mercoledì, febbraio 05, 2014
Nel quarto articolo di questa mini-serie, analizziamo più da vicino i metodi sterilizzanti: problemi etici in parte sovrapponibili a quelli della contraccezione e in parte peculiari. La posizione della Chiesa cattolica all’interno dell’attuale dibattito etico. (articoli precedenti)

di Bartolo Salone 

Si tratta di metodi contraccettivi irreversibili che, attraverso metodiche chirurgiche, impediscono in modo definitivo la fertilità. Essi consistono materialmente nella recisione e legatura delle vie che trasportano, nella donna, l’ovulo (tube) e, nell’uomo, gli spermatozoi (dotti deferenti). A differenza della castrazione (che consiste nell’asportazione delle gonadi), la sterilizzazione incide solamente sulla fertilità, lasciando inalterata la capacità sessuale dell’individuo e senza significative incidenze sull’equilibrio ormonale dell’organismo. Le indicazioni alla sterilizzazione possono essere di carattere medico (possibilità di trasmettere al concepito gravi malattie o rischio per la vita o la salute della donna derivante da una gravidanza), ma più spesso (all’incirca il 90% dei casi) sono di tipo economico e sociale, vale a dire ragioni di “convenienza” analoghe a quelle che possono indurre i partner a rivolgersi alla contraccezione. Rispetto a quest’ultima, tuttavia, la sterilizzazione ha carattere di tendenziale irreversibilità: in caso di ripensamento, infatti, la de-sterilizzazione richiederebbe l’impiego di raffinate tecniche di microchirurgia, che non offrono assoluta garanzia di successo. Sotto il profilo tecnico, va aggiunto che per la sterilizzazione dell’uomo si pratica principalmente la vasectomia (ossia l’interruzione dei dotti deferenti), mentre per le donne l’occlusione tubarica a seguito di laparotomia o per via laparoscopica.

Sul piano etico, i metodi sterilizzanti pongono problematiche analoghe a quelle della contraccezione (per le quali si rinvia al secondo articolo di questa mini-serie qui), sub specie di banalizzazione della sessualità e accentuazione delle tendenze egoistiche dei partner, per di più aggravate dal profilo dell’irreversibilità. La sterilizzazione diretta pone però anche delle problematiche specifiche, pregiudicando in aggiunta – e a differenza della contraccezione – l’integrità fisica: non si tratta, a dire il vero, soltanto delle lesioni provocate dall’intervento chirurgico, bensì più a monte della menomazione che subisce l’organismo per la privazione di una fondamentale funzione biologica, quale è quella generativa. Sotto il profilo valoriale, pertanto, la sterilizzazione diretta, presenta degli elementi di indubbia criticità, suscettibili di far pendere l’ago della bilancia in senso decisamente negativo.

Più problematica è dal canto suo l’ipotesi (statisticamente meno significativa, coinvolgendo il 10% circa delle donne che si sottopongono a interventi sterilizzanti, ma non per questo meno rilevante sotto il profilo personale) in cui la sterilizzazione venga eseguita non già per pure ragioni di convenienza, bensì per ragioni medico-sanitarie, visto il pericolo che alla salute della madre potrebbe derivare da una eventuale gravidanza. A tal riguardo, bisogna osservare come in Italia sia ormai da tempo invalso l’uso di eseguire la legatura delle tube di routine dopo il secondo o il terzo taglio cesareo, in considerazione dei pericoli che un ulteriore intervento potrebbe comportare. In proposito, va ricordato come secondo alcuni studiosi, anche cattolici, il problema vada correttamente impostato distinguendo opportunamente, ai fini del giudizio morale, la finalità medico-preventiva da quella più schiettamente “contraccettiva”. Infatti, nel caso della sterilizzazione motivata da ragioni medico-preventive – evidenzia ad esempio Salvino Leone in “Sessualità e persona”, EDB Bologna, 2012, p. 279 – “ciò che si vuole evitare non è la gravidanza, ma l’eventuale danno fisico che un’eventuale gravidanza potrebbe comportare”. Nondimeno, pur ammettendo in principio la distinguibilità dei due piani (medico-preventivo e contraccettivo), rimane il dubbio etico legato al carattere comunque “invalidante” della sterilizzazione diretta, comportando questa la definitiva privazione della capacità generativa, attuata attraverso un gesto di fatto autolesionistico. Le maggiori difficoltà ad ammettere la liceità morale della sterilizzazione diretta nel delicatissimo caso qui considerato, dunque, dipendono non tanto dalla “finalità” (contraccettiva o meno) dell’intervento quanto dalla “natura” del mezzo utilizzato, che in ogni caso attenta all’integrità fisica della persona in mancanza dei rigorosi presupposti di applicazione del cosiddetto “principio di totalità”. Tale principio, infatti, asserisce che è lecito sacrificare una parte del corpo o una funzione dell’organismo per il bene dello stesso nella sua totalità (come avviene ad esempio per un arto in cancrena o per l’asportazione chirurgica di un tumore) e costituisce eccezione alla norma etica per cui non sarebbe legittimo compiere atti “autolesionistici” o che comunque attentino alla propria integrità fisica. Naturalmente il principio in esame presuppone la “necessità” di intervenire sulla parte “malata” per evitare un pregiudizio maggiore all’organismo nel suo complesso: una siffatta necessità, a ben vedere, manca nel caso della sterilizzazione volontaria diretta, ben potendo la finalità medico-preventiva (legata al pericolo di una nuova gravidanza) essere soddisfatta con mezzi diversi, che non passino per una “menomazione” organica dell’organismo.

Per questi motivi, la sterilizzazione diretta (quella cioè che mira immediatamente alla soppressione della facoltà generativa), “nonostante ogni soggettiva buona intenzione di coloro i cui interventi sono ispirati alla cura o alla prevenzione di una malattia fisica o mentale prevista o temuta come risultato di una gravidanza, rimane assolutamente proibita secondo la dottrina della Chiesa. E infatti la sterilizzazione della facoltà (generativa) è proibita per un motivo ancor più grave che la sterilizzazione dei singoli atti, poiché produce nella persona uno stato di sterilità quasi sempre irreversibile. Né può essere invocata disposizione alcuna della pubblica autorità, che cercasse di imporre la sterilizzazione diretta come necessaria al bene comune, poiché siffatta sterilizzazione intacca la dignità e la inviolabilità della persona umana. Similmente non può essere neppure invocato in questo caso il principio di totalità, in virtù del quale vengono giustificati interventi sugli organi a motivo di un maggior bene della persona” (Congregazione per la dottrina della fede, La sterilizzazione negli ospedali cattolici, 13 marzo 1975).


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