tutto ciò che potrebbe essere necessario è quello di “patchare” nel genoma vivente del parente vivente più vicino dell’animale estinto. Per il piccione viaggiatore, sarebbe il piccione coda barrata, per il mammut, l’elefante asiatico. (prendo questi due, sui quali si concentra Revive & Restore, come miei esempi. Lo stesso si potrebbe dire per l’alca impenne, il parrocchetto della Carolina, il picchio becco d’avorio, la foca monaca dei Caraibi, la farfalla Xerces blu, la gallina della prateria, il tilacino (tigre della Tasmania), la rana-gastrica, il moa neozelandese, l’O’o hawaiano, ecc – ci sono centinaia di candidati).
Ma perché farlo? Qual è la ragione per riportare indietro dei piccioni che c’erano un secolo fa, o alcuni elefanti pelosi che sono scomparsi quattro millenni fa? Ebbene, qual è la ragione per proteggere gli elefanti distruttori in Africa o i più specializzati panda in Cina o pericolosi orsi polari nell’Artico, o una qualsiasi delle specie in via di estinzione per le quali spendiamo così tanti soldi e ci angosciamo per preservarli?
Noi proteggiamo specie minacciate di estinzione, ribattono gli ambientalisti (e la maggior parte dell’opinione pubblica è d’accordo), al fine di preservare più che possiamo la ricchezza della biodiversità, mantenere creature che hanno importanti ruoli ecologici, o che la gente ama, o come simboli per proteggere interi ecosistemi in pericolo. Li proteggiamo perché la scienza impari come proteggerli meglio. Li proteggiamo per annullare il danno che hanno causato gli esseri umani.
Tutti queste ragioni si applicano al riportare indietro le specie estinte, oltre ad altre: come l’emozione pura della prospettiva di rivedere branchi di mammut con le loro zanne ricurve nel lontano nord, o nubi di piccioni viaggiatori che ancora una volta oscurando il sole. Sarebbe come riformulare una possibilità, momenti epocali come lo fu lo sbarco degli esseri umani sulla luna (ad una piccola frazione del costo). La conservation biology salirebbe alla ribalta della scienza genetica. La storia di conservazione potrebbe diventare da negativa a positiva, dal costante piagnisteo e senso di colpa all’intervento ed a nuove emozioni.
I piccioni migratori sono stati il maggior simbolo dell’estinzione del Nord America. Quando furono massacrati, da miliardi a zero, alla fine del XIX secolo, abbiamo appreso che lo stesso stava per accadere al bisonte americano, e la protezione delle specie minacciate diventò un’idea e pratica consolidata. Come sarebbe bello invertire l’errore umano di fondo che ha ispirato la conservazione moderna. Significherebbe che la biologia della conservazione ha chiuso il cerchio.
Aldo Leopold ha descritto il ruolo ecologico di piccioni viaggiatori come se fossero un incendio boschivo: «L’annuale tempesta piumata ruggì alto, in basso, e in tutto il continente, succhiando i frutti dei quali erano carichi il bosco e la prateria, bruciandoli in un’esplosione di vita viaggiante». Il loro vecchio habitat, il famoso Eastern deciduous forest, è in gran parte arretrato, forse è necessario restituirgli un’importante specie di uccelli che solo gli alberi più vecchi ricordano. (L’altro grande risveglio necessario è quello del castagno americano, una volta da solo erano quarto degli alberi della foresta, che ora stanno tornando forti grazie alle tecniche genetiche e gli sforzi di The American Chestnut Foundation).
Il mammut lanoso era una delle più importanti specie chiave per tutto, secondo Sergey Zimov, lo scienziato russo che ha fondato il “Pleistocene Park “nel nord della Siberia. Quando le mandrie di mega-erbivori settentrionali venero uccise dagli umani dieci millenni fa, dice Zimov, il più grande bioma della terra, chiamato “steppe dei mammut”, si è convertito da prateria in foresta boreale e tundra. In questi giorni di global warming, lo scongelamento della tundra sta rilasciando gas serra, mentre la prateria trattiene il carbonio. Zimov sta ripristinando il pascolo nel lontano nord con buoi muschiati, bisonti europei e cavalli yakuti. Sta aspettando pazientemente per il mammut. «Abbiamo abbattuto gli alberi con i tanks militari, ma non producono sterco».
