In occasione del terzo anniversario dall’inizio del conflitto in Siria, che si fa risalire alle prime proteste anti Assad del 15 marzo 2011, Save the Children, ha diffuso il Rapporto "Un prezzo inaccettabile: l'impatto di tre anni di guerra sulla salute dei bambini in Siria".
Radio Vaticana - Vi si racconta dei quattro milioni e mezzo di bambini sfollati interni, di un sistema sanitario al collasso e della drammatica impossibilità di cure adeguate e nuove vaccinazioni. La Ong ha lanciato anche la mobilitazione del 14 marzo prossimo in Campidoglio, con una illuminazione straordinaria per dire simbolicamente basta alla violenza. Dei principali aspetti del Rapporto, Gabriella Ceraso ha parlato con Valerio Neri, direttore generale di Save the Children: ascolta
R. – E’ partita come una crisi umanitaria. Adesso, però, la distruzione di tutta la logistica anche sanitaria fa sì che si sia aggiunta una gravissima emergenza sanitaria, a causa della quale i bambini vengono colpiti ancor più degli adulti sia sotto il profilo delle malattie – per malattie tipiche portate dalla sporcizia – e avendo pochi medici e pochi ospedali, oltre tutto non hanno tutte le cure che dovrebbero avere. Due ospedali su tre, in Siria, sono distrutti.
D. – Oltre alla carenza di strutture, il vostro Rapporto denuncia, per esempio, che la copertura dei programmi di vaccinazione è crollata…
R. – Per forza. Crollando anche la sanità della città e del territorio, non si riesce più a vaccinare i bambini e vanno aumentando moltissimo le malattie una volta sconfitte: quindi, la poliomielite, per esempio, o appunto tutte quelle malattie portate da animali, da zecche…
D. – Per non parlare dei neonati: voi segnalate solo un parto su quattro assistito e la morte anche di neonati prematuri per frequenti blackout di energia elettrica nelle strutture stesse…
R. – Sì: questo è un dato veramente impressionante. Molto spesso i medici fanno il taglio cesareo perché non possono aspettare oltre, perché magari sta per arrivare un bombardamento. E questo cosa vuol dire? Che un taglio cesareo, sotto tutti gli aspetti, è un vero e proprio intervento chirurgico a ventre aperto. Quindi, la situazione chirurgica dev’essere sicura al 100%: parlo di infezioni, parlo della degenza subito dopo – si perde molto sangue nel parto cesareo… Molti di questi parti avvengono in medicina d’urgenza, in situazioni non di camera operatoria asettica e perfetta. E quindi, immaginate se un bambino nasca in una situazione di questo genere, con qualche difficoltà respiratoria alla nascita, con qualche difficoltà che – purtroppo – esiste in natura al momento della nascita, quando un pediatra non può intervenire immediatamente a salvare il bambino… Quindi, assistiamo sicuramente ad un incremento della mortalità infantile a causa di una incapacità di soccorso.
D. – Quindi, l’appello che viene fuori da questo Rapporto è permettere corridoi umanitari e quindi l’ingresso di aiuti al più presto?
R. – Come dire: non basta che i governi – anche il Consiglio di sicurezza – dicano: “Bene, dobbiamo portare gli aiuti!". E allora, lo si faccia. Insomma, si forzi un po’ la mano per entrare, non si stia solo ad aspettare che ci diano il permesso, perché altrimenti la gente morirà e il permesso non arriverà mai!
Tra i bambini in Siria dopo tre anni di conflitto si contano 10 mila vittime, quattro milioni di sfollati interni e oltre un milione nei Paesi confinanti. Molti dei bambini sono nei campi profughi della vicina Giordania: sulle loro condizioni di vita, Gabriella Ceraso ha raccolto la testimonianza di Michele Prosperi di “Save the Children”, appena tornato dal campo giordano di Za’atari: ascolta
R. – I bambini presenti nel campo sono più della metà: 50 mila bambini. E tra questi, la metà – 26 mila – hanno meno di 5 anni e molti di loro sono arrivati piccolissimi, non hanno visto nient’altro che il bianco delle tende e delle pietre del deserto. Non conoscono i colori, nemmeno con la fantasia riescono ad immaginare un mondo a colori…
