Papa Francesco: il cristianesimo non è una “bella attività commerciale”
di Paolo Fucili
Curioso, a dir poco, che dei tre evangelisti Matteo, Marco e Luca, solo il secondo se ne ricordi, nel Vangelo della messa di oggi (10,28-32). Gli altri due chissà perché parlano solo di “centuplo” già ora, qui su questa terra, per chi lascerà “case, o fratelli, o sorelle, padre madre, o figli o campi per il mio nome”, è scritto in Matteo 19,29. Luca 18,29 preferisce rimanere sul vago, “molto di più”. E se questa lauta caparra non bastasse, comunque c'è sempre la “vita eterna” garantita fin d'ora.
Bene, vien da dire, se non fosse per le “persecuzioni” che solo Marco appunto, raccontando il medesimo episodio, cita di sfuggita quasi fossero un dettaglio trascurabile, tra “centuplo” oggi e “vita eterna” domani. E invece son da prendere tremendamente sul serio, rifletteva papa Francesco, commentando quel testo nell'omelia della messa celebrata a santa Marta.
Curioso pure osservare che Gesù, pochi versetti prima, era stato appena interpellato dal famoso “giovane ricco” ansioso di sapere da lui come averla, quella vita eterna. Ma “siccome aveva molti beni”, proprio non se la sentì di mollare tutto e seguire quel “Maestro buono”, lo chiamava. Tanto da strappargli lo sconsolato commento, divenuto proverbiale, che “è più facile che un cammello passi per la cruna di un ago, che un ricco entri nel regno di Dio”. E a noi che abbiamo lasciato tutto, se ne esce a quel punto Pietro, cosa spetta?
Poco dopo invece ecco i figli di Zebedeo, Giacomo e Giovanni, intenti a chiedere ancora a Gesù, di “sedere nella tua gloria uno alla tua destra e uno alla tua sinistra”. Ma pure gli altri dieci, pur non facendosi avanti, dovevano averci fatto un pensierino, se all'udire Gesù che comunque risponde picche ai due (“non sta a me concedervelo”) si adirano solennemente. Per calmare gli animi tocca a Gesù ancora (e chi sennò?) ammonire che “chi vuol esser grande tra voi si farà vostro servitore, e chi vuol esser primo tra voi sarà il servo di tutti”.
Ora, che gli apostoli fossero non sempre “recettivi” (per usare un eufemismo) agli insegnamenti di Gesù, è quel che raccontano pagine e pagine di Vangelo. Ma se il Papa ha pensato di addentrarsi in una profonda meditazione attorno a quel racconto, forse è perché anche oggi il cristiano ragiona istintivamente con Dio con la mentalità dell'“attività commerciale”, l'ha chiamata arguto come sempre: prendere ovvero spese e ricavi, vantaggi e svantaggi, rischi e garanzie e soppesarli ben bene, poi decidersi.
Niente illusioni, ammonisce dunque Bergoglio, il “centuplo” (che richiederebbe forse anch'esso qualche approfondimento) farà sempre il paio con la persecuzione. Come l'olio sull'insalata, detto altrimenti nei consueti termini concreti ed immediati che sua Santità predilige. “Questa è la strada di quello che vuole andare dietro a Gesù, perché è la strada che ha fatto lui: lui è stato perseguitato”. Del resto lo dicono anche le beatitudini, di cui una è proprio “la persecuzione”. Non a caso tutti gli apostoli, appena si son messi a predicare, ne hanno passate di cotte e di crude, racconta la storia della Chiesa nascente. Vengono in mente, pur non nominati stamane, i crudeli supplizi inferti ai primi cristiani ai tempi dell'Impero romano, studiati sui libri di storia. “'Ma noi abbiamo più cultura e non ci sono queste cose...'. Ci sono! E io vi dico che oggi ci sono più martiri che nei primi tempi della Chiesa!”, si è infervorato il Papa. “Perché il mondo”, altro passaggio, “non tollera la divinità di Cristo. Non tollera l'annuncio del Vangelo. Non tollera le beatitudini”. Il problema semmai è che dimentichiamo facilmente, “ma pensiamo ai tanti cristiani, 60 anni fa, nei campi, nelle prigioni dei nazisti, dei comunisti: tanti! Per essere cristiani!”.
Oggi, ha proseguito non contento, ci sono addirittura cristiani “condannati perché hanno una Bibbia! Non possono portare il segno della croce”, con riferimento chiaro sebbene implicito a sistematiche violazioni della libertà religiosa patite dai seguaci di Cristo in ancora troppi paesi. Per farla breve, essere cristiani in realtà è tutto fuorché un “vantaggio commerciale”, un “fare carriera: è semplicemente seguire Gesù! Ma quando seguiamo Gesù succede questo”. E allora, morale della favola, “pensiamo se noi abbiamo dentro di noi la voglia di essere coraggiosi nella testimonianza di Gesù!”.