L’idea che la de-estinzione si plausibile è entrata nel discorso pubblico lo scorso marzo, quando Ryan e io abbiamo organizzato un “TEDxDeExtinction” alla National Geographic Society a Washington, DC, con 25 scienziati che hanno parlato sul tema. E’ stato ampiamente riportato e discusso. Il dibattito è stato incoraggiato, e il soggetto ha debitamente affrontato le “controversie”. Gli argomenti contro questa idea ricadono in tre modelli, a seconda di chi stava esprimendo i dubbi: l’opinione pubblica in generale, gli ambientalisti professionisti o le persone con conoscenze biotecnologiche.
Le preoccupazioni dell’opinione pubbliche sono centrate su quello che potrebbe accadere quando gli animali già estinti saranno reintrodotti allo stato selvatico. Potrebbero prendere una corsa distruttiva come il kudzu! (una pianta infestante, ndr) Oppure, sicuramente non potranno sopravvivere perché il mondo è cambiato così tanto dal loro tempo! Con il loro habitat andato, tutto quello che potrebbero sperare è una vita negli zoo, il che sarebbe patetico. In altre parole, la natura ha ampiamente fatto vedere come siano irrimediabilmente fragili o già completamente distrutti.
Gli ambientalisti hanno espresso solo alcune di queste preoccupazioni, perché sanno quanto sia stato comune, in questi decenni, reintrodurre con successo animali allo stato selvatico dopo una lunga assenza, sia da altre regioni o con programmi di riproduzione in cattività. Il ritorno dei lupi nel Yellowstone National Park dopo un’assenza di 70 anni è considerato uno dei maggiori recenti colpi della conservazione. I furetti dai piedi neri sono tornati negli high plains Usa. I castori sono stati reintrodotti in tutta Europa, dove si stanno reintroducendo da soli anche i lupi, grazie al rimboschimento generalizzato dei terreni agricoli abbandonati. Il Reintroduzione Specialist Group dell’Iucn emette frequenti rapporti che raccontano decine di casi di studio in tutto il mondo. La natura non è spezzata, né, a parte le isole oceaniche e alcuni sistemi di acqua dolce, è particolarmente fragile.
Due cose preoccupano i professionisti della conservazione. Una è che la de-estinzione sarebbe così costosa e ad alta visibilità che potrebbe deviare soldi ed attenzione dai programmi fondamentali per proteggere le specie in via di estinzione. Un editoriale non firmato su Scientific American concludeva: «Un costoso e fiammeggiante progetto per resuscitare la flora e la fauna estinte in nome della conservazione appare irresponsabile. Dovremmo resuscitare i mammut solo perché gli elefanti cadano più in basso? Certo che no». In quale universo, viene da chiedersi, ci sarebbero persone nuovamente entusiaste per i mammut che improvvisamente diventato indifferenti agli elefanti in pericolo? Se c’è davvero un conto dei soldi somma zero in queste materie, si potrebbe supporre che i 35 milioni dollari e più spesi per la riproduzione in cattività e reintroduzione del condor della California devono aver drenato da altri progetti di conservazione dello stato. Il che non è successo. E’ più probabile è che la de-estinzione attirerà nuove significative fonti di finanziamento ed interesse per la conservazione.
L’altra preoccupazione tra gli ambientalisti è che il grande avvertimento “l’estinzione è per sempre!” perderà il suo pungolo ed i politici smetteranno di finanziare la protezione delle specie minacciate con l’argomento: «Va bene, se qualcosa si estingue la si può sempre riportare in vita più tardi». Esattamente lo stesso timore è stato sollevato 35 anni fa, quando Oliver Ryder allo zoo di San Diego ha fondato il Frozen Zoo per crioconservare le cellule e il Dna di animali in via di estinzione. Lì ora sono conservate un migliaio di specie, con grande beneficio per la ricerca sulla protezione delle specie minacciate e senza alcun danno apparente al sostegno politico per proteggerle. La de-estinzione è probabile che porterà nuove conoscenze d un nuovo coinvolgimento dell’opinione pubblica nella prevenzione dell’estinzione.
