giovedì, marzo 20, 2014
Il Papa incontra i lavoratori delle acciaierie di Terni – “No all’idolatria del denaro” 

di Paolo Fucili 

Un pacco viveri, un pasto caldo o un piccolo “aiuto” materiale, anche modesto, quello da qualche parte salta fuori. La tenace e fitta rete della solidarietà (di ispirazione cattolica in buona parte, ma non solo), evidentemente c’è è tiene, nonostante la pressione cui è sottoposta in questo periodo nero di crisi. Semmai meriterebbe che se parlasse pubblicamente un po’ più spesso sui giornali o in TV, ma questa volta finiremmo troppo fuori tema.

Il problema vero, per Francesco, è la dignità, c
he invece nessuna Caritas, mensa dei poveri o qualsivoglia ente di beneficenza può darti se non tu stesso, con l’opera della tua persona, qualunque essa sia: manuale o intellettuale, dipendente o autonoma, bene o comunque dignitosamente retribuita. E Jorge Mario Bergoglio può dirlo pure per esperienza personale. Lui stesso, in vecchie-interviste balzate agli onori della recente cronaca, amava ricordare i suoi trascorsi di giovane lavorante, durante le vacanze scolastiche, in alcune fabbriche della sua Buenos Aires: “Ringrazio molto mio padre per avermi mandato a lavorare… è stata una delle cose che mi hanno fatto meglio nella vita”.

Magari non era questione neppure per lui e la famiglia di mettere insieme pranzo e cena, come si suol dire, benché i suoi non fossero certo abbienti. Ma il lavoro, appunto, non è questione solo di mangiare. “Dignità” è la questione vera, parola risuonata più volte stamane sotto le volte dell’aula Nervi vaticana affollata di almeno 7.000 fedeli, riferiscono le cronache: tutti provenienti da Terni e paesi di quella diocesi, in gran parte lavoratori e familiari delle locali acciaierie AST, ora si chiamano, “Acciai speciali Terni”, che han deciso di festeggiare col Papa i ben 130 anni dalla fondazione.. Presenti anche alcuni ex dipendenti della fabbrica, che ricordano ancora la visita di Giovanni Paolo II, 19 marzo 1981, a quegli stabilimenti.

Passati 33 anni quasi esatti, Terni e la sua realtà economica più importante (2.800 occupati) e famosa han vissuto un’altra storica giornata, iniziata con la partenza in pullman (ben 140) all’alba alla volta di Roma e culminata nel caldissimo abbraccio a sua Santità, visibilmente a suo agio come sempre, in occasioni in cui può avvicinare e lasciarsi avvicinare dalla gente. Del resto, aveva detto pochi giorni orsono ad un intervistatore argentino, proprio questa è la parte del suo “lavoro” che più gli va a genio, al contrario di quello di ufficio, con le carte, in cui “ho sempre fatto fatica”.

Per raggiungere il palco con sedia e microfono ha percorso tutto il corridoio centrale dell’aula, stringendo centinaia di mani. Il discorso da leggere era pronto come al solito già prima. Ma come sempre, quando un tema lo “coinvolge” o “ispira” in particolar modo, più volte si è fermato per improvvisare parole e riflessioni lì sul momento. E così abbiamo appreso dalla sua voce che la mera sopravvivenza non è il problema vero: “Ho sentito alcuni giovani operai che sono senza lavoro, e mi hanno detto questo: ‘Padre, noi a casa - mia moglie, i miei figli - mangiamo tutti i giorni, perché alla parrocchia, o al club, o alla Croce Rossa ci danno da mangiare’”. Meglio che niente, verrebbe da dire. “’Ma Padre, io non so cosa significa portare il pane a casa, e io ho bisogno di mangiare, ma ho bisogno di avere la dignità di portare il pane a casa…’".

Il fatto è, come Francesco dice, che “il lavoro non ha soltanto una finalità economica e di profitto, ma soprattutto una finalità che interessa l’uomo e la sua dignità”, giacché riguarda direttamente “la persona, la sua vita, la sua libertà e la sua felicità”; il suo fine primario “è il bene della persona umana, perché la realizza come tale, con le sue attitudini e le sue capacità intellettive, creative e manuali”. Ergo la mancanza di lavoro è una “ferita” vera e propria alla dignità della persona: “chi è disoccupato o sottoccupato rischia infatti di essere posto ai margini della società… Tante volte capita che le persone senza lavoro – penso soprattutto ai tanti giovani oggi disoccupati – scivolano nello scoraggiamento cronico o peggio nell’apatia”.

Ma questa situazione, di cui tante cronache forniscono da anni ampi riscontri, non è ovviamente senza colpevoli. E Bergoglio, che già in passato non ci è andato leggero, pure oggi ha condannato il “sistema economico”, parole sue, “che non è più capace di creare lavoro, perché ha messo al centro un idolo, che si chiama denaro!”. Così la “solidarietà” è diventata una parola che “rischia di essere esclusa dal dizionario… sembra come una parolaccia!”. E invece ci vorrebbero proprio solidarietà, giustizia e pure creatività (“di imprenditori e artigiani coraggiosi, che guardano al futuro con fiducia”) per dare lavoro a tutti.

“Ricette” da economista poi un Papa non le possiede, ma può comunque (anzi, deve) ricordare a tutti, come oggi Francesco, “l’impegno primario” lo ha definito, “di ravvivare le radici della fede e della vostra adesione a Gesù Cristo”. Magari sarà difficile da quantificare in statistiche, numeri, grafici, ma la fede “sposta le montagne!”, ha assicurato, “è in grado di arricchire la società grazie alla carica di fraternità concreta che porta in sé stessa. Una fede accolta con gioia, vissuta a fondo e con generosità può conferire alla società una forza umanizzante”.

Mai smettere di sperare in un futuro migliore, ha esortato infine, “non lasciatevi intrappolare dal vortice del pessimismo!”. Uscire si può, da quella che ha definito la “palude di una stagione economica e lavorativa faticosa e difficile”, ma solo “se tutti metteranno sempre al centro la persona umana, non il denaro… se si consoliderà un atteggiamento di solidarietà e condivisione fraterna, ispirato al Vangelo”.

Quello della messa di oggi è per l’appunto la parabola del povero Lazzaro e del ricco Epulone. Costui “aveva tutto, indossava vestiti di porpora, mangiava tutti i giorni, grandi banchetti…”, aveva già commentato Bergoglio alla messa mattutina di Santa Marta, ma non si accorgeva del povero sulla porta di casa. La fine del racconto è nota. Ma prima che preoccuparci di fiamme e sete infernali, preoccupiamoci della infelicità che ci procura già qui, su questa terra, chiuderci nelle nostre malferme sicurezze, nei nostri idoli, ci ha rammentato a tutti il Pontefice. Si diceva appunto sopra che è l’idolatria del denaro, nel sistema economico odierno, a bruciare posti di lavoro.. E allora “oggi, in questa giornata di Quaresima, ci farà bene domandarci: dove è la mia fiducia? Nel Signore o sono un pagano, che confido nelle cose, negli idoli che ho fatto?”.


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