D. – Tu hai raccolto tante storie: che cosa ti ha colpito?
R. – Lo shock che queste persone hanno vissuto. La Siria era un Paese nel quale le condizioni di vita erano assolutamente buone, il sistema sanitario assolutamente efficiente, era stato anche capace di contribuire all’abbattimento della mortalità infantile… Addirittura, il Paese esportava farmaci e vaccini. Quindi, c’è un grandissimo sconcerto nelle voci delle madri, delle nonne e delle persone che incontriamo tutti i giorni per il fatto di ritrovarsi improvvisamente senza tutto, soprattutto con la perdita della dignità. Per molti di loro, il pensiero naturalmente è legato a quelli che hanno lasciato all’interno del Paese e che ancora stanno sotto le bombe: bisogna pensare che nel campo di Za’atari si sentono, di notte, i bombardamenti nella parte sud del Paese. Molti di loro hanno lì ancora dei congiunti. Ricordo il racconto fortissimo di una nonna, che aveva ancora quattro figlie in Siria, e ci raccontava di una sua nipote di 14 anni, che si è sposata due mesi fa, e dopo un mese è stata colpita da una pallottola ed è morta. Ecco, questa nonna ha perso prima il matrimonio e poi il funerale di questa nipote…
D. – Dopo tre anni, c’è questa coscienza del tempo che passa tra le persone?
R. – Il pensiero delle persone e i loro sentimenti, nel campo sono cambiate nell’arco del tempo, naturalmente. All’inizio, c’era la speranza che tutto si potesse risolvere rapidamente. Adesso, c’è una grandissima preoccupazione sul tempo che sarà necessario per poter ritornare in Siria, che è quello che tutti desiderano. Gli adolescenti e i giovani hanno un grandissimo desiderio di tornare a far vivere di nuovo il loro Paese, a ricostruirlo. Ecco, questo è quello che dicono in tutti i lavori che fanno e anche di cambiare la volontà, di cambiare le cose. C’è anche una richiesta molto forte perché la voce nel mondo si possa alzare forte per fermare il conflitto in Siria, quantomeno dare la possibilità dell’accesso degli aiuti umanitari: una richiesta fortissima, da tutti, nel campo. E non è rivolta soltanto ai governi, è rivolta alle persone, è rivolta alla comunità internazionale nel senso di chiedere a tutti di mobilitarsi perché il mondo sia diverso. Il fatto che la guerra in questo momento sia lì, in Siria, non vuol dire che non possa essere in qualunque altro luogo del mondo.
Radio Vaticana - Vi si racconta dei quattro milioni e mezzo di bambini sfollati interni, di un sistema sanitario al collasso e della drammatica impossibilità di cure adeguate e nuove vaccinazioni. La Ong ha lanciato anche la mobilitazione del 14 marzo prossimo in Campidoglio, con una illuminazione straordinaria per dire simbolicamente basta alla violenza. Dei principali aspetti del Rapporto, Gabriella Ceraso ha parlato con Valerio Neri, direttore generale di Save the Children: ascolta
R. – E’ partita come una crisi umanitaria. Adesso, però, la distruzione di tutta la logistica anche sanitaria fa sì che si sia aggiunta una gravissima emergenza sanitaria, a causa della quale i bambini vengono colpiti ancor più degli adulti sia sotto il profilo delle malattie – per malattie tipiche portate dalla sporcizia – e avendo pochi medici e pochi ospedali, oltre tutto non hanno tutte le cure che dovrebbero avere. Due ospedali su tre, in Siria, sono distrutti.
D. – Oltre alla carenza di strutture, il vostro Rapporto denuncia, per esempio, che la copertura dei programmi di vaccinazione è crollata…
R. – Per forza. Crollando anche la sanità della città e del territorio, non si riesce più a vaccinare i bambini e vanno aumentando moltissimo le malattie una volta sconfitte: quindi, la poliomielite, per esempio, o appunto tutte quelle malattie portate da animali, da zecche…
D. – Per non parlare dei neonati: voi segnalate solo un parto su quattro assistito e la morte anche di neonati prematuri per frequenti blackout di energia elettrica nelle strutture stesse…
R. – Sì: questo è un dato veramente impressionante. Molto spesso i medici fanno il taglio cesareo perché non possono aspettare oltre, perché magari sta per arrivare un bombardamento. E questo cosa vuol dire? Che un taglio cesareo, sotto tutti gli aspetti, è un vero e proprio intervento chirurgico a ventre aperto. Quindi, la situazione chirurgica dev’essere sicura al 100%: parlo di infezioni, parlo della degenza subito dopo – si perde molto sangue nel parto cesareo… Molti di questi parti avvengono in medicina d’urgenza, in situazioni non di camera operatoria asettica e perfetta. E quindi, immaginate se un bambino nasca in una situazione di questo genere, con qualche difficoltà respiratoria alla nascita, con qualche difficoltà che – purtroppo – esiste in natura al momento della nascita, quando un pediatra non può intervenire immediatamente a salvare il bambino… Quindi, assistiamo sicuramente ad un incremento della mortalità infantile a causa di una incapacità di soccorso.
