Ritratto dei Magi secondo Francesco e Benedetto
di Paolo Fucili
Un po’ di furbizia ogni tanto ci vuole, specie se si tratta di “custodire la fede”. Allora anche una “virtù” spesso associata ad atteggiamenti e comportamenti che di cristiano, diciamolo, hanno ben poco, può essere addirittura “santa”, parola di papa Francesco, tagliente ed immediata come sempre. Come la furbizia dei Magi, le ultime statuette dei presepi in ordine di apparizione, quando è quasi l’ora di disfarli. Il rischio appunto è che l’atmosfera vagamente malinconica del 6 gennaio, quando il pensiero va già ad occupazioni ed impegni di lavoro o studio dell’indomani, distragga qualcuno dal meditare i non banali significati dell’Epifania appena celebrata, con protagonisti assoluti i personaggi certo più misteriosi ed enigmatici del Vangelo.
Forse perché di loro, a conti fatti, si sa assai poco. Che fossero un po’ “sognatori”, è facile arguirlo dal loro incamminarsi per un viaggio lungo ed incerto, al seguito di una non meglio precisata stella, ispirati forse da qualche vaga profezia giunta al loro orecchio; e tuttavia non così sprovveduti da cadere nel tranello di Erode, che chiede loro di essere informato sul luogo dove sarebbe dovuto nascere “il re dei Giudei”, racconta il Vangelo, al malcelato scopo di farlo fuori. “Tutto un mondo edificato sul dominio, sul successo sull’avere, sulla corruzione è messo in crisi da un Bambino!”, ha esclamato Francesco gratificando pure il diffidente e sanguinario Erode dell’epiteto di “misero fantoccio”.
Il fatto è che “il re e i suoi consiglieri”, nella lettura fornita da papa Bergoglio nell’omelia di ieri a san Pietro, “sentono scricchiolare le impalcature del loro potere, temono che vengano capovolte le regole del gioco, smascherate le apparenze”. Ecco perché offerti i loro doni a Gesù, il nostro terzetto si guarderà bene dal passare di nuovo dalla reggia di Erode nel fare ritorno a casa. “Si tratta di quella scaltrezza spirituale che ci consente di riconoscere i pericoli ed evitarli”, ha approvato convinto il Pontefice allegando un sapiente monito a custodire così tutti noi, quando serve, la fede, coltivando cioè “quella furbizia spirituale che sa coniugare semplicità e astuzia, come chiede Gesù ai discepoli: ‘siate prudenti come i serpenti e semplici come le colombe’”. Perché pure un maestro di furbizia per nulla “santa” quale il demonio spesso “si veste da angelo di luce”, per ingannarci.
Ai mali estremi, insomma, estremi rimedi. Anche perché la posta in gioco è più che seria, vale a dire “non accontentarci di una vita mediocre”, l’imparare a lasciarsi sempre affascinare, come quei tre misteriosi sapienti, “da ciò che è buono, bello, vero”. Questo infatti è il cuore del messaggio della festa di ieri. E il bello è che è lì alla portata di tutti. “L’Epifania mette in risalto l’apertura universale della salvezza portata da Gesù”, Francesco ha spiegato quindi ai fedeli radunati in piazza per l’Angelus.
“Gesù”, detto più chiaro ancora, “è venuto per tutti noi, per tutti i popoli”. “Pensiamo alle religioni, alla ricerca della verità, al cammino dei popoli verso la pace, la pace interiore, la giustizia, la libertà”, era la riflessione suggerita. Tutta la storia è percorsa dal duplice movimento, per “reciproca attrazione”, degli uomini verso Dio e di Dio verso il mondo. Dio è mosso dall’amore per noi, noi dal desiderio di verità, vita, felicità bellezza. “Ma chi prende l’iniziativa? Sempre Dio! L’amore di Dio viene sempre prima del nostro!”. Vale a dire, “se non avessero visto la stella, quegli uomini non sarebbero partiti. La luce ci precede, la verità ci precede, la bellezza ci precede”, è la clamorosa e sconvolgente notizia del Natale.