I migliori argomenti contro la de-estinzione, credo, siano quelli più tecnici, focalizzati su l’estrema complessità di resuscitare i genomi estinti. Non è stato ancora fatto. Forse è impossibile. Genomi interi – sia nucleare che l’”antico-Dna” mitocondriale – finora sono stati shotgun-sequenced e riassemblati da 8 specie estinte. Il mammut lanoso è una di loro, all’inizio del prossimo anno il piccione migratore sarà la nona. Ma quanto sono diversi i loro genomi dei loro parenti, l’elefante asiatico e il piccione coda barrata? Possono essere identificati i geni importanti per trasferire il genoma ad un genoma vivente? Come si fa con i non-coding regulatory genes? E se c’è un numero enorme di geni che devono essere trasferiti? La ricerca su tali questioni è ora in corso. Le risposte incoraggianti non sono garantite.
Poi c’è il compito di convertire i dati genetici in geni viventi. Questa operazione attualmente viene eseguita di routine nella biologia sintetica, di solito nei microbi, ma sempre più con vertebrati come i topi. Lavorare con le cellule staminali pluripotenti indotte (grazie alla vincitrice del premio Nobel Shinya Yamanaka) facilita il compito, e il macchinario “Multiplex Automated Genomic Engineering” sviluppato dal genetista di Harvard George Church è in grado di scrivere molti geni contemporaneamente. Ma lo spostamento di tutta una serie di tratti estinti in un genoma vivente deve ancora avvenire.
E come si fa poi arrivare a un animale vivo? Con i mammiferi si deve fare la clonazione interspecie: il trasferimento del nucleo di cellule somatiche del genoma ricostituito delle specie estinte nell’ovocita enucleato di una madre surrogata e poi impiantare l’embrione allo stadio precoce nel suo utero. Questo processo estremamente complicato è stato provato solo una volta, quando (usando il Dna congelato da uno zoo) un vitello di Javan banteng è stato partorito con successo da una mucca domestica. Questo approccio non può funzionare con gli uccelli, perché i loro embrioni non si impiantano, si muovono costantemente nell’ovidotto verso il basso. Per, c’è una tecnica in fase di sviluppo presso il Roslin Institute in Scozia, che potrebbe servire. Comporta la creazione di uccelli da genitori chimerici con le gonadi degli uccelli estinti, capaci di fecondare e deporre le uova delle specie estinte. Finora l’unica prova del metodo è un’anatra chimerica che ha prodotto con successo sperma di gallo ed ha generato un pulcino.
In questi giorni, gli strumenti della biologia sintetica stanno progredendo molte volte più rapidamente di quanto dice la legge di Moore. Ciò che sembra impossibile uno anno è solo costoso un paio di anni più tardi e di routine subito dopo. Le criticità tecniche dei processi di de-estinzione spesso portano a punti morti, ma non necessariamente per molto.
La questione finale sarà se l’animale risorto sia davvero l’animale estinto. Se se ne vede uno che sembra e vola come un piccione migratore, è l’uccello originale? Non abbiamo gli originali viventi per confrontarli (l’esperimento cruciale sarà quello di trasformare un piccione coda barrata, usando gli stessi metodi, da un uccello vivente conosciuto in una colomba scomparsa). Sarà un piccione migratore abbastanza buono? Kent Redford, ex chief scientist dalla Wildlife Conservation Society, sottolinea che i bisonti americani che proteggiamo avidamente sono per lo più solo bisonti con un sacco di geni di bestiame bovino. Supponiamo di duplicare il genoma del piccione migratore nella sua interezza. È il genoma dell’uccello? È il tuo gemello identico è un essere umano?