Coraggio, ecco, serve per testimoniare davvero Cristo, dice Francesco. Che pure è velatamente (è pur sempre il Papa) tacciato di esser poco “coraggioso” e troppo arrendevole, è opinione comune presso alcuni settori “tradizionalisti” dell'orbe cattolico, nel testimoniare alcune “parti” o “aspetti” della dottrina cattolica; specie quella riguardante i più controversi e spinosi temi della vita, della famiglia e del matrimonio (su cui peraltro non sono mancati pronunciamenti, poco frequenti forse, ma sicuramente ben “assestati”).
Il relativo dibattito, tra commentatori ed opinionisti, è destinato verosimilmente a vivacizzarsi di nuovo a breve, col primo anniversario dell'elezione di Francesco a Pontefice (13 marzo 2013). Con qualche giorno di anticipo, non sarà forse inutile ricordare quel che lui ha scritto nella sua Evangelii Gaudium, “manifesto” del pontificato, ove si legge (§42) che “non potremo mai rendere gli insegnamenti della Chiesa qualcosa di comprensibile e facilmente accettato da tutti. La fede conserva sempre un aspetto di croce, […] vi sono cose che si comprendono e si apprezzano solo a partire da questa adesione che è sorella dell'amore”.
E l'amore, appunto, notoriamente non fa calcoli, non soppesa pro e contro, non teme ostacoli ed avversità, che anzi affronta a viso aperto. E forse ci vuole il coraggio dell'amore (per il nostro evangelico “prossimo”) anche per fare “accettare”quegli insegnamenti su cui magari salta all'occhio una maggiore insistenza del Papa argentino: l'indifferenza allo scandalo della povertà, la cultura dello “scarto” e dello spreco, la mondanità (“spirituale” e non solo), fino al “veleno” (faccenda “piccola” ma per nulla banale) che la maldicenza semina nei rapporti interpersonali. Pure qui, che il “mondo” si regoli tutto al contrario di quel che dice il Vangelo è fin troppo evidente. Ma se quello stesso Vangelo non ci procura in questo caso croci e persecuzioni, non sarà mica che non lo prendiamo abbastanza sul serio?
di Paolo Fucili
Curioso, a dir poco, che dei tre evangelisti Matteo, Marco e Luca, solo il secondo se ne ricordi, nel Vangelo della messa di oggi (10,28-32). Gli altri due chissà perché parlano solo di “centuplo” già ora, qui su questa terra, per chi lascerà “case, o fratelli, o sorelle, padre madre, o figli o campi per il mio nome”, è scritto in Matteo 19,29. Luca 18,29 preferisce rimanere sul vago, “molto di più”. E se questa lauta caparra non bastasse, comunque c'è sempre la “vita eterna” garantita fin d'ora.
Bene, vien da dire, se non fosse per le “persecuzioni” che solo Marco appunto, raccontando il medesimo episodio, cita di sfuggita quasi fossero un dettaglio trascurabile, tra “centuplo” oggi e “vita eterna” domani. E invece son da prendere tremendamente sul serio, rifletteva papa Francesco, commentando quel testo nell'omelia della messa celebrata a santa Marta.
Curioso pure osservare che Gesù, pochi versetti prima, era stato appena interpellato dal famoso “giovane ricco” ansioso di sapere da lui come averla, quella vita eterna. Ma “siccome aveva molti beni”, proprio non se la sentì di mollare tutto e seguire quel “Maestro buono”, lo chiamava. Tanto da strappargli lo sconsolato commento, divenuto proverbiale, che “è più facile che un cammello passi per la cruna di un ago, che un ricco entri nel regno di Dio”. E a noi che abbiamo lasciato tutto, se ne esce a quel punto Pietro, cosa spetta?
Poco dopo invece ecco i figli di Zebedeo, Giacomo e Giovanni, intenti a chiedere ancora a Gesù, di “sedere nella tua gloria uno alla tua destra e uno alla tua sinistra”. Ma pure gli altri dieci, pur non facendosi avanti, dovevano averci fatto un pensierino, se all'udire Gesù che comunque risponde picche ai due (“non sta a me concedervelo”) si adirano solennemente. Per calmare gli animi tocca a Gesù ancora (e chi sennò?) ammonire che “chi vuol esser grande tra voi si farà vostro servitore, e chi vuol esser primo tra voi sarà il servo di tutti”.