Tutto “commentato magnificamente”, aveva significativamente premesso Francesco come per saldare un debito di ispirazione, dal predecessore Papa Ratzinger nel terzo volume della famosa trilogia su Gesù di Nazaret, quello sui Vangeli dell’infanzia. Dove è scritto che quei tre oscuri quanto fascinosi personaggi “rappresentano l’attesa interiore dello spirito umano, il movimento della religione e della natura umana verso Cristo”. Ma il loro viaggio non terminò a Betlemme, dove il re che adorarono era molto diverso da come se lo erano immaginati. “Dovevano imparare che Dio è diverso da come noi di solito lo immaginiamo. Qui cominciò il loro cammino interiore”, suggerì Benedetto XVI in un’altra memorabile occasione, nel 2005, alla Giornata mondiale della Gioventù ospitata proprio nella città, Colonia, che dei magi custodisce da tempo immemore le venerate reliquie. “Dovevano cambiare la loro idea sul potere, su Dio e sull’uomo e, facendo questo, dovevano cambiare anche se stessi”. Perché “il potere di Dio è diverso dal potere dei potenti del mondo”. E tanto altro si potrebbe aggiungere, ma basta così.
Altro che mesta appendice del lungo periodo di feste. Nella solennità dell’Epifania, col suo carico di storia, tradizioni, significati, è come se fosse mirabilmente condensata la visione cristiana della storia, l’inquietudine umana dell’attesa, l’universalità della buona novella del Natale, l’esigente ma decisiva conversione che Cristo suscita in chi riconosce la sua regalità.
La Chiesa, concludeva quindi ieri Francesco, non è altro che il popolo di quanti si sono lasciati attrarre dal singolare modo di Gesù di essere re: con l’amore che rispettosamente chiama, cerca aspetta, non con la forza che fa solo proselitismo. E siccome esistiamo, come Chiesa, solo per evangelizzare, per comunicare a tutti questo rivoluzionario amore di Dio, ecco un buon proposito da formulare nel tornare oggi ognuno alle proprie occupazioni senza farsene troppo appesantire l’animo: “essere tutti discepoli-missionari, piccole stelle che riflettono la sua luce”, come la cometa del presepio, a beneficio di tutti gli inquieti uomini in cerca oggi di Dio.
Un po’ di furbizia ogni tanto ci vuole, specie se si tratta di “custodire la fede”. Allora anche una “virtù” spesso associata ad atteggiamenti e comportamenti che di cristiano, diciamolo, hanno ben poco, può essere addirittura “santa”, parola di papa Francesco, tagliente ed immediata come sempre. Come la furbizia dei Magi, le ultime statuette dei presepi in ordine di apparizione, quando è quasi l’ora di disfarli. Il rischio appunto è che l’atmosfera vagamente malinconica del 6 gennaio, quando il pensiero va già ad occupazioni ed impegni di lavoro o studio dell’indomani, distragga qualcuno dal meditare i non banali significati dell’Epifania appena celebrata, con protagonisti assoluti i personaggi certo più misteriosi ed enigmatici del Vangelo.
Forse perché di loro, a conti fatti, si sa assai poco. Che fossero un po’ “sognatori”, è facile arguirlo dal loro incamminarsi per un viaggio lungo ed incerto, al seguito di una non meglio precisata stella, ispirati forse da qualche vaga profezia giunta al loro orecchio; e tuttavia non così sprovveduti da cadere nel tranello di Erode, che chiede loro di essere informato sul luogo dove sarebbe dovuto nascere “il re dei Giudei”, racconta il Vangelo, al malcelato scopo di farlo fuori. “Tutto un mondo edificato sul dominio, sul successo sull’avere, sulla corruzione è messo in crisi da un Bambino!”, ha esclamato Francesco gratificando pure il diffidente e sanguinario Erode dell’epiteto di “misero fantoccio”.