Per me, una delle più grandi attrazioni nel riportare le specie estinte è quanto tempo ci vorrà. Anche se tutto va bene, per riportare indietro i picconi migratori (insieme ad altre specie, se le tecniche faranno il loro lavoro) ci vorranno decenni. Perché un cucciolo femmina di mammut lanoso cresca ed abbia una figlia ci vogliono 20 anni. Portare di nuovo mandrie nel subartico, a pascolare nella steppa dei mammut di nuovo esistente, sarà un progetto su una scala di un secolo. I bambini che cresceranno in una questo secolo potrebbe avere una visione del rapporto degli esseri umani con la natura che non sia tragica, per il cambiamento.
Stewart Brand*
*è co-fondatore di The Long Now Foundation e del suo progetto “Revive & Restore”. Ha creato e curato il Whole Earth Catalog , e ha scritto diversi libri, il più recente dei quali è “Whole Earth Discipline” . Questo articolo è stato pubblicato il 13 gennaio 2014 su Yale Environment 360 con il titolo “The Case for De-Extinction: Why We Should Bring Back the Woolly Mammoth”
GreenReport - Dna sequenziabile di specie estinte può essere recuperato da campioni di musei e da alcuni fossili. Questa scoperta negli anni ’80 mise in moto l’idea che potrebbe essere possibile riportare in vita alcuni animali estinti. L’avvento del sempre più conveniente shotgun-sequencing dei genomi viventi ha fatto sì che la condizione del “Dna antico” molto frammentato non sia più una barriera per ricostruire l’intero genoma di creature ormai lontane. Nel frattempo, l’ascesa della “biologia sintetica” dal 2000 fornisce strumenti di alta precisione per il “genome-editing. Forse possiamo modificare i genomi morti da lungo tempo e farli tornare in vita. Forse specie estinte potranno camminare di nuovo sulla Terra. Forse potrebbero ancora una volta prosperare in natura.
Questa prospettiva mi ha portato a co-fondare con mia moglie, Ryan Phelan (lei dirige ed io scrivo articoli come questo) una no-profit chiamata Revive & Restore. La sua missione è quella di “migliorare la biodiversità attraverso il salvataggio genetico delle specie minacciate ed estinte”. Il salvataggio genetica, abbiamo realizzato, può avere una vasta gamma di applicazioni. La tecnologia genomica in fase di sviluppo per far rivivere specie estinte può essere implementato per evitare l’estinzione di alcune specie in via di estinzione.
Il maggior problema affrontato dalle specie con piccole popolazioni residue è la progressiva consanguineità. Perdono fecondità (spesso a causa della crescente omozigosi di geni deleteri), e non hanno la diversità genetica necessaria per adattarsi in modo robusto (molte delle loro varianti di geni preziosi, chiamati “alleli”, sono andate perse quando la loro popolazioni sono crollate). Le nuove tecniche di genomic editing dovrebbero essere in grado di ripristinare l’eterozigosi abbastanza facilmente nei genomi viventi. Potrebbe anche essere possibile far rivivere “alleli estinti” da esemplari dei musei o fossili o riportare la popolazione rimanente di nuovo alla robustezza adattiva che aveva una volta. Prevenire estinzione sconfina nell’inversione dell’estinzione nel campo emergente della genomica della conservazione. Se possono essere rianimati gli alleli estinti, lo si può fare anche su interi genomi estinti? Tutto ciò che potrebbe essere necessario è quello di “patchare” nel genoma vivente del parente vivente più vicino dell’animale estinto. Per il piccione viaggiatore, sarebbe il piccione coda barrata, per il mammut, l’elefante asiatico. (prendo questi due, sui quali si concentra Revive & Restore, come miei esempi. Lo stesso si potrebbe dire per l’alca impenne, il parrocchetto della Carolina, il picchio becco d’avorio, la foca monaca dei Caraibi, la farfalla Xerces blu, la gallina della prateria, il tilacino (tigre della Tasmania), la rana-gastrica, il moa neozelandese, l’O’o hawaiano, ecc – ci sono centinaia di candidati).