Ora, che gli apostoli fossero non sempre “recettivi” (per usare un eufemismo) agli insegnamenti di Gesù, è quel che raccontano pagine e pagine di Vangelo. Ma se il Papa ha pensato di addentrarsi in una profonda meditazione attorno a quel racconto, forse è perché anche oggi il cristiano ragiona istintivamente con Dio con la mentalità dell'“attività commerciale”, l'ha chiamata arguto come sempre: prendere ovvero spese e ricavi, vantaggi e svantaggi, rischi e garanzie e soppesarli ben bene, poi decidersi.
Niente illusioni, ammonisce dunque Bergoglio, il “centuplo” (che richiederebbe forse anch'esso qualche approfondimento) farà sempre il paio con la persecuzione. Come l'olio sull'insalata, detto altrimenti nei consueti termini concreti ed immediati che sua Santità predilige. “Questa è la strada di quello che vuole andare dietro a Gesù, perché è la strada che ha fatto lui: lui è stato perseguitato”. Del resto lo dicono anche le beatitudini, di cui una è proprio “la persecuzione”. Non a caso tutti gli apostoli, appena si son messi a predicare, ne hanno passate di cotte e di crude, racconta la storia della Chiesa nascente. Vengono in mente, pur non nominati stamane, i crudeli supplizi inferti ai primi cristiani ai tempi dell'Impero romano, studiati sui libri di storia. “'Ma noi abbiamo più cultura e non ci sono queste cose...'. Ci sono! E io vi dico che oggi ci sono più martiri che nei primi tempi della Chiesa!”, si è infervorato il Papa. “Perché il mondo”, altro passaggio, “non tollera la divinità di Cristo. Non tollera l'annuncio del Vangelo. Non tollera le beatitudini”. Il problema semmai è che dimentichiamo facilmente, “ma pensiamo ai tanti cristiani, 60 anni fa, nei campi, nelle prigioni dei nazisti, dei comunisti: tanti! Per essere cristiani!”.
Oggi, ha proseguito non contento, ci sono addirittura cristiani “condannati perché hanno una Bibbia! Non possono portare il segno della croce”, con riferimento chiaro sebbene implicito a sistematiche violazioni della libertà religiosa patite dai seguaci di Cristo in ancora troppi paesi. Per farla breve, essere cristiani in realtà è tutto fuorché un “vantaggio commerciale”, un “fare carriera: è semplicemente seguire Gesù! Ma quando seguiamo Gesù succede questo”. E allora, morale della favola, “pensiamo se noi abbiamo dentro di noi la voglia di essere coraggiosi nella testimonianza di Gesù!”.
Coraggio, ecco, serve per testimoniare davvero Cristo, dice Francesco. Che pure è velatamente (è pur sempre il Papa) tacciato di esser poco “coraggioso” e troppo arrendevole, è opinione comune presso alcuni settori “tradizionalisti” dell'orbe cattolico, nel testimoniare alcune “parti” o “aspetti” della dottrina cattolica; specie quella riguardante i più controversi e spinosi temi della vita, della famiglia e del matrimonio (su cui peraltro non sono mancati pronunciamenti, poco frequenti forse, ma sicuramente ben “assestati”).
Il relativo dibattito, tra commentatori ed opinionisti, è destinato verosimilmente a vivacizzarsi di nuovo a breve, col primo anniversario dell'elezione di Francesco a Pontefice (13 marzo 2013). Con qualche giorno di anticipo, non sarà forse inutile ricordare quel che lui ha scritto nella sua Evangelii Gaudium, “manifesto” del pontificato, ove si legge (§42) che “non potremo mai rendere gli insegnamenti della Chiesa qualcosa di comprensibile e facilmente accettato da tutti. La fede conserva sempre un aspetto di croce, […] vi sono cose che si comprendono e si apprezzano solo a partire da questa adesione che è sorella dell'amore”.
E l'amore, appunto, notoriamente non fa calcoli, non soppesa pro e contro, non teme ostacoli ed avversità, che anzi affronta a viso aperto. E forse ci vuole il coraggio dell'amore (per il nostro evangelico “prossimo”) anche per fare “accettare”quegli insegnamenti su cui magari salta all'occhio una maggiore insistenza del Papa argentino: l'indifferenza allo scandalo della povertà, la cultura dello “scarto” e dello spreco, la mondanità (“spirituale” e non solo), fino al “veleno” (faccenda “piccola” ma per nulla banale) che la maldicenza semina nei rapporti interpersonali. Pure qui, che il “mondo” si regoli tutto al contrario di quel che dice il Vangelo è fin troppo evidente. Ma se quello stesso Vangelo non ci procura in questo caso croci e persecuzioni, non sarà mica che non lo prendiamo abbastanza sul serio?
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