D. – Quindi, l’appello che viene fuori da questo Rapporto è permettere corridoi umanitari e quindi l’ingresso di aiuti al più presto?
R. – Come dire: non basta che i governi – anche il Consiglio di sicurezza – dicano: “Bene, dobbiamo portare gli aiuti!". E allora, lo si faccia. Insomma, si forzi un po’ la mano per entrare, non si stia solo ad aspettare che ci diano il permesso, perché altrimenti la gente morirà e il permesso non arriverà mai!
Tra i bambini in Siria dopo tre anni di conflitto si contano 10 mila vittime, quattro milioni di sfollati interni e oltre un milione nei Paesi confinanti. Molti dei bambini sono nei campi profughi della vicina Giordania: sulle loro condizioni di vita, Gabriella Ceraso ha raccolto la testimonianza di Michele Prosperi di “Save the Children”, appena tornato dal campo giordano di Za’atari: ascolta
R. – I bambini presenti nel campo sono più della metà: 50 mila bambini. E tra questi, la metà – 26 mila – hanno meno di 5 anni e molti di loro sono arrivati piccolissimi, non hanno visto nient’altro che il bianco delle tende e delle pietre del deserto. Non conoscono i colori, nemmeno con la fantasia riescono ad immaginare un mondo a colori…
D. – Tu hai raccolto tante storie: che cosa ti ha colpito?
R. – Lo shock che queste persone hanno vissuto. La Siria era un Paese nel quale le condizioni di vita erano assolutamente buone, il sistema sanitario assolutamente efficiente, era stato anche capace di contribuire all’abbattimento della mortalità infantile… Addirittura, il Paese esportava farmaci e vaccini. Quindi, c’è un grandissimo sconcerto nelle voci delle madri, delle nonne e delle persone che incontriamo tutti i giorni per il fatto di ritrovarsi improvvisamente senza tutto, soprattutto con la perdita della dignità. Per molti di loro, il pensiero naturalmente è legato a quelli che hanno lasciato all’interno del Paese e che ancora stanno sotto le bombe: bisogna pensare che nel campo di Za’atari si sentono, di notte, i bombardamenti nella parte sud del Paese. Molti di loro hanno lì ancora dei congiunti. Ricordo il racconto fortissimo di una nonna, che aveva ancora quattro figlie in Siria, e ci raccontava di una sua nipote di 14 anni, che si è sposata due mesi fa, e dopo un mese è stata colpita da una pallottola ed è morta. Ecco, questa nonna ha perso prima il matrimonio e poi il funerale di questa nipote…
D. – Dopo tre anni, c’è questa coscienza del tempo che passa tra le persone?
R. – Il pensiero delle persone e i loro sentimenti, nel campo sono cambiate nell’arco del tempo, naturalmente. All’inizio, c’era la speranza che tutto si potesse risolvere rapidamente. Adesso, c’è una grandissima preoccupazione sul tempo che sarà necessario per poter ritornare in Siria, che è quello che tutti desiderano. Gli adolescenti e i giovani hanno un grandissimo desiderio di tornare a far vivere di nuovo il loro Paese, a ricostruirlo. Ecco, questo è quello che dicono in tutti i lavori che fanno e anche di cambiare la volontà, di cambiare le cose. C’è anche una richiesta molto forte perché la voce nel mondo si possa alzare forte per fermare il conflitto in Siria, quantomeno dare la possibilità dell’accesso degli aiuti umanitari: una richiesta fortissima, da tutti, nel campo. E non è rivolta soltanto ai governi, è rivolta alle persone, è rivolta alla comunità internazionale nel senso di chiedere a tutti di mobilitarsi perché il mondo sia diverso. Il fatto che la guerra in questo momento sia lì, in Siria, non vuol dire che non possa essere in qualunque altro luogo del mondo.
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