Il fatto è che “il re e i suoi consiglieri”, nella lettura fornita da papa Bergoglio nell’omelia di ieri a san Pietro, “sentono scricchiolare le impalcature del loro potere, temono che vengano capovolte le regole del gioco, smascherate le apparenze”. Ecco perché offerti i loro doni a Gesù, il nostro terzetto si guarderà bene dal passare di nuovo dalla reggia di Erode nel fare ritorno a casa. “Si tratta di quella scaltrezza spirituale che ci consente di riconoscere i pericoli ed evitarli”, ha approvato convinto il Pontefice allegando un sapiente monito a custodire così tutti noi, quando serve, la fede, coltivando cioè “quella furbizia spirituale che sa coniugare semplicità e astuzia, come chiede Gesù ai discepoli: ‘siate prudenti come i serpenti e semplici come le colombe’”. Perché pure un maestro di furbizia per nulla “santa” quale il demonio spesso “si veste da angelo di luce”, per ingannarci.
Ai mali estremi, insomma, estremi rimedi. Anche perché la posta in gioco è più che seria, vale a dire “non accontentarci di una vita mediocre”, l’imparare a lasciarsi sempre affascinare, come quei tre misteriosi sapienti, “da ciò che è buono, bello, vero”. Questo infatti è il cuore del messaggio della festa di ieri. E il bello è che è lì alla portata di tutti. “L’Epifania mette in risalto l’apertura universale della salvezza portata da Gesù”, Francesco ha spiegato quindi ai fedeli radunati in piazza per l’Angelus.
“Gesù”, detto più chiaro ancora, “è venuto per tutti noi, per tutti i popoli”. “Pensiamo alle religioni, alla ricerca della verità, al cammino dei popoli verso la pace, la pace interiore, la giustizia, la libertà”, era la riflessione suggerita. Tutta la storia è percorsa dal duplice movimento, per “reciproca attrazione”, degli uomini verso Dio e di Dio verso il mondo. Dio è mosso dall’amore per noi, noi dal desiderio di verità, vita, felicità bellezza. “Ma chi prende l’iniziativa? Sempre Dio! L’amore di Dio viene sempre prima del nostro!”. Vale a dire, “se non avessero visto la stella, quegli uomini non sarebbero partiti. La luce ci precede, la verità ci precede, la bellezza ci precede”, è la clamorosa e sconvolgente notizia del Natale.
Tutto “commentato magnificamente”, aveva significativamente premesso Francesco come per saldare un debito di ispirazione, dal predecessore Papa Ratzinger nel terzo volume della famosa trilogia su Gesù di Nazaret, quello sui Vangeli dell’infanzia. Dove è scritto che quei tre oscuri quanto fascinosi personaggi “rappresentano l’attesa interiore dello spirito umano, il movimento della religione e della natura umana verso Cristo”. Ma il loro viaggio non terminò a Betlemme, dove il re che adorarono era molto diverso da come se lo erano immaginati. “Dovevano imparare che Dio è diverso da come noi di solito lo immaginiamo. Qui cominciò il loro cammino interiore”, suggerì Benedetto XVI in un’altra memorabile occasione, nel 2005, alla Giornata mondiale della Gioventù ospitata proprio nella città, Colonia, che dei magi custodisce da tempo immemore le venerate reliquie. “Dovevano cambiare la loro idea sul potere, su Dio e sull’uomo e, facendo questo, dovevano cambiare anche se stessi”. Perché “il potere di Dio è diverso dal potere dei potenti del mondo”. E tanto altro si potrebbe aggiungere, ma basta così.
Altro che mesta appendice del lungo periodo di feste. Nella solennità dell’Epifania, col suo carico di storia, tradizioni, significati, è come se fosse mirabilmente condensata la visione cristiana della storia, l’inquietudine umana dell’attesa, l’universalità della buona novella del Natale, l’esigente ma decisiva conversione che Cristo suscita in chi riconosce la sua regalità.
La Chiesa, concludeva quindi ieri Francesco, non è altro che il popolo di quanti si sono lasciati attrarre dal singolare modo di Gesù di essere re: con l’amore che rispettosamente chiama, cerca aspetta, non con la forza che fa solo proselitismo. E siccome esistiamo, come Chiesa, solo per evangelizzare, per comunicare a tutti questo rivoluzionario amore di Dio, ecco un buon proposito da formulare nel tornare oggi ognuno alle proprie occupazioni senza farsene troppo appesantire l’animo: “essere tutti discepoli-missionari, piccole stelle che riflettono la sua luce”, come la cometa del presepio, a beneficio di tutti gli inquieti uomini in cerca oggi di Dio.
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