martedì, gennaio 28, 2014
L’odierna sessione pomeridiana dei negoziati tra governo siriano e opposizione, in corso da cinque giorni a Ginevra, è stata cancellata per i disaccordi sulla transizione politica. Sempre oggi, Damasco è tornata ad accusare gli Stati Uniti di aiutare le forze antigovernative, mentre restano in attesa di entrare ad Homs i convogli dell’Onu carichi di aiuti umanitari per la popolazione assediata. Sentiamo Marco Guerra: ascolta  

Radio Vaticana - "Nessuno sta scappando i colloqui riprenderanno domani", così il mediatore dell’Onu Brahimi, dopo l’annullamento della sessione pomeridiana di trattative tra governo e opposizione. Secondo quanto trapela, tra le due delegazioni stanno emergendo tutte le distanze circa la transizione politica: l’opposizione continua chiedere l’estromissione di Assad dai nuovi assetti, mentre Damasco ha ribadito che il presidente siriano è “una garanzia per superare la crisi”. Il regime è inoltre tornato ad accusare gli Usa di aiutare i terroristi. E nonostante le intese di massima per i corridoi umanitari, resta bloccato alla periferia di Homs il carico di aiuti alimentari dell’Onu per le famiglie assediate ridotte alla fame. E domani saranno sei mesi dal rapimento del padre gesuita Paolo Dall’Oglio, scomparso in una zona controllata dalle “milizie islamiste dello Stato Islamico dell’Iraq”.

Sulla situazione nel Paese, Massimiliano Menichetti ha raccolto il commento di mons. Mario Zenari, nunzio apostolico a Damasco: ascolta

R. – Non abbiamo alcuna notizia di padre Dall’Oglio! Ci sono delle voci, ogni tanto, che si rincorrono: ma non si può vagliare se siano vere o no. Purtroppo sono ormai 6 mesi… Fra qualche settimana saranno 12 mesi che sono scomparsi altri due sacerdoti, sempre nelle vicinanze di Aleppo, uno armeno cattolico e uno greco ortodosso; fra tre mesi sarà un anno dal rapimento dei due vescovi ortodossi…. Ecco, di tutte queste persone – purtroppo! – non c’è alcuna notizia.

D. – Qualcosa di più si sa, invece, sulle 12 monache rapite a Maalula?

R. – Ogni tanto trapela qualche notizia… Sono piuttosto rassicuranti: sarebbero trattate – sembra – bene; si sa, più o meno, dove sono trattenute, in una casa nella cittadina di Abrud. Questo è un caso un po’ diverso. Anche le monache, di quando in quando, possono telefonare a qualche persona, a qualche altra religiosa…

D. – Dunque la Siria è piombata anche in questa spirale drammatica dei rapimenti, che sono tantissimi…

R. – Purtroppo sì! Bisogna anche allargare lo sguardo: e la cosa diventa veramente esecrabile, perché qui si parla di centinaia di persone e si può parlare anche di migliaia se si includono tutte le tipologie di persone rapite o scomparse.

D. – Chi viene rapito?

R. – C’è la tipologia – diciamo – criminale: diverse persone sono rapite per ottenere denaro e qui nei vari villaggi e nelle varie città purtroppo è qualcosa che si verifica giornalmente. C’è poi la tipologia politica: persone di un certo rilievo sequestrate dagli uni o dagli altri per eventuali - magari un domani – possibili scambi di persona. Poi c’è della gente che è stata rapita, che è scomparsa e non si sa neanche per quali motivi… Vorrei direi che anche il rapimento di queste persone ecclesiastiche ancora non ha un motivo. Preghiamo affinché il Signore della misericordia possa toccare il cuore di tutte queste persone, perché sappiamo quanto dolore provoca alle famiglie che non sanno niente dei loro cari, scomparsi ormai da giorni, settimane, mesi… Direi che i rapimenti sono uno dei flagelli che è stato provocato da questa guerra. Vorrei che sostenessimo tutte le persone rapite e le loro famiglie con la nostra preghiera.

D. – In questa situazione la Chiesa cosa sta facendo?

R. – Una missione ardua, quella anzitutto di rimanere vicino alla gente che è qui, tutti, sia cristiani, sia di altre religioni, perché tutti soffrono queste calamità della guerra, della povertà, della fame, del freddo e questi sequestri. La prima cosa da fare è essere presenti, condividere queste sofferenze. Oltre all’aiuto materiale - quel po’ che si può offrire… - c’è soprattutto l’aiuto nella presenza, nella condivisione di questo terribile dramma che tutti stanno vivendo.

D. – Prima della Conferenza di pace che si è tenuta a Montreaux, lei ha ribadito: “Tutti si presentino davanti questa assise come se si trovassero al capezzale di una madre”, riferendosi proprio alla "madre Siria". Come giudica questa Conferenza e gli sforzi che si stanno facendo ora di mediazione tra gli oppositori e Assad?

R. – Già dall’inizio si sapeva che questa Conferenza avrebbe dovuto superare ostacoli insormontabili. Però bisogna tentare ogni sforzo! E’ già qualcosa, che dopo tre anni le parti che erano distanti, l’una dall’altra, e che si combattevano, si ritrovano attorno ad un tavolo. Ogni piccolo passo vale già qualcosa. Come cristiani, ma anche come credenti, dobbiamo accompagnare questi sforzi di pace con la preghiera, perché mai come adesso ci si accorge che c’è bisogno dell’aiuto di Dio per ottenere questo dono, il dono della pace, che è affidato alla responsabilità umana. Non bisogna mai perdere la fiducia, anche se ci saranno dei momenti molto, molto difficili. Bisogna cercare di fare dei passi soprattutto – io direi – per quanto riguarda adesso l’aspetto umanitario. Non c’è solo la povera popolazione di questa enclave di Homs: circa 3-3.500 persone circondate e accerchiate da più di un anno e mezzo e tra queste ci sono 60-65 cristiani con un sacerdote, un religioso gesuita anziano olandese, che ha scelto di rimanere con tutte queste povere persone accerchiate... Però oltre a loro ci sarebbero circa 2 milioni e mezzo le persone che sono in una situazione simile e sono tagliate fuori da questi aiuti umanitari così necessari e così urgenti. Quindi direi che sarebbe già un bel risultato se le parti potessero mettersi d’accordo sull’accesso agli aiuti umanitari per queste diverse popolazioni che sono accerchiate o dagli uni o dagli altri.


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