Ma perché farlo? Qual è la ragione per riportare indietro dei piccioni che c’erano un secolo fa, o alcuni elefanti pelosi che sono scomparsi quattro millenni fa? Ebbene, qual è la ragione per proteggere gli elefanti distruttori in Africa o i più specializzati panda in Cina o pericolosi orsi polari nell’Artico, o una qualsiasi delle specie in via di estinzione per le quali spendiamo così tanti soldi e ci angosciamo per preservarli?
Noi proteggiamo specie minacciate di estinzione, ribattono gli ambientalisti (e la maggior parte dell’opinione pubblica è d’accordo), al fine di preservare più che possiamo la ricchezza della biodiversità, mantenere creature che hanno importanti ruoli ecologici, o che la gente ama, o come simboli per proteggere interi ecosistemi in pericolo. Li proteggiamo perché la scienza impari come proteggerli meglio. Li proteggiamo per annullare il danno che hanno causato gli esseri umani.
Tutti queste ragioni si applicano al riportare indietro le specie estinte, oltre ad altre: come l’emozione pura della prospettiva di rivedere branchi di mammut con le loro zanne ricurve nel lontano nord, o nubi di piccioni viaggiatori che ancora una volta oscurando il sole. Sarebbe come riformulare una possibilità, momenti epocali come lo fu lo sbarco degli esseri umani sulla luna (ad una piccola frazione del costo). La conservation biology salirebbe alla ribalta della scienza genetica. La storia di conservazione potrebbe diventare da negativa a positiva, dal costante piagnisteo e senso di colpa all’intervento ed a nuove emozioni.
I piccioni migratori sono stati il maggior simbolo dell’estinzione del Nord America. Quando furono massacrati, da miliardi a zero, alla fine del XIX secolo, abbiamo appreso che lo stesso stava per accadere al bisonte americano, e la protezione delle specie minacciate diventò un’idea e pratica consolidata. Come sarebbe bello invertire l’errore umano di fondo che ha ispirato la conservazione moderna. Significherebbe che la biologia della conservazione ha chiuso il cerchio.
Aldo Leopold ha descritto il ruolo ecologico di piccioni viaggiatori come se fossero un incendio boschivo: «L’annuale tempesta piumata ruggì alto, in basso, e in tutto il continente, succhiando i frutti dei quali erano carichi il bosco e la prateria, bruciandoli in un’esplosione di vita viaggiante». Il loro vecchio habitat, il famoso Eastern deciduous forest, è in gran parte arretrato, forse è necessario restituirgli un’importante specie di uccelli che solo gli alberi più vecchi ricordano. (L’altro grande risveglio necessario è quello del castagno americano, una volta da solo erano quarto degli alberi della foresta, che ora stanno tornando forti grazie alle tecniche genetiche e gli sforzi di The American Chestnut Foundation).
Il mammut lanoso era una delle più importanti specie chiave per tutto, secondo Sergey Zimov, lo scienziato russo che ha fondato il “Pleistocene Park “nel nord della Siberia. Quando le mandrie di mega-erbivori settentrionali venero uccise dagli umani dieci millenni fa, dice Zimov, il più grande bioma della terra, chiamato “steppe dei mammut”, si è convertito da prateria in foresta boreale e tundra. In questi giorni di global warming, lo scongelamento della tundra sta rilasciando gas serra, mentre la prateria trattiene il carbonio. Zimov sta ripristinando il pascolo nel lontano nord con buoi muschiati, bisonti europei e cavalli yakuti. Sta aspettando pazientemente per il mammut. «Abbiamo abbattuto gli alberi con i tanks militari, ma non producono sterco».
L’idea che la de-estinzione si plausibile è entrata nel discorso pubblico lo scorso marzo, quando Ryan e io abbiamo organizzato un “TEDxDeExtinction” alla National Geographic Society a Washington, DC, con 25 scienziati che hanno parlato sul tema. E’ stato ampiamente riportato e discusso. Il dibattito è stato incoraggiato, e il soggetto ha debitamente affrontato le “controversie”. Gli argomenti contro questa idea ricadono in tre modelli, a seconda di chi stava esprimendo i dubbi: l’opinione pubblica in generale, gli ambientalisti professionisti o le persone con conoscenze biotecnologiche.
