“Servono conti in ordine”, Padoan, ministro dell’economia, per la Stampa.
di Corradino Mineo
“Basta tagli alla sicurezza”, Carabinieri, Finanzieri e Poliziotti (che non vogliono essere accorpati) per il Corriere della Sera. “Nuovo piano di privatizzazioni”, Sempre Padoan per addolcire la pillola al Sole24Ore. “Mentana vuole il posto di Santoro”, palla in angolo del Giornale. “Mafia expo”, il prefetto di Milano mette le mani avanti e il Fatto riprende. Non c’è da scialare.
La Repubblica invece è intrigante: primo giornale di governo e primo d’opposizione. Come a Garibaldi fecero dire: “Nino (Bixio) domani a Palermo!”, Repubblica mette in bocca a Renzi: “Venerdì la riforma del Senato”. Più veloce della luce. Frugando all’interno, ecco quel che capisco. La brava e bella Boschi si è concessa un week end, questo, a Londra, dopo aver “ammorbidito” la sua riforma: il Senato si potrà ancora occupare non solo delle leggi costituzionali, ma anche di quelle elettorali, dei trattati europei e delle norme per i diritti civili. Sono le “comopetenze” che da un mesetto Anna Finocchiaro, ex bestia nera del premier, vuol salvare.
A questo punto, però, un osservatore troverebbe assai strano che una tale Alta Assemblea di Garanzia, pur privata - e a ragione - del voto di fiducia e della legislazione ordinaria, non sia eletta dal Popolo Sovrano, ma messa insieme riunendo ogni tanto persone che fanno un altro mestiere, quello dell’amministratore regionale o del sindaco. Questo mai: la parola di Renzi è sacra come il corpo del sovrano. Ecco che un progetto di riforma, prendere o lasciare, verrà prima posto in votazione, venerdì prossimo, nella Direzione del Pd, dove Renzi conta su una larga maggioranza. Del Rio, intanto, proverà a convincere Forza Italia. Spiegando che se i suoi senatori non voteranno, disciplinati, questa riforma, poi i cattivi (NCD e qualche PD) farebbero saltare le soglie di sbarramento e il premio di maggioranza previsti dall’Italico e indispensabili per Berlusconi. Un Berlusconi sempre più in difficoltà, che ieri ha dovuto far rimangiare a Barbara, l’intenzione di candidarsi, per il no di Marina e Francesca (Pascale).
Dunque Renzi a gonfie vele e Repubblica (il giornale) in visibilio? Sì e no. A giudicare dall’accenno di filastrocca con cui si apre il sermone domenicale del Fondatore. “Se Renzi vincerà, vent’anni durerà”. Scalfari spiega che la democrazia era un valore fondamentale persino per Berlinguer e per il suo partito, che pure si chiamava “comunista”. Il Pd, invece, è ormai “il partito di Renzi”. Perché “lo slogan che più risponde ai desideri (e alle paure) dei democratici è: o Renzi o il caos”. Il quale Renzi tiene prima di tutto alla propria popolarità e per questo ha scelto di mettere 7 miliardi nelle buste paga dei lavoratori a partire dal 27 maggio. “Due giorni dopo le elezioni, il rapporto è chiaro e perfetto”, nota Scalfari. Certo, così il premier scontenta gli industriali e gli insegnanti e i manager, di cui vuol ridurre gli stipendi, e pure la Camusso, che non vuole i contratti a termine. Ma il Fondatore, che tante ne ha viste, ritiene che il premier possa riuscire nell’impresa di ammansirli. “Il Re del Pd cambia linguaggio di continuo, secondo con chi parla; dà ragione a tutti, capisce tutti, incanta tutti (o ci prova). La sua vera natura è quella del seduttore. Da questo punto di vista somiglia molto, ma con metà degli anni, a Berlusconi”.
Un altro Berlusconi, altri venti anni? Oddio no! Ma anche sì. Perché gli amici di Scalfari, super banchieri e super giornalisti, super politici rottamati ma sempre in esercizio e il super Presidente in carica, Giorgio Napolitano, possono ben usare quella selva di no (degli industriali, dei commercianti, dei manager pubblici delle forze armate, della Camusso) per ridurre il piè veloce a più miti consigli. Magari imponendogli, dopo la riforma elettorale, un presidente più giovane ma già posato (quel diavolo di un Ferrara, ieri, insinuava che potrebbe chiamarsi Veltroni). Dunque tutto in ordine, nonostante tutto. E poi - Scalfari lo spiega a Revelli - c’è l’economia, starei per dire il capitalismo, a fare il resto.
Tutto in ordine? Non per me. Io non capisco come si possa essere di sinistra e non sfruttare l’occasione Renzi per fare qualcosa di sinistra. Come si possa continuare a non sfidarlo, lealmente e con amicizia, provando a suscitare una forte partecipazione democratica, cioè legando l’innovazione a un progetto di cambiamento. E come, invece, si possa continuare a lagnarsi soltanto, a corrucciare la fronte e ripetere: l’avevo detto. Non capisco, ma non vengo dal PCI né dalla DC né dalla Sinistra Giovanile. Dovrò ridimensionare le mie pretese.
di Corradino Mineo
“Basta tagli alla sicurezza”, Carabinieri, Finanzieri e Poliziotti (che non vogliono essere accorpati) per il Corriere della Sera. “Nuovo piano di privatizzazioni”, Sempre Padoan per addolcire la pillola al Sole24Ore. “Mentana vuole il posto di Santoro”, palla in angolo del Giornale. “Mafia expo”, il prefetto di Milano mette le mani avanti e il Fatto riprende. Non c’è da scialare.
