lunedì, febbraio 10, 2014
Un anno fa, come domani, papa Benedetto XVI comunicava la decisione di lasciare il pontificato. Un annuncio inatteso, seguito da tante reazioni, da giudizi sommari e superficiali ma anche da analisi che hanno saputo mettere in luce la portata storica e il coraggio di una simile scelta. 

di Elisabetta Lo Iacono 

Torre dei Venti - Una decisione propria non di una personalità debole e remissiva, bensì di un uomo capace di esaminare lucidamente la propria coscienza e riconoscere che, per il bene della Chiesa, era opportuno fare un passo indietro e lasciare spazio a chi aveva forze ed energie maggiori. Sta in questo la grandezza di una scelta in netta controtendenza con l'attuale società, con la dilagante occupazione delle "poltrone" e delle posizioni di rilievo. Lo spessore e la novità sta nel sapere dire di no, nel riconoscere i propri limiti, nella lucida disamina di quanto possiamo dare nei nostri rispettivi ruoli, considerando come prioritario lo spirito di servizio verso gli altri e non il tornaconto personale. In una parola, il coraggio di saper rinunciare.

Una vicenda che ci ha insegnato come le azioni non siano da leggere nell'esclusivo significato semantico delle parole, bensì vadano contestualizzate alla luce di tanti altri aspetti. La rinuncia al ministero petrino non va quindi interpretata nell'ottica di una privazione di qualcosa: quella di papa Benedetto non è stata la scelta di "lasciare" ma di svolgere il proprio compito nella Chiesa in modo differente rispetto al passato e più appropriato alle sue condizioni fisiche, dettate in primis dalle problematiche legate all'età.

Papa Benedetto non ha abbandonato il pontificato girando le spalle alla Chiesa come comunità di fedeli ma ha modulato la sua chiamata, con grande senso di responsabilità e di amore, dedicandosi esclusivamente alla preghiera e dando così modo al collegio cardinalizio di eleggere il suo successore, con le caratteristiche necessarie a tenere testa alle difficoltà dell'oggi, ai "rapidi mutamenti" e a "questioni di grande rilevanza".

Quello che è stato letto come gesto di debolezza rappresenta invece una palese dimostrazione di forza, di coraggio e di umiltà, dote quest'ultima alla quale siamo così poco avvezzi da non riuscire ad apprezzarla, confinandola senza tante esitazioni tra gli attributi della debolezza. La necessità di dover sempre dire qualcosa, di riempire spazi di giornali e palinsesti televisivi, ha portato in questo anno a scrivere e dire di tutto. Dai precedenti storici più affini, come la rinuncia di papa Celestino V nel 1294, alle questioni che hanno scosso la chiesa di papa Benedetto, non maturate in quegli anni di pontificato ma giunte - proprio in quel periodo - a una deflagrazione che ha scosso, prima di tutti, lo stesso Ratzinger. Pensiamo ai casi di pedofilia, storie vecchie di decenni che solo gli intellettualmente disonesti hanno potuto ricondurre, in qualche modo, al papa tedesco ignorando invece la mano ferma e, al contempo, la sensibilità dimostrata in più occasioni dinanzi alle vittime di questi abusi.

Non si tratta qui di elencare gli aspetti positivi del pontificato di papa Benedetto, ogni attento e onesto osservatore delle cose vaticane saprà dare il proprio giudizio, basato sui fatti e non sull'eco mediatica. A un anno di distanza da quel gesto storico, più che avanzare bilanci sul pontificato di papa Ratzinger e sulla legittimità di quella sua scelta, si rende sicuramente più urgente un giudizio sulla nostra capacità e volontà di andare oltre le apparenze, le voci più gridate, le grette operazioni mediatiche. Si impone la necessità di dimostrarci, innanzitutto a noi stessi, cittadini responsabili e fedeli capaci di testimoniare almeno qualche virtù evangelica.

La rinuncia del papa bavarese è stata ed è una lezione per tutti noi, una sfida all'imperante difficoltà di approfondimento, all'uso e abuso di giudizi non ponderati, alla propensione a rimanere sulla superficie dei fatti e degli atteggiamenti, spesso appiattendo il giudizio sul riverbero mediatico, fino a "schiacciare" la sua figura tra quelle più comunicative di Giovanni Paolo II e, oggi, di Francesco. La scelta di Benedetto, dunque, è stata ed è una lezione - impartita con la sua consueta umiltà - di rigore e di spirito di servizio, lontana dalla debolezza ma, al contrario, dettata da quel coraggio, da quella coerenza e saggezza ai quali dovremmo imparare a guardare, una volta tanto non per giudicare ma per arricchire i nostri pensieri.


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