Le preoccupazioni dell’opinione pubbliche sono centrate su quello che potrebbe accadere quando gli animali già estinti saranno reintrodotti allo stato selvatico. Potrebbero prendere una corsa distruttiva come il kudzu! (una pianta infestante, ndr) Oppure, sicuramente non potranno sopravvivere perché il mondo è cambiato così tanto dal loro tempo! Con il loro habitat andato, tutto quello che potrebbero sperare è una vita negli zoo, il che sarebbe patetico. In altre parole, la natura ha ampiamente fatto vedere come siano irrimediabilmente fragili o già completamente distrutti.
Gli ambientalisti hanno espresso solo alcune di queste preoccupazioni, perché sanno quanto sia stato comune, in questi decenni, reintrodurre con successo animali allo stato selvatico dopo una lunga assenza, sia da altre regioni o con programmi di riproduzione in cattività. Il ritorno dei lupi nel Yellowstone National Park dopo un’assenza di 70 anni è considerato uno dei maggiori recenti colpi della conservazione. I furetti dai piedi neri sono tornati negli high plains Usa. I castori sono stati reintrodotti in tutta Europa, dove si stanno reintroducendo da soli anche i lupi, grazie al rimboschimento generalizzato dei terreni agricoli abbandonati. Il Reintroduzione Specialist Group dell’Iucn emette frequenti rapporti che raccontano decine di casi di studio in tutto il mondo. La natura non è spezzata, né, a parte le isole oceaniche e alcuni sistemi di acqua dolce, è particolarmente fragile.
Due cose preoccupano i professionisti della conservazione. Una è che la de-estinzione sarebbe così costosa e ad alta visibilità che potrebbe deviare soldi ed attenzione dai programmi fondamentali per proteggere le specie in via di estinzione. Un editoriale non firmato su Scientific American concludeva: «Un costoso e fiammeggiante progetto per resuscitare la flora e la fauna estinte in nome della conservazione appare irresponsabile. Dovremmo resuscitare i mammut solo perché gli elefanti cadano più in basso? Certo che no». In quale universo, viene da chiedersi, ci sarebbero persone nuovamente entusiaste per i mammut che improvvisamente diventato indifferenti agli elefanti in pericolo? Se c’è davvero un conto dei soldi somma zero in queste materie, si potrebbe supporre che i 35 milioni dollari e più spesi per la riproduzione in cattività e reintroduzione del condor della California devono aver drenato da altri progetti di conservazione dello stato. Il che non è successo. E’ più probabile è che la de-estinzione attirerà nuove significative fonti di finanziamento ed interesse per la conservazione.
L’altra preoccupazione tra gli ambientalisti è che il grande avvertimento “l’estinzione è per sempre!” perderà il suo pungolo ed i politici smetteranno di finanziare la protezione delle specie minacciate con l’argomento: «Va bene, se qualcosa si estingue la si può sempre riportare in vita più tardi». Esattamente lo stesso timore è stato sollevato 35 anni fa, quando Oliver Ryder allo zoo di San Diego ha fondato il Frozen Zoo per crioconservare le cellule e il Dna di animali in via di estinzione. Lì ora sono conservate un migliaio di specie, con grande beneficio per la ricerca sulla protezione delle specie minacciate e senza alcun danno apparente al sostegno politico per proteggerle. La de-estinzione è probabile che porterà nuove conoscenze d un nuovo coinvolgimento dell’opinione pubblica nella prevenzione dell’estinzione.
I migliori argomenti contro la de-estinzione, credo, siano quelli più tecnici, focalizzati su l’estrema complessità di resuscitare i genomi estinti. Non è stato ancora fatto. Forse è impossibile. Genomi interi – sia nucleare che l’”antico-Dna” mitocondriale – finora sono stati shotgun-sequenced e riassemblati da 8 specie estinte. Il mammut lanoso è una di loro, all’inizio del prossimo anno il piccione migratore sarà la nona. Ma quanto sono diversi i loro genomi dei loro parenti, l’elefante asiatico e il piccione coda barrata? Possono essere identificati i geni importanti per trasferire il genoma ad un genoma vivente? Come si fa con i non-coding regulatory genes? E se c’è un numero enorme di geni che devono essere trasferiti? La ricerca su tali questioni è ora in corso. Le risposte incoraggianti non sono garantite.