La Repubblica invece è intrigante: primo giornale di governo e primo d’opposizione. Come a Garibaldi fecero dire: “Nino (Bixio) domani a Palermo!”, Repubblica mette in bocca a Renzi: “Venerdì la riforma del Senato”. Più veloce della luce. Frugando all’interno, ecco quel che capisco. La brava e bella Boschi si è concessa un week end, questo, a Londra, dopo aver “ammorbidito” la sua riforma: il Senato si potrà ancora occupare non solo delle leggi costituzionali, ma anche di quelle elettorali, dei trattati europei e delle norme per i diritti civili. Sono le “comopetenze” che da un mesetto Anna Finocchiaro, ex bestia nera del premier, vuol salvare.
A questo punto, però, un osservatore troverebbe assai strano che una tale Alta Assemblea di Garanzia, pur privata - e a ragione - del voto di fiducia e della legislazione ordinaria, non sia eletta dal Popolo Sovrano, ma messa insieme riunendo ogni tanto persone che fanno un altro mestiere, quello dell’amministratore regionale o del sindaco. Questo mai: la parola di Renzi è sacra come il corpo del sovrano. Ecco che un progetto di riforma, prendere o lasciare, verrà prima posto in votazione, venerdì prossimo, nella Direzione del Pd, dove Renzi conta su una larga maggioranza. Del Rio, intanto, proverà a convincere Forza Italia. Spiegando che se i suoi senatori non voteranno, disciplinati, questa riforma, poi i cattivi (NCD e qualche PD) farebbero saltare le soglie di sbarramento e il premio di maggioranza previsti dall’Italico e indispensabili per Berlusconi. Un Berlusconi sempre più in difficoltà, che ieri ha dovuto far rimangiare a Barbara, l’intenzione di candidarsi, per il no di Marina e Francesca (Pascale).
Dunque Renzi a gonfie vele e Repubblica (il giornale) in visibilio? Sì e no. A giudicare dall’accenno di filastrocca con cui si apre il sermone domenicale del Fondatore. “Se Renzi vincerà, vent’anni durerà”. Scalfari spiega che la democrazia era un valore fondamentale persino per Berlinguer e per il suo partito, che pure si chiamava “comunista”. Il Pd, invece, è ormai “il partito di Renzi”. Perché “lo slogan che più risponde ai desideri (e alle paure) dei democratici è: o Renzi o il caos”. Il quale Renzi tiene prima di tutto alla propria popolarità e per questo ha scelto di mettere 7 miliardi nelle buste paga dei lavoratori a partire dal 27 maggio. “Due giorni dopo le elezioni, il rapporto è chiaro e perfetto”, nota Scalfari. Certo, così il premier scontenta gli industriali e gli insegnanti e i manager, di cui vuol ridurre gli stipendi, e pure la Camusso, che non vuole i contratti a termine. Ma il Fondatore, che tante ne ha viste, ritiene che il premier possa riuscire nell’impresa di ammansirli. “Il Re del Pd cambia linguaggio di continuo, secondo con chi parla; dà ragione a tutti, capisce tutti, incanta tutti (o ci prova). La sua vera natura è quella del seduttore. Da questo punto di vista somiglia molto, ma con metà degli anni, a Berlusconi”.
Un altro Berlusconi, altri venti anni? Oddio no! Ma anche sì. Perché gli amici di Scalfari, super banchieri e super giornalisti, super politici rottamati ma sempre in esercizio e il super Presidente in carica, Giorgio Napolitano, possono ben usare quella selva di no (degli industriali, dei commercianti, dei manager pubblici delle forze armate, della Camusso) per ridurre il piè veloce a più miti consigli. Magari imponendogli, dopo la riforma elettorale, un presidente più giovane ma già posato (quel diavolo di un Ferrara, ieri, insinuava che potrebbe chiamarsi Veltroni). Dunque tutto in ordine, nonostante tutto. E poi - Scalfari lo spiega a Revelli - c’è l’economia, starei per dire il capitalismo, a fare il resto.
Tutto in ordine? Non per me. Io non capisco come si possa essere di sinistra e non sfruttare l’occasione Renzi per fare qualcosa di sinistra. Come si possa continuare a non sfidarlo, lealmente e con amicizia, provando a suscitare una forte partecipazione democratica, cioè legando l’innovazione a un progetto di cambiamento. E come, invece, si possa continuare a lagnarsi soltanto, a corrucciare la fronte e ripetere: l’avevo detto. Non capisco, ma non vengo dal PCI né dalla DC né dalla Sinistra Giovanile. Dovrò ridimensionare le mie pretese.
Tweet |
Sono presenti 0 commenti
Inserisci un commento
Gentile lettore, i commenti contententi un linguaggio scorretto e offensivo verranno rimossi.