Poi c’è il compito di convertire i dati genetici in geni viventi. Questa operazione attualmente viene eseguita di routine nella biologia sintetica, di solito nei microbi, ma sempre più con vertebrati come i topi. Lavorare con le cellule staminali pluripotenti indotte (grazie alla vincitrice del premio Nobel Shinya Yamanaka) facilita il compito, e il macchinario “Multiplex Automated Genomic Engineering” sviluppato dal genetista di Harvard George Church è in grado di scrivere molti geni contemporaneamente. Ma lo spostamento di tutta una serie di tratti estinti in un genoma vivente deve ancora avvenire.
E come si fa poi arrivare a un animale vivo? Con i mammiferi si deve fare la clonazione interspecie: il trasferimento del nucleo di cellule somatiche del genoma ricostituito delle specie estinte nell’ovocita enucleato di una madre surrogata e poi impiantare l’embrione allo stadio precoce nel suo utero. Questo processo estremamente complicato è stato provato solo una volta, quando (usando il Dna congelato da uno zoo) un vitello di Javan banteng è stato partorito con successo da una mucca domestica. Questo approccio non può funzionare con gli uccelli, perché i loro embrioni non si impiantano, si muovono costantemente nell’ovidotto verso il basso. Per, c’è una tecnica in fase di sviluppo presso il Roslin Institute in Scozia, che potrebbe servire. Comporta la creazione di uccelli da genitori chimerici con le gonadi degli uccelli estinti, capaci di fecondare e deporre le uova delle specie estinte. Finora l’unica prova del metodo è un’anatra chimerica che ha prodotto con successo sperma di gallo ed ha generato un pulcino.
In questi giorni, gli strumenti della biologia sintetica stanno progredendo molte volte più rapidamente di quanto dice la legge di Moore. Ciò che sembra impossibile uno anno è solo costoso un paio di anni più tardi e di routine subito dopo. Le criticità tecniche dei processi di de-estinzione spesso portano a punti morti, ma non necessariamente per molto.
La questione finale sarà se l’animale risorto sia davvero l’animale estinto. Se se ne vede uno che sembra e vola come un piccione migratore, è l’uccello originale? Non abbiamo gli originali viventi per confrontarli (l’esperimento cruciale sarà quello di trasformare un piccione coda barrata, usando gli stessi metodi, da un uccello vivente conosciuto in una colomba scomparsa). Sarà un piccione migratore abbastanza buono? Kent Redford, ex chief scientist dalla Wildlife Conservation Society, sottolinea che i bisonti americani che proteggiamo avidamente sono per lo più solo bisonti con un sacco di geni di bestiame bovino. Supponiamo di duplicare il genoma del piccione migratore nella sua interezza. È il genoma dell’uccello? È il tuo gemello identico è un essere umano?
Per me, una delle più grandi attrazioni nel riportare le specie estinte è quanto tempo ci vorrà. Anche se tutto va bene, per riportare indietro i picconi migratori (insieme ad altre specie, se le tecniche faranno il loro lavoro) ci vorranno decenni. Perché un cucciolo femmina di mammut lanoso cresca ed abbia una figlia ci vogliono 20 anni. Portare di nuovo mandrie nel subartico, a pascolare nella steppa dei mammut di nuovo esistente, sarà un progetto su una scala di un secolo. I bambini che cresceranno in una questo secolo potrebbe avere una visione del rapporto degli esseri umani con la natura che non sia tragica, per il cambiamento.
Stewart Brand*
*è co-fondatore di The Long Now Foundation e del suo progetto “Revive & Restore”. Ha creato e curato il Whole Earth Catalog , e ha scritto diversi libri, il più recente dei quali è “Whole Earth Discipline” . Questo articolo è stato pubblicato il 13 gennaio 2014 su Yale Environment 360 con il titolo “The Case for De-Extinction: Why We Should Bring Back the Woolly Mammoth”
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